mercoledì 9 ottobre 2013

Nel Lazio una «pax mafiosa» per gestire appalti e ristoranti


INTERNAPOLI. Una savana dove leoni, iene e coccodrilli convivono pacificamente, la provincia «mafiosa» di Roma: le colonie di ’Ndrangheta, Cosa nostra e camorra hanno raggiunto un equilibrio (quasi) perfetto nella spartizione di territori ed affari.
«Il Lazio e, in particolar modo, Roma, già da tempo sono stati scelti dalle organizzazioni criminali mafiose per costituirvi articolazioni logistiche per il riciclaggio di capitali illecitamente accumulati e per l’investimento in attività imprenditoriali», ha osservato la Procura nazionale antimafia. Aggiungendo che i «settori d’interesse sono soprattutto l’edilizia, le società finanziarie e - nell’ambito del commercio - la ristorazione, l’abbigliamento, le concessionarie di auto». Non si fanno la guerra, gli uomini delle mafie italiane, se non è proprio necessario. Per questo, non è difficile trovare «condomini criminali» in cui si trovano a vivere insieme (è il caso della provincia di Latina) le famiglie calabresi dei Bellocco, dei Tripodo e dei Pesce-Pisano; quelle siciliane dei Ciaculli e dei Rimi-Badalamenti e quelle napoletane degli Alfieri, dei Casalesi, dei La Torre, dei Nuvoletta, dei Moccia e degli Zaza. In quest'area, è stata censita anche la presenza di un vecchio gruppo malavitoso (quasi estinto): il clan Scarcia, proveniente dalla Basilicata e, più in particolare, da Policoro. Meno casino si fa, più gli affari diventano importanti. In provincia di Frosinone, i radar della procura di Roma retta da Giuseppe Pignatone hanno individuato soggetti appartenenti alle ’ndrine degli Avignone, degli Zagari e dei Viola e ai clan di camorra dei Casalesi (sottogruppo dei Venosa, una banda di pericolosissimi killer ed estorsori), degli Alfieri e dei Tolomelli. Sarebbero state registrate le presenze pure di uomini legati alla Sacra Corona Unita. Il centro magnetico è rappresentato dal Mercato ortofrutticolo di Fondi, dove le indagini hanno permesso di scoprire una invasiva e velenosa attività di penetrazione criminale ad opera dei Casalesi e dei Mallardo e di una costola della famiglia mafiosa del capo dei capi Totò Riina. L’inchiesta, sfociata in decine di arresti e conclusasi con numerose condanne, ha ricostruito gli accordi commerciali che i tagliagole casertani hanno stretto coi pari grado di Catania e di Palermo per la gestione della struttura e per il trasporto delle arance su e giù per l'autostrada del Sole. Un business all’apparenza insignificante, ma assai redditizio per le mai sazie casse della Mafia spa. A Viterbo, ancora, vivono e fanno affari i trafficanti napoletani legati ai Sarno di Ponticelli (ex fedelissimi della Nco di Raffaele Cutolo), i Mammoliti e i Libri calabresi e gli ultimi «pionieri» del clan del superboss catanese Nitto Santapaola. Nei Comuni più piccoli spesso lo spazio vitale per organizzazioni così rapaci, potenti e prepotenti non esiste così si verificano situazioni in cui, in un territorio, opera una sola entità criminale: i Piromalli a Tarquinia, i Tripodo a San Felice al Circeo, i Mallardo a Formia, i Di Lauro a Cassino, gli Anastasio ad Anzio, i Cava a Sabaudia. Ad Acilia, per dirne un’altra, negli ultimi mesi sono stati segnalati investimenti di soggetti casertani collegati al boss casalese Antonio Iovine nel mondo della ristorazione e delle sale giochi. Una situazione non imprevista, dal momento che i servizi segreti civili avevano scritto nell’ultima relazione al Parlamento: «La camorra casalese, nonostante le importanti e destabilizzanti attività di contrasto, si conferma dotata di risorse umane, forza militare e capacità collusiva e di condizionamento tali da assicurare la persistente operatività nelle aree di origine e in quelle di proiezione, tra cui Emilia Romagna, Toscana e basso Lazio». A fare da camera di compensazione tra le esigenze, le mire espansionistiche e gli appetiti di questi clan spesso sono soggetti estranei al mondo criminale locale, che svolgono la funzione di «ambasciatori» tra le diverse organizzazioni. Dalla loro bravura dipende il successo della «pax mafiosa» che ancora resiste nel Lazio. Uno dei più promettenti, era un tale che si chiamava Emidio Salomone. Era legato contemporaneamente al clan Senese (e, quindi, a quel che resta della Banda della Magliana e ai Moccia di Afragola) e ai Cuntrera-Caruana.
In merito ai Terenzio, invece, in relazione a quanto scritto nell’articolo sui camorristi, l’avvocato Giuseppina Morra fa presente che i Terenzio non sono collegati con l’ultimo della famiglia Giuliano poiché assolti per prescrizione.

Simone De Meo
iltempo.it

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