martedì 20 dicembre 2011

Napoli. Ecco la nuova Stazione Centrale

40 negozi aperti fino alle 22 - Nuove anche sedute e pensiline
NAPOLI - Ha un volto nuovo la stazione dei treni di Napoli centrale con 40 negozi aperti dalle 8 alle 22, tutti i giorni dell'anno, 136 nuove sedute e pensiline, nuova illuminazione e tabelloni al led.
Dopo cinque anni, lo scorso anno, i lavori della stazione di Napoli sono stati completati e presentati, oggi al pubblico, da Fabio Battaggia, amministratore delegato di Grandi Stazioni (che ha provveduto ai lavori), controllata al 60% da Ferrovie dello Stato e al 40 da Eurostazioni Spa.

L'investimento da parte di Grandi Stazioni per Napoli centrale è stato, per la parte interna, di 50 milioni di euro e i lavori sono il primo passo verso la riqualificazione di tutta l'area.

Per l'esterno, infatti, come ha fatto sapere Battaggia, sono in programma lavori di recupero di Palazzo Alto che domina la piazza. Si è già provveduto alla bonifica dall'amianto e, al piano terra, è in corso una ristrutturazione che consentirà l'accesso sia da piazza Garibaldi sia da corso Novara.

Alcuni piani saranno destinati agli uffici, altri ad ospitare un albergo. Creazione di due nuovi parcheggi e sistemazione delle aree limitrofe completeranno tutti gli interventi già avviati da Grandi Stazioni. La trasformazione dell'intera area sarà completata con la realizzazione dell'architetto Dominique Perrault. Un calendario ricco di eventi per la presentazione al pubblico della nuova stazione centrale di Napoli accompagnerà il periodo di avvicinamento al Natale, dal 12 al 23 dicembre.

«La nuova stazione di Napoli vuole diventare il nuovo salotto della città - ha commentato Battaggia - il luogo dove accogliere gli oltre 50milioni di viaggiatori che ogni anno passano di qui. Il 70% dei lavori sono pronti, il resto lo sarà a breve». Per l'assessore regionale ai Trasporti, Sergio Vetrella, la stazione è «la finestra d'ingresso della Campania». Grandi Stazioni lavora anche, fa sapere infine Battaggia, con il Comune di Napoli per realizzare, attraverso un project financing che servirà a realizzare la fermata della metropolitana della Linea 1 la quale, quando sarà completata, raggiungerà piazza Garibaldi.

Lotta al clan Mallardo

Sequestrati beni per 50 milioni di euro
GIUGLIANO. Ottantaquattro immobili (38 terreni edificabili e 46 fabbricati di pregio), ubicati in provincia di Latina, Napoli e Cosenza, 6 aziende, con sede nelle province di Napoli e Latina, operanti nel settore del commercio di autoveicoli e nel settore edilizio-immobiliare; quote societarie di un operatore economico operante nel settore della gestione di stabilimenti balneari; 15 auto e motoveicoli e 32 rapporti finanziari. Ammonta a 50 milioni di euro il valore dei beni sequestrati ieri nell’ambito dell’operazione ‘Tahiti’. I fratelli Giuliano, Michele e Luigi Ascione sono accusati dei reati di associazione a delinquere di stampo camorristico e di intestazione fittizia di beni aggravata dalle modalita’ mafiose. Effettuate 25 perquisizioni durante il blitz a cui hanno partecipato all’alba di ieri 16 reparti della guardia di finanza, impiegati 140 finanzieri, utilizzate 50 autovetture e un elicottero.

Il valore delle quote societarie ammontano a 219mila euro, sette le società, tra cui due ditte individuali, operanti nel settore del commercio di auto e nell’edilizia. Tra queste c’è il 20% del capitale sociale della ‘Tahiti administration service Srl’, società che gestisce lo stabilimento balneare di Fondi. Sotto chiave anche le ‘Autovia, Asci-1’, concessionarie di auto sia a Formia che a Giugliano sulla Circumvallazione esterna. In particolare, secondo gli inquirenti, la famiglia Ascione era legata a Domenico Dell’Aquila, uno dei fratelli di Giuseppe Dell’Aquila finito in carcere nel maggio dell’anno scorso.

‘Tahiti’ l’ultima delle 4 operazioni che hanno colpito al cuore il clan Mallardo.Arcobaleno. E’ la prima delle operazioni risalente al marzo 2010 furono eseguite 12 ordinanze di custodia cautelare in carcere e sequestrati beni per 500 milioni di euro di beni tra terreni, società, barche e conti corrente.
Caffe’ macchiato. Lo scorso maggio furono eseguite altre otto ordinanze e disposto il sequestro di altri 600 milioni di euro di beni nell’ambito dell’operazione ‘Caffè macchiato’ grazie a cui fu possibile accertare il coinvolgimento del capoclan Feliciano Mallardo nella gestione del caffè Seddio negli esercizi commerciali di Napoli e Provincia.
Aquila reale. Infine nello scorso ottobre fu arrestato un altro prestanome dei Mallardo ed eseguito un ennesimo sequestro pari a 200 milioni di euro di beni. In tutte quattro le operazioni è stata sottolineata dagli inquirenti la capacità speculativa dei Dell’Aquila, che, unita ad un’intensa forza intimidatoria, ha consentito al gruppo criminale investigato di infiltrarsi nel tessuto imprenditoriale non solo della Regione Campania, ma anche del basso Lazio e dell’Emilia Romagna, dove sono stati sistematicamente reimpiegati in vari settori economici ingenti capitali di provenienza illecita. Infatti, attraverso una serie di prestanome legati da vincoli affaristico-criminali ed anche da legami di parentela, la famiglia Dell’Aquila è riuscita ad investire notevoli risorse finanziarie, frutto delle svariate attività criminali del clan, nel settore immobiliare, edilizio, turistico-alberghiero, nel commercio di autovetture e nella gestione di parchi di divertimento, così inserendosi nei circuiti dell’imprenditoria legale e condizionando la libera concorrenza tra le imprese (regolari) operanti sul mercato.       
Mallardo: il sistema di un clan a due facce
GIUGLIANO. Cemento, commercio di autoveicoli e truffe assicurative. Sono i tre campi in cui operano insospettabili imprenditori al soldo del clan Mallardo per riciclare i soldi della cosca derivanti dalle attività illecite. Professionisti, colletti bianchi, imprenditori a cui sono intestate quote di società grandi e piccole. Così funziona il sistema del riciclaggio di denaro nel clan Mallardo, uno dei più potenti nell’area occidentale di Napoli come affermato solo pochi giorni fa dal procuratore Sandro Pennasilico, a capo della procura di Napoli ad interim dopo il pensionamento di Lepore. Un clan a due facce quello dei Mallardo, capace da una parte di racimolare ingenti somme di denaro attraverso il racket, il traffico di droga e le grosse speculazioni edilizie, grazie a una forte permeabilità nel tessuto socio-politico locale, come dimostrano le recenti inchieste, e dall’altra di ‘girare’ i soldi a persone insospettabili a cui vengono affidati i compiti di crescere il fatturato della cosca in modo ‘legale’. A penetrare nel basso Lazio con ingenti investimenti economici è stato il gruppo facente capo a Giuseppe Dell’Aquila. A Giugliano, invece, resta attiva la piovra dei Mallardo che forniscono denaro non solo a imprenditori e professionisti, ma anche a pensionati e personaggi con un reddito apparentemente normale a cui vengono affidate attività commerciali piccole e grandi. Negozi che aprono e chiudono nel giro di pochi anni, a volte mesi, che non pagano il pizzo poichè sono gestite, direttamente o attraverso interposte persone, direttamente dal clan. E proprio intrecciando i movimenti economici e bancari gli inquirenti sperano di individuare altri imprenditori al soldo del clan, proprio come erano i fratelli Ascione.

L'amarezza del Pm: i beni confiscati utilizzati solo al 10%.“E’ l’ultima di quattro operazioni condotte nell’ultimo anno e mezzo nei confronti del clan Mallardo, grazie alle quali si sono sequestrati beni per un valore di 1,3 miliardi di euro. Emerge ancora una volta la capacità dei sodalizi criminali di estendersi al di fuori dei confini della regione. Siamo preoccupati perchè abbiamo contezza del fenomeno. Serve l’impegno di tutti perchè si tratta di un problema su scala nazionale”. E’ quanto affermato dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico nella conferenza stampa di ieri mattina in Procura. Il magistrato non nasconde “una punta di amarezza, perchè nonostante il massiccio ricorso ai sequestri, molti dei quali si traducono in confische, la capacità dello Stato di utilizzare queste risorse si riduce al 10%”. Pennasilico denuncia anche i tagli al settore “e le ristrettezze economiche e di personale nelle quali siamo costretti a operare. Nel lungo periodo, senza un inversione di tendenza, sarà difficile continuare a ottenere questi risultati. L’età media dei nostri amministrativi è di 58 anni e non c’èturn over”. Per il colonnello Virgilio Pomponi, comandante nucleo polizia tributaria di Roma, “l’operazione dimostra l’importanza dell’utilizzo delle indagini finanziarie per ricostruire i patrimoni dei clan e i rapporti con i prestanome”. Il gruppo facente capo ai fratelli Ascione, spiega tenente colonnello Andrea Fiducia della tributaria, operava nel basso Lazio con attività apparentemente estranee a logiche criminali. Era una costola del clan che si era infiltrata sul territorio grazie ai legami con Giuseppe Dell’Aquila, il boss arrestato nel corso di un’altra operazione contro la ‘famiglia’ di Giugliano in ambito laziale. “Si tratta di imprenditori dalla faccia apparentemente ‘pulita’ - precisa - ‘colletti bianchi’, che investivano a vantaggio dei clan nei settori delle costruzioni, della vendita di immobili e del commercio di autoveicoli”. E proprio sui colletti bianchi che si stanno concentrando le indagini della Dda di Napoli i quali stanno passando al setaccio conti correnti bancari di persone ritenute vicine al clan di Giugliano.
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L’arresto di Zagaria e l'omertà dei suoi concittadini

CASERTA. L’arresto di Michele Zagaria mercoledì in un covo ricavato in un villino sito nel pieno centro di Casapesenna ha creato, fra le altre cose, un interessante dibattito sul comportamento omertoso e/o connivente dei suoi concittadini. L’eccezionale servizio del giornalista Paolo Chiariello di Sky, con le sue interviste ai cittadini di Casapesenna subito dopo che si era sparsa la notizia dell’arresto, ha mostrato quanto ampio fosse il consenso di cui godeva il boss in paese; gli altri servizi dal luogo fatti dalle altre emittenti, con l’intervista anche di un parroco locale, hanno ulteriormente lasciato l’amaro in bocca, perché nemmeno dal sacerdote sono venute parole chiare di condanna per la camorra e per il boss super ricercato. Bene ha fatto, quindi, il direttore de Il Mattino Virman Cusenza ad evidenziare, nel suo fondo di giovedì, come gli arresti da soli appaiano incapaci di innestare un circolo virtuoso e come tantissimo sia il lavoro da fare per bonificare quelle terre, lavoro che non spetta solo a magistrati e poliziotti ma soprattutto alla politica ed alle istituzioni culturali. Pur essendo sicuro che c’è una parte dei cittadini di Casapesenna che – forse nel chiuso della loro abitazione e senza atti eclatanti - ha “festeggiato” il risultato investigativo non posso che sottoscrivere tutte le parole scritte dal direttore Cusenza, essendo io convinto da sempre che se non si prosciuga il “brodo di coltura” in cui i boss crescono e diventano potenti, gli arresti rischiano semplicemente di rendere più veloci soltanto i ricambi generazionali. Voglio, però, aggiungere a questo quadro certo a tinte non rosee, quanto ho verificato personalmente sia pure in contesti ed in ambienti diversi. Ho ricevuto, pur non occupandomi più da anni di indagini delle indagini sui casalesi e lavorando da oltre 4 anni in Cassazione, un numero incredibile di sms, mail o telefonate di persone, quasi tutte campane, con cui avevo avuto rapporti professionali o di conoscenza che intendevano parteciparmi la loro gioia per quanto accaduto. Alcuni, soprattutto quelli che non abitano a Napoli, hanno aggiunto che mai come in questi momenti si sono sentiti fieri della loro origine. Stessa cosa mi è capitato con le persone che ho incontrato; tantissimi mi hanno partecipato il senso di soddisfazione per l’arresto. So che la stessa cosa – ed in misura molto maggiore – sta capitando ai colleghi della DDA che si sono occupati delle indagini che hanno portato all’arresto dello Zagaria. Almeno a me non era mai successo di vedere, nelle nostre terre, una così corale ed ampia manifestazione di vero giubilo per un arresto di un boss; è un segnale positivo che forse non bilancia del tutto quelli di segno opposto che provengono dalle terre di Gomorra ma è comunque un segnale di grande speranza, per quell’impegno corale che potrà portarci a vincere davvero la lotta alle mafie.

Raffaele Cantone
Il Mattino il 09/12/11       

mercoledì 7 dicembre 2011

Arrestato Michele Zagaria: ha vinto lo Stato

CASERTA. Il boss Michele Zagaria, numero uno dei Casalesi, e' stato arrestato a Casapesenna, in provincia di Caserta. Quando, intorno alle 11.30, c'e' stata la certezza che nella villetta a Casapesenna di via Mascagni annessa a un fondo agricolo c'era il superaltitante Michele Zagaria, da oltre 15 anni la 'primula rossa' della camorra, l'entusiasmo ha preso i poliziotti che partecipavano all'operazione e si e' manifestato in grida, pacche sulle spalle e abbracci. Zagaria, uscito dall'abitazione, e' stato colto da malore. Per questo e' intervenuta un'ambulanza del 118. Detto 'Capastorta', il capo dei Casalesi e' l'ultimo del clan a essere catturato. A novembre 2010, infatti, era finita la latitanza di Antonio Iovine, detto 'o ninno', catturato dalla Mobile di Napoli, e a gennaio dell'anno precedente i carabinieri avevano preso Giuseppe Setola.

L'arresto di Michele Zagaria. Il boss ha tentatao la fuga, ma gli uomini della squadra Mobile di Napoli e di Caserta lo hanno inseguito scavando nei cunicoli del covo. Alle 12,22, su via Mascagni a Casapesenna ha iniziato a volteggiare l'elicottero della Polizia. In quel momento Michele Zagaria, capo del clan dei Casalesi, latitante da 17 anni e due giorni, è sbucato dal bunker dove si era nascosto nelle ultime ore. Si è affacciato alzando le mani in segno di resa: «Avete vinto voi, sono io». La cattura è arrivata dopo oltre un'ora di trattativa a distanza. Zagaria era stato individuato nel sotterraneo dal quale però, a causa di una interruzioine dell'energia elettrica procurata dalla stessa polizia non riusciva più a uscire, incastrato, come un topo, così come aveva vissuto dal 5 dicembre del 1995, data in cui si era sottratto al blitz dell'operazione Spartacus. Durante quell'ora, temendo che la polizia potesse aprire il fuoco, ha più volte ripetuto: «non sparate, non sparate, voglio uscire...».Sul posto, una stradina quasi nel centro del paese, sono arrivate decine di persone: curiosi, ma soprattutto poliziotti, carabinieri, finanzieri e tutti i magistrati della DDa che nel tempo si sono succeduti nel coordinamento delle indagini sulla cattura del latitante numero uno della camorra. Commosso, quasi in lacrime il pm Catello Maresca. Sorridente il coordinatore Federico Cafiero de Raho, accompagnato dai colleghi Marco del Gaudio e Raffaello Falcone. (Fonte Il Mattino)

CASERTA. Michele Zagaria, detto 'Capastorta' nato il 21 maggio 1958, e' soprannominato ''Capastorta'' ed era da tempo considerato l'ultimo grande latitante dei Casalesi. E' nato a San Cipriano d'Aversa, in provincia di Caserta ma e' residente a Casapesenna (Caserta). Era ricercato dal 1995. La sua specializzazione e' il settore edile ed e' accreditato di grande capacita' manageriale. E' stato in grado di mettere insieme, in un giorno di chiusura delle banche, 500 mila euro per l'acquisto di un immobile a Parma. Le sue imprese casertane sono riuscite ad imporsi sul mercato nazionale non solo praticando prezzi concorrenziali ma anche garantendo costantemente sui cantieri uomini e mezzi e tempi ridotti per la realizzazione delle opere. In uno dei processi che lo hanno visto imputato, e' stato condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione anche il suocero di Pasquale Zagaria, Sergio Bazzini, imprenditore di Parma del settore del cemento, con interessi a Milano, Parma e Cremona. Gli investigatori ritennero Bazzini - del quale Zagaria aveva sposato la figliastra - una testa di legno del boss per controllare gli interessi del clan tra Emilia Romagna e Lombardia. Il ''feudo'' di Zagaria e' il triangolo tra Casapesenna, San Cipriano d'Aversa e Casal di Principe, dove il boss e' proprietario di un impero di milioni di euro accumulati con la droga, le estorsioni ed il controllo degli appalti. Il potere del boss si fonda proprio sul controllo del territorio. ''A partire dal 2001 e fino a poco prima del mio arresto - ha messo a verbale un pentito dei Casalesi, Emilio di Caterino - per le grosse estorsioni, qualunque fosse il territorio in cui esse avvenivano e qualunque fosse la fazione dei Casalesi che aveva il controllo di quel territorio, il denaro comunque arrivava a Michele Zagaria, il quale provvedeva a distribuirlo fra tutti''. (Ansa)


sabato 3 dicembre 2011

Lotta ai casalesi

Sequestro per 8 milioni di euro ai Casalesi

CASERTA. I finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Roma e i poliziotti della Squadra mobile della Questura di Latina da alcune ore stanno eseguendo numerosi arresti e sequestri nei confronti di un gruppo camorristico operante nel basso Lazio, diretta espressione del clan dei Casalesi e attivo nel racket delle estorsioni. Tra i beni in mano al clan anche un ristorante sull'isola di Ponza, uno yacht e diverse societa'. I dettagli dell'operazione - ribattezzata "Golfo" - saranno illustrati dagli inquirenti nel corso di una conferenza stampa in programma alle 11 presso la procura della Repubblica di Napoli. Sono 8 le ordinanze di custodia cautelare in carcere per associazione di tipo mafioso eseguite da Guardia di finanza e Polizia di Stato impegnate nell'operazione "Golfo" tra Formia e Latina. Gli arrestati hanno come riferimento il clan Bardellino, del gruppo dei Casalesi, frangia Schiavone. Il valore dei beni sequestrati e' di circa 8,5 milioni di euro: si tratta di 12 immobili, di 5 societa' e di un noto ristorante sull'isola di Ponza. Nella rete degli investigatori sono caduti nomi eccellenti della camorra casalese, tra cui Angelo e Calisto Bardellino, nipoti dello storico boss 'dei casalesi' Antonio Bardellino ucciso in Brasile nel 1988, e figli di Ernesto, gia' Sindaco di San Cipriano d'Aversa (CE). Il valore complessivo dei beni sottoposti a sequestro e' stimato in circa 8,5 milioni di euro. (Agi)

Sette arresti nel clan dei casalesi ala Zagaria

CASERTA. Alle prime ore di oggi il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e le Squadre Mobili di Caserta e di Napoli hanno arrestato in esecuzione di un provvedimento cautelare, emesso dal GIP del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Investigativa Antimafia del capoluogo campano, sette persone affiliate al clan dei Casalesi-ala Zagaria, responsabili in concorso di associazione per delinquere di stampo mafioso ed estorsioni, aggravate dal metodo mafioso, a danno di imprenditori della provincia di Caserta e del basso Lazio. Le 7 ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite nei confronti di esponenti di primo piano del clan dei Casalesi, in particolare della fazione che fa capo al latitante Michele Zagaria. Destinatari dei provvedimenti sono, tra gli altri, i fratelli del boss Pasquale e Carmine, il cugino Pasquale Fontana e l'attuale reggente del gruppo, Michele Fontana.
 Le indagini si sono avvalse delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Nicola Cangiano; quest'ultimo ha riferito, tra l'altro, di una riunione tra il killer Giuseppe Setola, il figlio di ''Sandokan'', Nicola Schiavone, e il capoclan Antonio Iovine, all'epoca latitante e oggi detenuto, in cui si decise di attentare alla vita di alcuni magistrati. Nel mirino dei Casalesi c'erano in particolare i pm Catello Maresca, Cesare Sirignano, Alessandro Milita e Franco Roberti, oggi procuratore di Salerno. Tra i reati contestati l'estorsione, ammonante a circa 450mila euro, a danno di un imprenditore edile casertano per la costruzione di uno dei centri commerciali piu' grandi della provincia di Caserta. Gli arrestati, dopo le formalita' di rito, sono stati portati alla Casa Circondariale di Secondigliano.
La maxi-tangente imposta dai Casalesi da 450mila euro riguarda la costruzione del Centro commerciale Campania. I sette provvedimenti restrittivi emessi dal gip, oltre che i fratelli del superlatitante Michele Zagaria, Carmine (gia' arrestato nei mesi scorsi e poi scarcerato dal Riesame) e Pasquale, riguardano anche il cugino Pasquale Fontana e il reggente del gruppo a Casapesenna Michele Fontana. Dalle intercettazioni ambientali e telefoniche si evince, sottolinea l'aggiunto Federico Cafiero de Raho, che coordina la Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che il boss dalla latitanza ha delegato i suoi familiari alla gestione delle attività economico-criminali del gruppo, la cui forza e capacità di infiltrazione nel tessuto imprenditoriale sono tali da condizionarlo anche a livello nazionale.
Gli affiliati al clan si distinguono dal look.I fedelissimi di Michele Zagaria indossano solo scarpe Samsonite, quelli di Francesco Schiavone le Hogan: all'interno del clan dei Casalesi gli affiliati si distinguono dal look. Lo racconta il collaboratore di giustizia Nicola Cangiano, le cui dichiarazioni sono contenute nell'ordinanza di custodia cautelare notificata oggi a sette persone. ''Nell'ambiente - afferma Cangiano - certe cose si capiscono subito ed il gruppo Zagaria anche nel carcere ha un modo di comportarsi e di stare insieme che si nota subito ed è diverso da tutto il resto della platea dei detenuti. Peraltro è anche un gruppo all'interno del quale anche per noi alleati è difficile entrare''. ''Stanno sempre fra di loro - continua Cangiano - e tendono a non aprirsi con gli altri. Addirittura nel vestiario si distinguono. Vestono tutti scarpe Samsonite, vestiti di marca e finanche calzini di cachemire. Si vede in sostanza che continuano a percepire cospicui stipendi da parte del clan. Le Hogan sono prerogativa degli Schiavone come la barba curata e i capelli senza gelatina, come imposto da Schiavone Nicola (il figlio di 'Sandokan', ndr)''.

Preso il reggente del clan D’Agostino-Bottone

SANT'ANTIMO. Antonio D’Agostino di 39 anni, è ritenuto l’attuale reggente del clan D’Agostino-Bottone e, sino a la notte scorsa, era latitante da 8 mesi. A catturarlo, in un’abitazione a Sant'Antimo, sono stati gli agenti del Commissariato di polizia di Frattamaggiore. L’uomo si era reso irreperibile dal 25 marzo 2011, quando nei suoi confronti era stata emessa, dal Gip del Tribunale di Napoli un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, perché indagato per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso. Gli agenti, nel corso dell’operazione di polizia, dopo aver circondato l’edificio dove l’uomo aveva trovato rifugio, hanno fatto irruzione in un appartamento ubicato al piano rialzato, sorprendendolo mentre tentava di guadagnare la fuga nel vano scale, al fine di raggiungere il piano superiore. Alla vista dei poliziotti, l’uomo ha desistito nel suo intento rientrando nell’appartamento.
Nel corso della perquisizione, all’interno dell’appartamento, arredato solo da un letto, un tavolo con una sedia ed un televisore, gli agenti hanno rinvenuto e sequestrato, una borsa in stoffa, contenente hashish utile al confezionamento di 90 dosi, il tutto occultato nell’intercapedine di una parete di una stanza in costruzione mentre, nel vano scale, ove l’uomo aveva tentato la fuga, nascosta tra alcune suppellettili, è stata rinvenuta una pistola beretta cal.9x21 completa di caricatore con 15 cartucce. I poliziotti hanno arrestato D'Agostino anche per i reati di detenzione abusiva di arma comune da sparo, detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, denunciandolo in stato di libertà per i reati di detenzione abusiva di munizionamento comune da sparo e parabellum, ricettazione dell’arma e del relativo munizionamento.
Il proprietario dell’appartamento, S.V., è stato denunciato, in stato di libertà, perché responsabile del reato di favoreggiamento personale. Gli agenti hanno condotto l’uomo al Centro Penitenziario di Secondigliano.

Tangenti al clan per la raccolta e le ecoballe

di Leandro Del Gaudio
NAPOLI - Ventimila euro al mese a un capoclan di Acerra per garantire il deposito di ecoballe di rifiuti; altre ventimila euro al mese per dare il nulla osta alla raccolta dei rifiuti.
Anno 2011 (14.mo dall’inizio della crisi rifiuti) funziona ancora così il sistema nel Napoletano e in una fetta della Campania, almeno a leggere gli ultimi esiti investigativi di un’inchiesta della Dda di Napoli.
Traffico di armi, il progetto di un attentato contro pm e forze dell’ordine, poi i rifiuti. Poche righe, una traccia sul taccuino degli investigatori, per il momento uno spunto investigativo nell’ultima inchiesta sull’emergenza rifiuti. C’è un pentito che sta raccontando come funzionano le cose quando si tratta di autorizzare stoccaggi o di favorire la semplice raccolta della spazzatura. Si chiama Pasquale Di Fiore, classe 1982, da ottobre scorso ha abbandonato piani stragisti contro la Dda di Napoli e ipotesi revanchiste contro boss di antico lignaggio, per cominciare a raccontare il giro di denaro legato ai rifiuti.
Non c’entrano, almeno in prima battuta, i clan dei casalesi - i primi in Campania a trasformare l’immondizia in oro - o meglio non c’entrano per quanto riguarda la zona vesuviana.
Poche parole agli atti nell’ambito dell’inchiesta condotta dai pm Enzo D’Onofrio (finito al centro di un progetto di attentato a colpi di bazooka) e Francesco Valentini, possibile ricostruire lo scenario d’insieme: sui rifiuti, sulle grandi commesse messe in moto da siti di trasferenza, piazzolle di ecoballe, stoccaggi e raccolta, sembra che non ci siano rancori che tengano. I soldi arrivano ai clan delle rispettive zone di competenza. Niente spargimenti di sangue, niente allarme sociale, ma moneta corrente assicurata alla famiglia o allo schieramento che ha la gestione del territorio.
Di questa storia di rifiuti convertiti in denaro, il pentito Pasquale Di Fiore parla nell’interrogatorio in cui illustra il piano per colpire a morte il pm D’Onofrio («per il suo accanimento investigativo finalizzato alla distruzione di massa dei camorristi acerrani») e un maresciallo della compagnia dei carabinieri di Castello di Cisterna. Un piano originariamente a prova di pentiti, da trattare con pochi interessati, gli stessi che hanno le chiavi delle casse delle estorsioni sui rifiuti.
Ecco cosa racconta il pentito nel verbale trasmesso dalla Procura generale di Napoli alla Corte d’appello, dove è in corso il secondo grado di giudizio per una decina di presunti boss e gregari della zona vesuviana: «In quel periodo, per dimostrare la buona fede nell’accordo che cercavamo di raggiungere, ho fatto incontrare mio zio Michelangelo con Giuseppe Avventurato, che fa parte del gruppo di Antonio Aloia (uno che chiedeva lo svecchiamento delle gerarchie criminali a colpi di morti ammazzati, ndr). Dovevamo fare un incontro con il clan Moccia di Afragola (una famiglia che, tramite il suo penalista Saverio Senese, ha sempre rivendicato la propria estraneità rispetto alle accuse per fatti di camorra e malaffare, ndr), in relazione alla tangente di 20mila euro che io ricevevo mensilmente dai due fratelli per il deposito di ecoballe e poi altri ventimila euro al mese per la raccolta dei rifiuti».
Soldi cash, c’è l’ipotesi di una cassa comune, sulla falsariga si quanto avveniva negli anni Ottanta con la Nuova famiglia nella gestione delle grandi commesse post terremoto: i soldi arrivano a tutti, in relazione al peso specifico di un clan in una zona interessata da un appalto o da un’opera pubblica. Anche qui sembra che ci sia una joint venture del crimine capace di assicurare tangenti di ventimila euro mensile per il doppio ingombro: quello delle ecoballe depositate anche in una parte di territorio vesuviano e quello della raccolta dei rifiuti su una zona più circoscritta. Piazzate in un ampio territorio del Casertano, le ecoballe sono state per anni al centro di scontri politici e di indagini giudiziarie.
Oggi, c’è un collaboratore di giustizia di ultima generazione che sembra fare luce sull’indotto legato alla gestione di siti di stoccaggio e di conferimento. Inchiesta in corso, tanti omissis al centro di un verbale fresco di deposito. Non è impossibile immaginare le mosse degli inquirenti, a partire dallo spulcio degli imprenditori dell’area aversana interessata dai conferimenti di rifiuti. Armi, attentati e soldi, dicevamo. E imprese private: l’ultima fonte d’accusa è quella di un pentito di trent’anni non ancora compiuti, che probabilmente sa poco su cosa è accaduto nelle prime fasi dell’emergenza rifiuti, ma può fare i nomi dei signori della «monnezza» di ultima generazione.

mercoledì 23 novembre 2011

7 anni fa la tortura di Gelsomina Verde, vittima di camorra dimenticata. Clownterapia ai bimbi per ricordarla

di Giuseppe Crimaldi
NAPOLI - Da un lato il dolore, quello che resta e non si stempera mai, nemmeno con il passare del tempo. Dall’altro la speranza: il motore che aiuta ad andare avanti, un turbo salutare , soprattutto quando si riesce a coniugare concretamente impegno e solidarietà.
Sette anni fa veniva assassinata brutalmente Gelsomina Verde, la ragazza di San Pietro a Patierno finita senza colpa nel novero delle vittime della prima faida di camorra di Secondigliano, quella combattuta tra i Di Lauro e gli Amato-Pagano. Vittima innocente. Morta solo perché, tempo prima, aveva avuto la sventura di conoscere la persona sbagliata: un giovane finito nella lista nera dei killer di «Ciruzzo ’o milionario» considerato traditore e pertanto oggetto di vendetta immediata.
Gli aguzzini della camorra partiti dal Rione dei Fiori la sequestrarono per strada, attirandola in una trappola con l’inganno; poi la seviziarono, infliggendole sofferenze atroci, pur di ottenere dalla ragazza una verità che non avrebbe mai potuto rivelare: il luogo in cui si nascondeva il «traditore».
Sette anni dopo nulla è cambiato per la famiglia di Gelsomina Verde. La giustizia ha fatto un corso molto parziale (di tutti gli indiziati dell’omicidio uno solo è stato condannato con sentenza passata in giudicato); ma soprattutto di Gelsomina sembra si siano dimenticati tutti. A cominciare dalle istituzioni. Non una targa, non una sola commemorazione, nemmeno una corona di fiori della Municipalità a testimoniare la presenza dello Stato che - troppe volte - dimostra memoria cortissima soprattutto in zone nelle quali vivere continua a essere difficile. Soprattutto nell’area nord di Napoli.
Chi invece non dimentica sono i familiari della povera ragazza. A cominciare dal fratello Francesco, che stamattina - e qui il dolore si trasforma in speranza e impegno sociale - vorrà ricordare la data dell’uccisione di sua sorella con la sua organizzazione «Progetto per la vita Onlus», che da tempo si dedica ad alleviare le sofferenze dei bimbi negli ospedali pediatrici. La parola magica è: clownterapia. Tra le corsie della sofferenza degli ospedali pediatrici Francesco e il gruppo di ragazzi che con lui animano le giornate dei piccoli degenti ricorderà sua sorella, senza mai nominarla.
«È il modo più bello per farlo - spiega - che serve anche a superare le amarezze mie e dei miei genitori, ormai completamente abbandonati dallo Stato». Chi non ha mai abbandonato Francesco è invece il pubblico ministero Giovanni Corona, a suo tempo titolare dell’inchiesta sulla faida di Secondigliano. L’appuntamento è per le 10,30 nel reparto di pediatria dell’ospedale della Annunziata, diretto dal professor Antonio Correra. Ci sarà anche l’ex assessore comunale all’Ambiente Rino Nasti.
«Tinteggeremo tutte le stanze di degenza - spiega Francesco Verde - Sei locali sono già terminati, grazie alla contribuzione offerta dal dottor Gianfranco Lombardi che dirige l’Istituto vendite giudiziarie. Ne restano altrettanti da fare. Colori vivaci e forti alle pareti, perché la gamma cromatica quanto più è luminosa tanto più aiuta e solleva il morale dei piccoli degenti. Poi vi applicheremo figure di personaggi dei cartoni animati con carta lucida gommata: e avremo la stanza del re Leone, quella di Peter Pan e così via».
Particolare importante: tutto verrà fatto a spese dei ragazzi della Onlus. E peccato che domani all’appuntamento non ci sarà il sindaco di Napoli. «A de Magistris - dice Francesco - avevo portato io stesso l’invito in Comune. Ma non mi hai contattato, e questa è certamente una piccola delusione per tutti noi».
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Al Vomero una «piazza della legalità» intitolata a Giancarlo Siani

NAPOLI - Una «piazza della legalita» intitolata a Giancarlo Siani, giornalista de 'Il Mattinò ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985. È il progetto annunciato dal sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, in occasione dell'inaugurazione della nuova biblioteca del Palazzo di Giustizia di Napoli intitolata a Girolamo Tartaglione, magistrato assassinato il 10 ottobre 1978 e il cui omicidio fu poi rivendicato dalle Brigate Rosse. «È un progetto molto ambizioso - spiega de Magistris - che lanceremo il 26 novembre, sarà esposta la macchina di Giancarlo per un giorno e lanceremo un concorso per i giovani sul tema della legalità». Il largo che sarà intitolato a Siani è quello noto come rotonda di Via Caldieri, nel quartiere Vomero, rinnovata di recente. «La legalità - aggiunge il sindaco di Napoli - è qualcosa di profondo, ha radici nella Costituzione e nei sacrifici che tante persone fanno ogni giorno, da chi ci ha rimesso la vita come Siani e Tartaglione come altri che pagano prezzi altissimi per difenderla». L'amministrazione, conclude, «ha attivato un percorso molto serio sulla legalità, di cui il 26 novembre sarà solo una delle tante tappe».

Arrestato uno dei killer di Flagiello boss che sfidò il clan Verde a S. Antimo

NAPOLI - I carabinieri hanno arrestato uno degli esecutori materiali dell' omicidio del pregiudicato Bruno Antimo Flagiello, affiliato al clan camorristico Verde, avvenuto il 16 novembre 2005 a Sant' Antimo.
Si tratta di Antonio Picciulli, 31 anni, genero del boss Antonio Verde, detto «capuzzella».

Alla sua identificazione si è giunti grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia: Giannantonio Masella, Giuseppe Storace, Salvatore Tixon.

Secondo quanto appreso dagli investigatori l'omicidio di Flagiello sarebbe stato deciso all'interno dello stesso clan Verde per punire alcuni suoi comportamenti e l'insofferenza agli ordini dell' organizzazione criminale. Oltre ad aver avuto ad un litigio con Picciulli, la vittima aveva esploso colpi di pistola contro il negozio di Marta Puca, moglie di Antonio Verde, aveva minacciato con una pistola il figlio, Italo, ed avrebbe esploso colpi di pistola contro il cancello dell' abitazione di un altro esponente del cla, Antonio Verde, detto «'O Ferraro».

Picculli è stato trasferito nel carcere di Poggioreale in attesa dell' interrogatorio di garanzia che sarà fissato dal gip.

Bruno Antomo Flagiello, 37 anni, soprannominato «Scapece», pregiudicato per numerosi reati, fu raggiunto la sera del 16 novembre 2005 dai killer a bordo di una moto in via S. Anna, una traversa di via Trieste e Trento, periferia di Sant' Antimo, non lontano dalla sua abitazione.

Accortosi dell' arrivo dei sicari, il pregiudicato cercò di fuggire correndo a zig-zag, ma fu raggiunto e colpito da tre proiettili esplosi e distanza ravvicinata.

sabato 19 novembre 2011

Il Monte Faito come Colombia e Messico. I contadini cacciati dai narcotrafficanti

di Pietro Treccagnoli - INVIATO
GRAGNANO - Effettivamente visto da Castellammare il monte Faito incombe come un enorme canapone che, se sei portato allo sballo, te lo fumeresti tutto. Sarà stato anche questo ad averlo fatto eleggere a terra consacrata per le piccole piantagioni di canapa indiana , di orticelli di marijuana casalinga, quasi fossimo nella Colombia o nel Messico dei narcos, quelli trattano coca che è un altro pianeta.
A sentire il sindaco di Gragnano, Annarita Patriarca, ci siamo già. E da tempo. Lei l’ha denunciato pubblicamente: «I contadini delle nostre terre sono stati minacciati dai clan. Prima qui si coltivava il grano, ora la droga». Non è una novità, piuttosto una conferma politica. I carabinieri in questi anni hanno fatto centinaia di sequestri e hanno stilato raffiche di denunce.
Ma, c’è poco da fare: canna di montagna, il gusto ci guadagna. Stabia come Medellin? Sarà, sui Lattari le piantagioni (facciamo vivai, dai) proliferano, ma sono diffuse pure in pianura, nel Nolano, nel Giuglianese, nel Frattese, dove sessant’anni fa l’italianissimaa canapa era coltivata industrialmente ad uso tessile. Ora da quelle parti i contadini sono minacciati (o comprati) per chiudere un occhio sull’interramento dei rifiuti tossici. Dalla gloria mundi alla gloria immundi.
E risaliamola, allora, la montagna incantata, che regala qualche angolo segreto da dove godersi Napoli ancora più lontana di quanto le concede la geografia. Perché quassù ci si addentra in un altro territorio mentale tra i fazzoletti di vigneti, i piccoli orti dove le contadine con il fazzoletto stretto al mento si piegano a zappare, gli ulivi superstiti, i filari di castagni invadono le strade che diventano sempre più strette fino a scomparire e ti ritrovi in un prato come un terrazzo sul golfo, le chiesette dei borghi sopra Casola, Caprile, Aurano, gli altarini di giovani vite spezzate da un incidente, i ristoranti aperti solo di sera e nei weekend e che vanno oltre il panuozzo della gente di pianura, gli agriturismo e l’ultimo striscione maltrattato dal vento, davanti a un viottolo sterrato e a una staccionata fradicia, che promette «L’Angolo di Paradiso» e tu, per un attimo, speri di essere approdato alla metà, dove il mantra potrebbe essere «io sballo da solo», perché, tutt’attorno non c’è anima viva neanche a pagarla.
Diciamo che non sembra di essere penetrati in territorio controllato. Quindi è terra di nessuno, non fosse altro per la sua configurazione orografica, oltre che per il carattere dei nativi. Se chiedi in giro della faccenda della marijuana, nessuno ti contraddice. Confermano. La coltivano, certo. Ma non qui a Gragnano, ma ad Agerola o sul famigerato Monte Mègano. «Volete andarci?» chiede meravigliato Antonio, un contadino piccoletto e con i mobilissimi occhi azzurri sotto cappellino da baseball. «Ma ce l’avete l’elicottero o almeno un Suv?».
E se la ride. Poi racconta che lì sopra chiunque può fare quello che gli pare. «La droga» continua, provando a dirottare sospetti il più lontano possibile «la trattano i caprai delle montagne». Sembra roba di una novella di Verga, macché, parla sempre di Agerola: «Quelli recintano un campo, ci allevano gli animali, alla fine spianano il letame, che è un bel concime, e così le piante di droga crescono belle grosse». E chi lo ferma più: «Quelli sembrano cafoni, ma hanno la faccia tagliata. Sapete che mi ha detto uno di loro? Tu pianti le patate e le patate ti trovi».
E le minacce? «Dove c’è guadagno, spesso non serve nemmeno minacciare». Giù nella Valle dei Mulini, perché un tempo Gragnano era terra di pastai, ora sono solo ruderi che altrove avrebbero attirato investimenti turistici, ma qui servono per raccogliere sfravecatùre da abusi edilizi, tra le prime ombre accanto a un torrente secco, c’è pure chi confessa che coltivare erba da fumare può essere un affare senza rischi. Prendi, incarta e porta a casa. «E chi ti vede?» spiega, giusto per farti fare la figura del fesso, Eugenio un piccolo imprenditore che si occupa di coperture di tetti.
«Ma poi può capitare che ti ritrovi la droga in casa e nemmeno lo sai». Marijuana in incognito, mi faccia capire? «Qualche tempo fa ho trovato tre vasi con la canapa dietro il mio cantiere, in una zona appartata. Mica sono stato a chiedermi chi li aveva messi?». Chi li aveva messi? «E che ne so? Quelli la nascondono dove possono. E la spostano».
Sembra una barzelletta, mi scusi. «Io, comunque li ho presi, e li ho buttati giù nel vallone. Non voglio passare guai». Tutti sanno tutto. Ne parlano tranquillamente. E per qualcuno è un business come un altro. Ognuno è al corrente, ma nessuno va a denunciare. Non è solo omertà, c’è, neanche sotto sotto, qualche interesse. Di fronte ai soldi, che vuoi che sia uno spinello. È fenomeno così scoperto che nei ristoranti, alla sera, può capitare di vederti offrire un ammazzacaffé alla cannabis. «È successo proprio a me» confessa Paola, un’impiegata.
«Ero con degli amici e avevamo appena finito di cenare in un locale sopra il Faito, quando il gestore ci ha offerto un liquore speciale. Ha detto: se indovinate con che roba è fatto, vi regalo l’ultima bottiglia che mi è rimasta». Lei non l’ha bevuta, però. E i suoi amici non hanno avuto reazioni particolari. Quassù le guance sono rubizze. E non sempre è per il freddo che a novembre è già pungente. «La sera a me» riprende il saggio Antonio «basta una fetta di provolone, magari del Monaco, un pezzo di salame paesano e un bicchiere di Gragnano fresco. La droga mia è questa».
Sarà, ma l’impressione di essere burlati è forte assai. I vigneti sono sempre più raggrinziti e quei fumi che punteggiano la florida schiena del Faito, non saranno cannoni (sono solo rami secchi, infatti) eppure annebbiano la vista.

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venerdì 18 novembre 2011

Maxiblitz contro clan Di Lauro. Sequestrati 588 immobili

NAPOLI - Operazione della Guardia di finanza contro il clan Di Lauro. I militari del Comando provinciale di Napoli, con l'ausilio di elicotteri del reparto aeronavale, hanno eseguito il sequestro emesso dalla Dda di Napoli di 588 immobili , alcuni dei quali completati ed altri in fase di ultimazione (194 appartamenti, 194 box, 194 posti auto e 6 negozi), una vasta lottizzazione di oltre 50.000 mq. e quattro società di costruzioni ed immobiliari a Melito di Napoli. I beni oggetto di sequestro, per un valore commerciale di oltre 10 milioni di euro, fanno sapere le Fiamme Gialle, rappresentano il riciclaggio dei proventi delle attività delittuose del clan Di Lauro.
L'indagine vede coinvolte 29 persone tra amministratori comunali, componenti di organismi tecnici e gestori di società. Tra loro figurano due ex sindaci, uno dei quali, Alfredo Cicala, è già stato condannato in passato per associazione camorristica. I reati che il pm Maria Cristina Ribera contesta loro vanno dalla lottizzazione abusiva al falso in atto pubblico alla truffa edilizia aggravata. Gli investigatori hanno accertato che, per consentire la costruzione degli edifici, erano state emanate delibere illegali, non approvate dal consiglio comunale.
Melito: sequestrato il parco «Primavera»

MELITO. Operazione della Guardia di finanza contro il clan Di Lauro. I militari del Comando provinciale di Napoli, con l'ausilio di elicotteri del reparto aeronavale, hanno eseguito il sequestro emesso dalla Dda di Napoli di 588 immobili, alcuni dei quali completati ed altri in fase di ultimazione (194 appartamenti, 194 box, 194 posti auto e 6 negozi), una vasta lottizzazione di oltre 50.000 mq. e quattro societa' di costruzioni ed immobiliari aMelito di Napoli. I beni oggetto di sequestro, per un valore commerciale di oltre 10 milioni di euro, fanno sapere le Fiamme Gialle, rappresentano il riciclaggio dei proventi delle attivita' delittuose del clan Di Lauro.

L'operazione è stata battezzata "Primavera" dal nome che era stato dato al "parco", ossia all'insieme di immobili edificati illecitamente. Nel mirino delle Fiamme Gialle, in particolare, una delibera di Giunta attraverso la quale si dava il via libera alla lottizzazione, atto che però dovrebbe essere assunto dal Consiglio comunale. Tutta la lottizzazione, dunque, sia dal punto di vista negoziale sia giuridico, è stata il frutto di un abuso, senza tener conto nemmeno del piano regolatore comunale, e compiuta da ex sindaci, assessori e dipendenti degli uffici tecnici comunali.

L'indagine vede coinvolte 29 persone tra amministratori comunali, componenti di organismi tecnici e gestori di societa'. I 29 indagati nell'inchiesta contro il clan Di Lauro che ha portato al sequestro di 588 immobili sono in gran parte ex amministratori e tecnici del Comune di Melito (Napoli), dove la presenza del clan Di Lauro è da anni molto forte. Tra loro figurano due ex sindaci, uno dei quali, Alfredo Cicala, è già stato condannato in passato per associazione camorristica. I reati che il pm Maria Cristina Ribera contesta loro vanno dalla lottizzazione abusiva al falso in atto pubblico alla truffa edilizia aggravata. Gli investigatori hanno accertato che, per consentire la costruzione degli edifici, erano state emanate delibere illegali, non approvate dal consiglio comunale. (Fonte Ansa)

Preso a Mugnano il reggente degli scissionisti

MUGNANO. Un duro colpo alla camorra di Secondigliano è stato inferto questa mattina (domenica 13 novembre 2011, ndr) dagli agenti di polizia. La latitanza di Fortunato Murolo, reggente del clan Amato-Pagano, i cosiddetti “scissionisti”, è finita stamane, poco dopo le 8, in un villino di Mugnano. L’uomo, alla guida della cosca che diede inizio alla sanguinosa faida di Secondigliano e Scampia contro il clan Di Lauro, era sfuggito a una precedente retata del 19 maggio 2009, quando la polizia emise 109 ordinanze di custodia cautelare che misero in ginocchio la cosca. A far scattare le manette sono stati i poliziotti della sezione Narcotici della squadra mobile di Napoli. Murolo era ancora a letto, in una villetta di via Luca Giordano, nel comune a nord di Napoli, dove era andato per incontrare la moglie. L’accusa nei suoi confronti è associazione per delinquere di stampo mafioso. Murolo era da sempre un uomo di fiducia dei fratelli Raffaele ed Elio Amato, e di Cesare Pagano. Nel tempo ha scalato posizioni all’interno del clan. La sua ascesa è coincisa con gli arresti che hanno via via distrutto la cosca, con la cattura di Elio Amato e Cesare Pagano in provincia di Napoli, di Carmine Amato, ai Camaldoli, e di Domenico Antonio Pagano, reggente fino allo scorso febbraio. All’arresto dei capi è poi seguita la disarticolazione interna, con le varie retate della polizia, tra cui quella del 19 maggio, in cui furono arrestati 66 affiliati su un totale di 109 ordinanze di custodia cautelare.

A Mugnano per curare gli affari del clan
MUGNANO. Era sfuggito alla maxiretata del 19 maggio del 2009, 109 ordinanze di custodia cautelare che misero in ginocchio il clan Amato-Pagano (i cosiddetti 'Scissionisti'), diventando nel tempo l'attuale reggente della cosca di Secondigliano protagonista per anni a Napoli della sanguinosa faida di Scampia. La latitanza di Fortunato Murolo, 40 anni, è finita ieri mattina poco dopo le 8 in una villetta di Mugnano, in via via Luca Giordano. Ad arrestarlo sono stati i poliziotti della sezione Narcotici della Squadra Mobile di Napoli, da tempo sulle sue tracce. Gli agenti della Questura partenopea in seguito ad accuratissime e minuziose indagini hanno arrestato in esecuzione di un provvedimento di custodia cautelare in carcere Fortunato Murolo, 40anni, cognato di Elio Amato bloccato dagli stessi poliziotti nella primavera del 2009 sempre in esecuzione della stessa ordinanza. L’uomo aveva deciso di rincontrare la moglie dopo tre lunghissimi anni di latitanza e insieme a lei è stato trovato nella villetta di Via Giordano. Murolo ha sempre rivestito un ruolo di fondamentale importanza fin da prima degli arresti del 2009. Uomo di fiducia dei fratelli Raffaele ed Elio Amato e Cesare Pagano aveva il compito di ragioniere degli affari del clan, per poi ricoprire un ruolo di maggior responsabilità quale reggente in seguito agli arresti dei capo clan Raffale Amato avvenuto in Spagna mentre Elio Amato e Cesare Pagano nella provincia napoletana ed in ultimo Carmine Amato arrestato ai Camaldoli. Questo suo ruolo lo aveva portato ad avvicinarsi al territorio, lasciando un nascondiglio più sicuro, mettendo sulle sue tracce gli uomini della squadra mobile. Fortunato Mutolo è ritenuto responsabile dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso art. 416 bis.

sabato 12 novembre 2011

Operazione contro il clan dei Casalesi: 35 arresti

AVERSA. I carabinieri del comando provinciale di Caserta e del reparto territoriale di Aversa hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip presso il tribunale di Napoli, su richiesta dei pm della Direzione Distrettuale Antimafia. L'ordinanza e' stata consegnata a 35 presunti esponenti del clan Schiavone-Bidognetti. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura e traffico di droga. Duecento carabinieri di Caserta hanno eseguito gli arresti. Alla ricerca degli indagati hanno contribuito anche due elicotteri dell'Elinucleo dei carabinieri. Gli arresti sono stati eseguiti in diverse citta' italiane. I carabinieri tuttora stanno eseguendo decine di perquisizioni, non solo nelle abitazioni degli indagati. Tra i 35 destinatari del provvedimento restrittivo, ci sono anche il figlio del boss Francesco Bidognetti detto Cicciotto e'mezzanotte, Raffaele, il super-killer Giuseppe Setola e il suo "sergente" Alessandro Cirillo, tutti gia' in carcere e condannati. L'indagine che ha portato agli arresti odierni, coordinata dai pm Cesare Sirignano, Giovanni Conzo e Catello Maresca della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha svelato un traffico di droga che partiva dalla Campania e interessava diverse regioni d'Italia, tra cui la Calabria. In manette e' finito anche il nuovo presunto leader della camorra nell'Agro Aversano, Giacomo D' Aniello, che ha preso le redini in mano della criminalita' organizzata dopo l'arresto dei capizona Lorenzo Ventre e Luigi Chianese, detto Giggino 'o santo.        

Usura, prestiti con tassi fino al 1800%. Alunna minacciava maestra per conto del padre strozzino: papà ti vuole bene

NAPOLI - Dalle indagini sulla banda di usurai sgominata questa mattina dalla Guardia di Finanza è emerso che uno dei destinatari della misura cautelare, L. L., di 37 anni, aveva indotto la figlia, alunna di una scuola elementare, a minacciare la maestra, pesantemente indebitata. Queste le parole che la piccola (ovviamente non imputabile) ha rivolto all'insegnante, costringendola a ritrattare le deposizioni rese alla polizia giudiziaria: «Maestra, a proposito, ti voglio dire che papino ti vuole bene, ti saluta e mi ha detto che ti devo dire che nella cella con lui c'è anche Roberto la carogna»; «Maestra, stai proprio inguaiata, papà ti manda tanti saluti, statevi attenta».

La donna, oltre a lavorare in una scuola elementare, gestisce una galleria d'arte assieme al marito e alla figlia; proprio questa attività l'aveva fatta trovare in ristrettezze economiche dopo aver subito una truffa, inducendola a rivolgersi alla banda di usurai per avere denaro in prestito. Il suo contatto iniziale è stato un altro degli arrestati, Francesco Carotenuto, padre di un'ex allieva della maestra.

La Guardia di Finanza di Napoli ha smantellato un'organizzazione di usurai che, in varie regioni d'Italia, applicava tassi fino al 1800 per cento. I proventi delle estorsioni venivano investiti in società fiduciarie. Le Fiamme Gialle hanno arrestato
13 persone e sequestrato beni per 9 milioni di euro. Nell'operazione, coordinata dalla Procura di Torre Annunziata, sono stati impiegati oltre cento finanzieri.

La Procura di Torre Annunziata sottolinea che questo procedimento sia, tra l’altro, la dimostrazione di quanto sia necessario l’impiego dello strumento investigativo delle intercettazioni telefoniche. Ciò non solo in considerazione del fatto che è un mezzo d’investigazione efficace ma anche perché la spesa affrontata per l’effettuazione delle intercettazioni è stata di gran lunga inferiore rispetto al valore dei beni sottoposti a sequestro. Difatti, le intercettazioni telefoniche sono costate allo Stato la somma di euro 7.242,60 mentre il valore del patrimonio sottratto alla disponibilità degli indagati è stato stimato come ammontante ad euro 9.122.947,43.

La banda di usurai operava sull'intero territorio nazionale e, in particolare, in Campania, Lazio, Umbria, Lombardia, Friuli e Calabria. La Guardia di Finanza ha sequestrato beni (immobili, autovetture, polizze vita, conti correnti bancari) per un valore di circa 9 milioni di euro.

Tra gli indagati risulta coinvolto anche un dirigente bancario, responsabile di prestiti con tassi di interesse compresi dal 300% al 1000% annuo.

Le indagini hanno avuto inizio nel 2009 in forza delle evidenze emerse nell’ambito di un altro procedimento penale nel quale le vittime del reato - un intero nucleo familiare di imprenditori di Torre Annunziata - risultavano sottoposti a debiti di matrice usuraria da parte di Osvaldo Ferrucci. In quest’ultimo procedimento Ferrucci è stato condannato nel 2008 dal Tribunale di Torre Annunziata a 7 anni e 6 mesi di reclusione, pena poi ridotta in sede di Appello, ed è stata disposta la confisca di beni per circa 2 milioni di euro tra i quali due centri di raccolta scommesse.

Da quelle indagini sono stati sviluppati ulteriori accertamenti - eseguiti anche mediante intercettazioni telefoniche e tradizionali tecniche investigative quali accertamenti bancari e documentali - che hanno permesso di appurare come gli indagati sopra menzionati fossero dediti a traffici usurari facendo frequentemente ricorso a minacce estorsive nei confronti delle loro vittime per la restituzione dei prestiti.

Sul piano dei sequestri patrimoniali, le articolate e complesse indagini della Guardia di Finanza del Gruppo di Torre Annunziata hanno permesso di accertare beni intestati agli indagati o a loro familiari nettamente sproporzionati rispetto ai redditi leciti da questi dichiarati.

Il caso più eclatante ha riguardato l’intera famiglia degli arrestati Francesco Carotenuto e Teresa Manzillo che avevano intestato alle 4 figlie (Anna Carotenuto, Maria, Filomena e Carmela, tutte di Torre Annunziata) gli ingenti profitti dell’usura, risultando così, nel complesso, intestatari di un patrimonio sottoposto a sequestro dalle Fiamme Gialle stimato in oltre 4 milioni di euro tra immobili, polizze assicurative sulla vita, conti bancari, rapporti postali e investimenti in titoli finanziari.

Sono stati quindi rilevati fruttuosi reimpieghi dei proventi dell’usura in capo alle figlie degli arrestati Carotenuto/Manzillo, consistiti in investimenti per oltre 500 mila euro anche attraverso società fiduciarie, al fine di “schermare” i reali investitori dei fondi, impiegati nell’acquisto di titoli obbligazionari nazionali/esteri e nella sottoscrizione di polizze sulla vita. Alla maturazione dei profitti, quindi, dopo aver dato formale provenienza lecita degli stessi fondi affidati in gestione a società fiduciarie, gli investimenti sono tornati nella disponibilità delle figlie degli arrestati e sequestrati oggi su conti bancari e polizze sulla vita.

Nel complesso, gli imprenditori avevano la maggior parte dei loro debiti con i coniugi Francesco Carotenuto e Teresa Manzillo, circa 500.000 euro, con un tasso di interesse annuale più elevato pari a 521,43%. Si riportano di seguito l’ammontare complessivo dei prestiti per ciascun indagato e l’interesse più alto praticato: per oltre 100.000 euro con Osvaldo Ferrucci (120%), 40.000 euro con Vittorio Agnello (48%), 25.000 euro con Francesca Cirillo e Giuseppe Grassi (1.825%), per 120.000 euro con Luigi Icarne e Nunzia Ambruoso (180%), 21.000 euro con Luisa Flauto (120%), 140.000 euro con Michela Flauto (60%), circa 160.000 con Gennaro Siano (30%), 25.000 euro con Camillo Cirillo (1.010,77%).

Questi gli indagati:

►1. Francesco Carotenuto, alias Franchino e/o Pacchiotto, 66 anni di Torre Annunziata;
►2. Teresa Manzillo, alias ‘a cazettara, 65 anni di Torre Annunziata, moglie di Carotenuto Francesco,
entrambi sottoposti agli arresti in carcere;
►3. Osvaldo Ferrucci, 66 anni di Torre Annunziata;
►4. Vittorio Agnello, alias Vittorio ‘o nano, 56 anni di Torre Annunziata, responsabile anche di minacce;
►5. Ludovico L., 37 anni di Torre Annunziata, attualmente detenuto, indagato solo per minacce;
►6. Francesca Cirillo, alias ‘a pazza di Bosco, 53 anni di Boscotrecase, indagata anche per estorsione;
►7. Luisa Flauto, alias Luisina ‘a suricilla, 77 anni di Torre Annunziata;
►8. Michela Flauto, alias ‘a cummàra, 75 anni di Torre Annunziata;
►9. Luigi Icarne, alias Gigino ‘o pazzo, 47 anni di Torre Annunziata, indagato anche per estorsione;
►10. Gennaro Siano, 73 anni di San Gennaro Vesuviano, tutti destinatari degli arresti domiciliari;
►11. Giuseppe Grassi, 52 anni di Boscotrecase, marito di Francesca Cirillo;
►12. Cirillo Camillo, 56 anni di Torre Annunziata,
destinatari del provvedimento del divieto di dimora nei Comuni di Torre Annunziata e Torre del Greco;
►13. Nunzia Ambruoso, 44 anni di Boscotrecase, moglie di Luigi Icarne, destinataria del provvedimento di obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria;
►14. Carlo Caglione, 53 anni di Torre Annunziata;
►15. Lucia Palumbo, 40 anni di Torre Annunziata, moglie di Agnello Vittorio, indagata, unitamente a Carlo Caglione, per concorso in usura con l’arrestato Vittorio Agnello.

Metrò, nel cantiere Municipio spuntano le terme romane

NAPOLI - Basta scavare, a Napoli, e neanche tanto in profondità, per ritrovare la storia millenaria della città: due edifici termali di epoca romana e un intero quartiere medievale, risalente al XIV secolo dopo Cristo, sono emersi durante i lavori di scavo della Linea 1 del Metrò a piazza Municipio.

In prossimità di palazzo San Giacomo, a una quindicina di metri dall’attuale livello stradale, gli archeologi della Soprintendenza archeologica speciale di Napoli e Pompei, coordinati da Daniela Giampaola, hanno difatti intercettato due terme e una strada. I due edifici, risalenti all’età augustea - siamo in pieno periodo romano, tra la seconda metà del primo secolo avanti cristo e la prima metà del primo secolo dopo Cristo - affacciavano su quello che all’epoca era il porto della Neapolis romana.

Erano stati costruiti in quella zona proprio per servire chi, viaggiatore, commerciante o marinaio arrivava a Napoli e voleva trovare immediato ristoro dalle fatiche del viaggio prima di addentrarsi tra decumani e cardini della città. Le due terme, quasi certamente gestite da proprietari differenti, anche se non si esclude che in seguito possano aver avuto un padrone unico, erano situate in posizione scenografica (affacciavano sul Golfo, con di rimpetto il monte Vesuvio) proprio accanto alla strada che divideva la terraferma dalla battigia e dunque dal mare.

La strada intercettata, che era in terra battuta ed attrezzata con laterizi e pietre, era delimitata da un terrazzamento. «Questi nuovi rinvenimenti - sottolinea Giampaola - sono riferimenti importanti perché ci consentono di completare la comprensione dell’occupazione della linea di costa. Gli edifici rinvenuti, difatti, si affacciavano sul mare, dove abbiamo trovato le barche. E la strada, quasi certamente, era la famosa via ”per Cryptam”». Ovvero, la via che da Neapolis portava ai Campi Flegrei e a Puteoli, Pozzuoli, attraversando la Crypta Neapolitana, il tunnel scavato nella collina di Posillipo e lungo più di settecento metri.

Gli edifici era stati realizzati in opera reticolata (una tecnica di edilizia romana usata per costruire le murature posizionando i mattoni sugli spigoli) di buona fattura. Non si sono rinvenuti i marmi, che all’epoca erano stati usati per rivestire e impreziosire pareti e colonne, perché è possibile un loro riutilizzo in altre strutture e in epoche successive. Ma si sono trovati frammenti di piano pavimentale a mosaico, in opus spicatum (opera spicata, laterizi disposti a spina di pesce), anche se questi appaino quasi del tutto distrutti in epoche antiche.

Le terme vissero a lungo. E, altrettanto lungamente rimasero in attività. Sono state trovate, difatti, tracce di frequentazioni che arrivano sino al III secolo dopo Cristo. «E - come sottolinea la soprintendente Cinquantaquattro - presentano anche diverse fasi d’uso con cambiamenti della disposizione degli ambienti».

Vale a dire che gli edifici, nel corso del loro utilizzo, con ogni probabilità vennero ristrutturati dal punto di vista architettonico sia per migliorare le tecnologie impiegate per il riscaldamento degli ambienti sia per motivi squisitamente commerciali e finalizzati a incrementare la clientela. L’indagine archeologica ha anche consentito di trovare strutture portuali che risalgono al VI secolo dopo Cristo. Situati proprio al di sotto della strada, gli edifici, con ogni probabilità, dovrebbero essere dei magazzini utilizzati come deposito per le merci.

Non interessa strutture romane, invece, il ritrovamento avvenuto nell’area di Via De Pretis, ma edifici del XIV secolo dopo Cristo. «Stiamo analizzando le strutture per comprendere se esse facevano sistema tra loro sino a costituire uniche unità abitative» osserva Giampaola, sottolineando poi come il ritrovamento sia di «assoluta valenza storico scientifica perché sono emersi ambienti che fanno parte di ben tre isolati. Un momento storico importantissimo perché si tratta di un’epoca in cui il bacino era stato interrato e sopra di esso, nelle sue prossimità, vicino al Castello, si iniziava a costruire un segmento della Napoli medievale».

L'istituto «G.Moscati» e il progetto «Scuola si-cura»

SANT'ANTIMO. Si è svolto ieri, alle ore 10, presso l'Auditorium Biblioteca di S.Pietro a Patierno, il workshop illustrativo del Progetto “Scuola Si-Cura”, che vede in rete l'Istituto Superiore“Moscati” di Sant'Antimo, l'Istituto Superiore “Elsa Morante” di Napoli e l'IPSSCT “V.Veneto di Napoli. Il progetto è stato approvato, in seguito alla partecipazione al bando “Cittadinanza, Costituzione e Sicurezza” del MIUR-ANSAS, al dodicesimo posto tra i 48 approvati su 3000 presentati. Le cifre indicano da sole l'attenzione spesa dalle scuole e dall'Università coinvolte, nella stesura e elaborazione del percorso progettuale. Presenti i rappresentanti degli Enti Locali e Istituzionali, tra cui il presidente della VIII municipalità di S.Pietro a Patierno, i responsabili della sicurezza nelle scuole della URS Campania, il rappresentante del Collegio dei Periti Industriali Gennaro Pezzurro. Relatrici la prof.ssa Teresa Boccia, la prof.ssa Carmen Cioffi, entrambe dellaL.U.P.T.Università Federico II. Erano presenti una rappresentanza degli studenti, dei genitori e dei docenti delle tre scuole coinvolte. Il progetto è stato illustrato in tutte le sue fasi. Si tratta di un percorso sia teorico che laboratoriale, che intende informare ma soprattutto formare tutti gli operatori e fruitori della scuola nelle materie relative alle indicazioni ministeriali di Cittadinanza, Costituzione e Sicurezza. Durante le varie fasi, illustrate dalle relatrici, alunni, docenti, ma anche e soprattutto i genitori, seguiranno nel proprio territorio un vero e proprio percorso di analisi che evidenzi i rischi per la sicurezza, di vita e di lavoro, tentando di cercare delle soluzioni. Attraverso visite reali nei luoghi frequentati dai ragazzi, i giovani saranno guidati, anche attraverso la realizzazione di filmati, a cogliere elementi che diano il segnale del rispetto o meno di una situazione di legalità e sicurezza, a partire dai quartieri del proprio territorio. Il coinvolgimento dei genitori nella realizzazione di questo progetto sarà una conquista per la strada del cambiamento in campo di cittadinanza attiva e cultura della legalità, collegate al tema bollente delle Sicurezza.       

domenica 6 novembre 2011

Tenta di sfuggire ai rapinatori per proteggere la fidanzata: studente ucciso. Gli universitari:una taglia sugli assassini

CASTELLAMMARE DI STABIA - Uno studente di 27 anni, Carlo Cannavacciuolo è stato ucciso durante un tentativo di rapina compiuto da due malviventi a Santa Maria La Carità , in provincia di Napoli. Il giovane si era appartato in una Panda con la fidanzata venticinquenne dopo aver festeggiato il proprio onomastico, quando si sono avvicinati i banditi armati.

I rapinatori, a volto coperto e uno pistola in pugno, hanno intimato alla coppia di consegnare soldi, telefonini e oggetti di valore.

A questo punto Carlo Cannavacciuolo ha messo in moto l'auto e, ingranando la retromarcia, ha tentato di fuggire. Il bandito armato ha fatto fuoco e ha ucciso lo studente. I due malviventisi sono subito dileguati senza portare a termine la rapina. Sull'omicidio indagano i carabinieri di Castellammare di Stabia.

Dalla ricostruzione fatta ai carabinieri dalla fidanzata della vittima, si sono ricostruite le ultime ore del giovane: Carlo, neo-laureato in veterinaria, dopo aver festeggiato l'onomastico in famiglia, è poi uscito con la fidanzata, studentessa universitaria alla Federico II, ed aveva fermato l' auto in via Ponticelli, una stradina periferica, in campagna, scelta dalle coppie per appartarsi.

L' aggressione è scattata - secondo la ricostruzione dei carabinieri - poco dopo mezzanotte. I due banditi avevano il volto incappucciato e sono giunti e fuggiti a piedi. La fidanza del giovane, in forte stato di choc, è stata ascoltata dai carabinieri della compagnia di Castellammare di Stabia, che conducono le indagini. La salma di Cannavacciolo è stata trasportata all' obitorio di Castellammare, in attesa dell' autopsia.

Carlo Cannavacciuolo ha tentato invano una disperata fuga dai rapinatori che gli hanno sparato ma è riuscito a percorrere solamente una cinquantina di metri a retromarcia prima di morire. È quanto emerge dalla posizione dell'auto, così come ritrovata dai carabinieri. Via Ponticelli è una strada utilizzata solitamente dalle coppietta per appartarsi, ma anche dai tossicodipendenti che vanno a “bucarsi”. È un'arteria stretta che si trova in mezzo ad alcuni campi coltivati. Il giovane ha ingranato la retromarcia mentre i rapinatori sparavano ed è riuscito a percorrere solo un breve tratto prima che l'auto si bloccasse scavalcando il cordolo di protezione della strada.

«È partita una raccolta di fondi per mettere una taglia su questi delinquenti che hanno ucciso in modo barbaro il nostro collega, Carlo Cannavacciuolo». Lo dichiarano il presidente del Consiglio di Ateneo degli studenti dell'Università di Napoli 'Federico IÌ, Francesco Testa, e il presidente della confederazione degli Studenti Marcello Framondi. «Chi aiuterà le forze dell'ordine a catturarli - spiegano - riceverà un premio in denaro. Chiediamo al Rettore di proclamere il lutto universitario e di mettere le bandiere a mezz'asta. Non è giusto morire così e vogliamo che i delinquenti artefici di una tale barbarie siano assicurati alla giustizia». «Contribuiremo al fondo per la taglia istituita dagli studenti della Federico II - spiega il commissario regionale dei Verdi francesco Emilio Borrelli - perchè è giusto reagire contro la delinquenza anche in questo modo. Non si può morire a 27 anni per una rapina e rimanere fermi ad aspettare la prossima vittima. Siamo vicini e solidali alla famiglia del povero ragazzo. Purtroppo Napoli e provincia stanno vivendo una spirale di violenza e criminalità senza precedenti che nessuna istituzione o forza dell'ordine riesce ad arginare».

Casalesi: sequestro al clan per 25 milioni di euro

GIUGLIANO. Beni mobili, immobili, imprese e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di circa 25 milioni di euro sono stati sequestrati preventivamente a 19 affiliati, anche esponenti di spicco, del clan dei Casalesi fazione Bidognetti. Il provvedimento emesso dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere è stato eseguito dai finanzieri del comando provinciale di Finanze e dallo Scipo di Roma. Il sequestro è stato deciso nel corso del procedimento penale in fase dibattimentale che vede i 19 esponenti dell'organizzazione criminale attualmente imputati, insieme ad altri, dopo essere stati destinatari di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere eseguita il 17 aprile 2008 nell'ambito dell'operazione 'Dominum'. Nel corso del blitz sono state anche eseguite perquisizioni e sequestrati conti correnti, quote societarie, fabbricati anche di pregio e terreni in diverse province campane, auto e moto. Il provvedimento si inserisce nell'ambito delle indagini utili a individuare le disponibilità economiche e finanziarie del capoclan Francesco Bidognetti detto 'Cicciotto 'e mezzanotte' che, nonostante sia in carcere da diverso tempo avrebbe continuato a tenere le fila dell'organizzazione criminale e a coordinare le attività illecite soprattutto sul litorale domizio e nei territori dell'agro aversano. Il fine dell'organizzazione - secondo quanto riporta in una nota il procuratore aggiunto della Dda partenopea, Federico Cafiero de Raho - era gestire le attività estorsive, imporre il metodo mafioso nella gestione monopolistica nella distribuzione di video-pocker, caffè e pubblicità oltre a perpetrare agguati nei confronti dei rivali. La caratterista fondamentale di quest'indagine è di aver scoperto, attraverso l'impiego dell'applicativo 'Molecola' (sistema ideato dallo Scico in collaborazione con la Direzione nazionale antimafia che permette di incrociare notizie e dati di oltre 1.300 persone), l'esistenza di ingenti capitali che erano ancora nella disponibilità dei parenti di alcuni camorristi.

Gli indagati.Per la vicenda ci sono 37 persone indagate a piede libero. L’azione delle fiamme gialle, diretti dal generale Giuseppe Grassi, il colonnello Roberti Prosperi, il comandante del nucleo operativo Nicola Altiero e il capitano Antonio Riccardeffi, si inserisce nell’ambito di una più complessa attività investigativa finalizzata ad individuare le disponibilità economiche e finanziarie illecitamente accumulate nel tempo da diversi soggetti riconducibili, anche in virtù di legami familiari, al capoclan Francesco Bidognetti, il quale, nonostante fosse recluso da oltre un decennio, continua a tenere le fila dell’organizzazione criminale ed a coordinare le attività illecite perpetrate dalla compagine, soprattutto sul litorale domizio e nei territori dell’agro aversano, come di recente documentato dal tribunale di Santa Maria Capua.

Le indagini . In particolare, le indagini hanno permesso di accertare che il fine del sodalizio criminale era quello di gestire le attività estorsive, di imporre il metodo mafioso nella gestione monopolistica di determinate iniziative imprenditoriali, come, ad esempio, la distribuzione dei videopoker, del caffè e della pubblicità, nonché quello di imporre il proprio predominio sul territorio, oltre che con agguati contro i concorrenti.

I beni sequestrati.I beni sequestrati sono sul territorio di Mugnano, Giugliano e il Caserta. Vi era stata la proposta di sequestro anche di altri beni dei 37 indagati, però il tribunale ha disposto i sigilli solo ai beni di Vincenzo Caterino, Francesco Cerullo, Alessandro Cirillo, Pasquale Cristofaro, Giosuè Fioretto, Giovanni Gesmundo, Armando Letizia, Angela Incandela, Giovanni Letizia, Giuseppe Setola, Enrico Martinelli, Maria Tamburrino, Salvatore Spenuso, Antonio Verde, Giovanni Venosa e Biagio Sciorio. I sequestri hanno riguardato sia beni mobili e che immobili che negli ultimi anni nonostante i massicci interventi degli ultimi anni erano ancora nella disponibilità dei camorristi. “Nei confronti di Giuseppe Setola,- si legge nel provvedimento- sussistono gravi indizi di colpevolezza per il reato ascrittogli. Quanto al requisito della sproporzione patrimoniale, i redditi dichiarati dal nucleo familiare dell’imputato si appalesano al di sotto della soglia di sopravvivenza, il che determina la sussistenza dei presupposti per il sequestro preventivo del motociclo Honda SH acquistato nel 2008 da parte della coniuge Stefania Martinelli “.

Giovani, ricchi e sfrontati i rampolli del clan Mallardo

GIUGLIANO. Sono i 23 indagati nell'operazione messa a segno dagli agenti del Gico di Roma il 27 ottobre scorso ai danni del clan Mallardo operante a Giugliano e comuni limitrofi. Molti di loro sono giovani, alcuni giovanissimi e ricchissimi, tra cui i familiari del boss Giuseppe Dell'Aquila arrestato nel maggio scorso al termine di un'altra operazione ai danni del clan. Gli inquirenti hanno passato al setaccio tutte le attività del boss e anche grazie al racconto dei pentiti, hanno ricostruito i metodi che l'organizzazione criminale utilizzava per riciclare il danaro sporco, coinvolgendo anche attività imprenditoriali del territorio. Nel blitz, lo ricordiamo, è finito anche il parco giochi Girabilandia sito sulla circumvallazione esterna e molto frequentato non solo da famiglie locali, ma in molti casi da persone provenienti in gran parte dal capoluogo e dall'intera Provincia di Napoli. Il parco giochi Girabilandia fu già oggetto di sequestro da parte dell'autorità giudiziaria nel 2007, ma non per motivi legati ad attività camorristiche, il parco giochi finì sotto chiave per motivi legati alla concessione edilizia. Oggi invece gli inquirenti lo hanno sequestrato poichè legato al clan Mallardo e al riciclaggio di denaro proveniente dalle attività illecite.

Il potente clan Mallardo. I pentiti hanno fatto i nomi di professionisti, esperti nel truccare bilanci e far nascere ed estinguere società da un giorno all'altro. L'indagine del Gico di Roma, ha portato al sequestro di oltre 200 milioni di euro di beni. Tutto ciò dimostra quanto sia ancora potente il clan nonostante i colpi e gli arresti subiti negli ultimi anni. Per capire cosa renda i Mallardo uno dei clan più ricchi e potenti della camorra napoletana, è bastato fare un salto nelle campagne di Qualiano, alle 5 del mattino, gli uomini del Commissariato di Formia bussano al cancello, supportati dai finanzieri del Gico. Risponde una donna in pigiama, la voce mezza assonnata, l'aria confusa di chi non se l'aspettava. Il suo nome è nell'elenco dei 23 indagati. Ai poliziotti ed ai finanzieri ha risposto che "in fondo non c'è niente di male a mettere una firma". E' suo infatti il 50% delle quote di una delle società finite sotto sequestro.

Ecco i nomi delle 23 persone indagate. Gennaro Antonio Delle Cave 40 anni di Giugliano (detenuto), Giuseppe Cerqua 47 anni di Giugliano, Giulia Chiariello 40 anni di Giugliano, Salvatore Cicatelli 21 anni di Fondi (LT), Paolo Cremonini 43 anni di Bologna, Vittorio Emanuele Dell'Aquila 24 anni di Giugliano, Domenico Dell'Aquila 46 anni di Giugliano, Giuseppe Dell'Aquila 49 anni di Giugliano, Giovanni Dell'Aquila 52 anni di Giugliano, Pietro Paolo Dell'Aquila 44 anni di Giugliano, Roberto Garzelli 47 anni di Melito, Mariantonia Granata 38 anni di Qualiano, Massimo Imparato 40 anni di Giugliano, Antionio Maisto 36 anni di Giugliano, Carmine Maisto 24 anni di Giugliano, Concetta Maisto 26 anni di Giugliano, Francesco Maisto 59 anni di Giugliano, Pasquale Maisto 53 anni di Giugliano, Assunta Mattiello 29 anni di Giugliano, Gemma Mattiello 33 anni di Giugliano, Gennaro Mattiello 24 anni di Giugliano, Giovanni Rovai 39 anni di Giugliano e Antonietta Volpicelli 54 anni di Giugliano.

Casalesi. La moglie del boss minaccia il parroco

CASAL DI PRINCIPE. I casalesi minacciano il parroco di Casal di Principe. Così come accadde 20 anni fa a Don Peppe Diana, anche oggi è difficile essere prete in “Terra di lavoro”. La notizia è stata rilanciata dal Corriere in un articolo pubblicato poche ore fa e firmato da Marilena Mincione. La moglie del boss Sandokan, avrebbe detto al parroco di Casal di Principe: «La tua omelia non mi è piaciuta». Un segnale da non sottovalutare secondo gli esperti. Il clan tenta di rialzarsi dopo anni di umiliazioni da parte delle forze dell'ordine che hanno praticamente decimato il gruppo di comando. La Chiesa ha fatto molto dopo la morte di Don Peppe Diana e ora è diventata un fastidio ed ecco che la moglie del boss invia segnali inequivocabili. Altrimenti perchè la moglie del boss dovrebbe far sapere al prete che non l'è piaciuta la sua omelia?

Dal Corriere.it.

«Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie e in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa». Era il Natale del 1991, l'invito campeggiava nel documento diffuso nelle chiese di Casal di Principe e dell'Agro aversano «Per amore del mio popolo non tacerò». Roberto Saviano non aveva ancora consegnato alla ribalta non solo nazionale, con «Gomorra», gli affari del clan casalesi fino a quel momento noti solo agli addetti ai lavori. Non c'era l'esercito nelle strade, non c'era il «modello Caserta». Don Peppe Diana però, giovane parroco autore del manifesto, si era già schierato contro la camorra e proprio per le sue parole dal pulpito fu assassinato. Era consapevole, il coraggioso sacerdote, dell'importanza per quella lotta anche del commento dei spreti alle letture del giorno. Chissà se immaginava che proprio un'omelia, venti anni dopo, avrebbe provocato la reazione contrariata della moglie di un boss come Schiavone-Sandokan.

LA MOGLIE DEL BOSS IN SAGRESTIA - Invece è successo ancora: «Qualche giorno fa la moglie di Sandokan, dopo una funzione religiosa, è venuta in sagrestia e mi ha detto: la tua omelia non mi è piaciuta. Io le ho risposto: non devo piacere a lei. Lei si è arrabbiata ed è andata via». Don Carlo Aversano, parroco della chiesa del Santissimo Salvatore di Casal di Principe, riferisce l'episodio riguardante Giuseppina Nappa, moglie di Francesco Schiavone detto Sandokan, nel ribattere a una giornalista che ha parlato di «silenzio della chiesa nelle terre di camorra, chiesa che benedice le case dei boss e fa partecipare le loro mogli alle funzioni religiose».

IL RUMORE E IL SILENZIO - Il parroco ha fatto l'inquietante rivelazione durante una tavola rotonda — moderata dalla giornalista dell'Avvenire Valeria Chianese — che si è tenuta sabato nella curia di Aversa con i giornalisti, organizzata dalla locale diocesi. Un evento che di per sé ha un altissimo valore simbolico, perché denota la volontà della chiesa di aprire un dialogo con la comunità e la stampa locale. Lo si evince già dal titolo: «Il rumore, il silenzio e la parola».

LA MADRE DELL'AFFILIATO - Don Carlo riferisce un altro episodio che riguarda la madre di Salvatore Cantiello, soprannominato Carusiello, pluripregiudicato quarantunenne originario di Casal di Principe, ritenuto affiliato al clan dei casalesi: «La mamma di Carusiello prega tutte le mattine in chiesa per il figlio condannato all'ergastolo, non possiamo dirle di andare via. Il nostro compito è curare le anime. La chiesa è aperta a tutti». Anche monsignor Angelo Spinillo, vescovo di Aversa da gennaio, interviene sull'argomento, commentando che «chi nella comunità vive il peccato, può essere guidato dalla parola di Dio. I miracoli avvengono e bisogna credere nel valore della parola che trasmette vita, e sperare che tocchi anche loro».

LA TV DELLA DIOCESI - Il vescovo crede così tanto nella comunicazione da aver promosso un programma televisivo sui temi della vita pastorale, «Diocesi di Aversa tv», che sarà trasmesso da alcune televisioni locali. «La parola è un dono, ciò che fa l'uomo a immagine e somiglianza di Dio — commenta il presule — quando comunichiamo noi stessi trasmettiamo vita. Dobbiamo liberarci dalla tentazione di fare rumore e usare il silenzio per riorganizzare ciò che accade intorno. Ritengo che qualunque ministro della Chiesa avverta il bisogno urgente di essere in contatto coi membri della comunità». Il concetto è ribadito anche da don Carlo Villano, responsabile dell'ufficio comunicazioni sociali della diocesi: «Tutte le realtà della diocesi — spiega don Carlo — devono conoscersi e poi proporre all'esterno una parola, un impegno di testimonianza della chiesa per la legalità e contro la camorra».

IL VESCOVO: CAMORRISTI? FALSA RELIGIOSITÀ - Impegno annunciato un anno e mezzo fa anche dal vescovo di Caserta Pietro Farina che, in un'intervista al Corriere del Mezzogiorno, aveva definito la religiosità dei camorristi «una falsa religiosità perché non porta a una conversione del cuore: entrano in chiesa con una coscienza errata». E aveva invitato i parroci a rifiutare le offerte per i festeggiamenti religiosi se «notoriamente di cattiva provenienza».

Marilena Mincione
Corriere.it – 31/10/2011       

Madre e figlio arrestati per droga, lei prosciolta

SANT'ANTIMO. Madre e figlio furono arrestati per produzione di stupefacenti, detenzione illecita di armi da fuoco, munizioni e ricettazione lo scorso 13 aprile. Il Riesame ha disposto gli arresti domiciliari per Antimo Puca, 27enne, del luogo ed incensurato. Fu arrestato insieme alla madre, la cui posizione è stata stralciata e prosciolta. Puca è stato condannato a 4 anni e mezzo. A luglio, dopo appena 6 mesi, è stato scarcerato e sottoposto ai domiciliari presso il fratello a Castelgrande in provincia di Potenza. Difeso dagli avvocati Antonio Russo e Matteo Casertano ha ottenuto gli arresti domiciliari. I fatti risalgono allo scorso aprile. Dopo indagini i militari dell'Arma perquisirono in via Palazzeschi un casolare agricolo, scoprendo una piantagione di 40 piante di marijuana, del peso complessivo di 12 chili, abilmente attrezzata con sistemi elettrici automatici, composti chimici e guide tecniche per la coltivazione. Inoltre la successiva perquisizione domiciliare consentì ai militari di trovare nello scantinato le seguenti armi e munizioni: una pistola mitragliatrice skorpion calibro 7,65; una pistola calibro 38 special rubata il 15.4.2005 ad un 64enne di somma vesuviana; 2 carabine calibro 300 entrambi rubate il 22.11.2005 ad un 48enne di Avezzano; un fucile automatico calibro 12 rubato il 6.9.2007 ad un 54enne di Lusciano; 2 pistole a salve modificate calibro 18k e calibro 8k; un fucile calibro 12, legalmente detenuto; un coltello a serramanico di genere vietato: 200 cartucce di vario calibro. Tutto il materiale fu sequestrato.       

domenica 30 ottobre 2011

Arrestato Giuseppe Felaco, è il cognato di Nuvoletta

MARANO. E' stato arrestato a Marano di Napoli da i carabinieri della locale tenenza Giuseppe felaco, detto "Peppe Nazzaro", di 57 anni, già noto alle forze dell'ordine e ritenuto elemento di vertice del clan camorristico Nuvoletta, operante in zona. L'uomo è stato raggiunto da un mandato di arresto europeo emesso il 20 ottobre dall'autorità spagnola, per traffico di stupefacenti, estorsione, corruzione e riciclaggio. L`arrestato, a causa delle sue gravi condizioni di salute, su disposizione della corte di Appello di Napoli, è attualmente piantonato dai carabinieri nella sua abitazione in attesa di una adeguata misura cautelare.Felaco, 57 anni detto 'Peppe Nazzaro', è già noto alle cronache giudiziarie per associazione per delinquere semplice e di tipo mafioso, violazione della legge sugli stupefacenti, ricettazione continuata, furto, falso, emissione di assegni a vuoto. Ritenuto dagli inquirenti un personaggio di "elevata pericolosità sociale", è stato di recente condannato dal Tribunale di Napoli a 3 anni e 6 mesi di reclusione perché ritenuto parte integrante nell'organizzazione camorristica dei Nuvoletta. Dalle attivita investigative e dalle risultanze processuali è emerso che Felaco aveva il delicato compito di reimpiegare ed investire, in particolare nell'edilizia, gli ingenti capitali ricavati dalle attività illecite del clan, in particolare traffico di stupefacenti e armi ed estorsioni. Nel corso degli anni, l'uomo ha vissuto lunghi periodi di latitanza anche in Spagna. Il 13 settembre 2004 fu arrestato a Santa Cruz di Tenerife, per poi essere successivamenteestradato in Italia. Nel maggio 2007 gli è stata inflitta anche la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, misura a cui si è sempie sottratto, rifugiandosi ancora in Spagna.       

Don Guanella proclamato Santo. Festa a San Pietro e a Miano

di Rosanna Borzillo

NAPOLI - Stamattina, alle 4.30, in cinquecento si sono mossi da Miano (Napoli) per raggiungere piazza San Pietro: qui, alle 10, don Luigi Guanella, il «Garibaldi della carità» è stato proclamato santo da Benedetto XVI.
Accostato simbolicamente all’Eroe dei due mondi per il coraggio con cui ha affrontato ogni genere di impresa, don Luigi è nato il 19 dicembre 1842 in provincia di Sondrio.

In Vaticano troverà a fargli festa oltre 12mila pellegrini provenienti da ogni continente e i tanti religiosi delle due congregazioni da lui fondate: i Servi della Carità e le Figlie di Santa Maria della Provvidenza.

Accanto a loro il ragazzo per il quale don Luigi viene canonizzato: il giovane William Glisson, miracolosamente guarito nel marzo 2002 a Springfield, Philadelphia, dopo aveva riportato un trauma cranico, cadendo in skateboard.

Per «l’apostolo dei sofferenti», così come viene definito, Miano esulta. Qui, dal 1963 c’è la Casa dell’Opera Don Guanella che è punto di riferimento per bambini e famiglie. Qui, da cinquant’anni si lavora nel nome di don Luigi, nel rione a lui intitolato, a ridosso di Scampia.

«È un giorno di festa - commenta don Enzo Bugea Nobile, superiore e direttore dell’Opera Don Guanella - ci siamo messi in cammino con la speranza nel cuore». Con don Enzo i tanti ragazzi che frequentano il Centro diurno di Miano e la parrocchia di S. Maria della Provvidenza, i membri delle associazioni e i volontari di «Obiettivo Uomo»: una rete di persone, uomini e volontari che lavorano con e a fianco dei ragazzi per sperimentare «e vivere ogni giorno gli insegnamenti di don Guanella: “educare è essenzialmente cosa di cuore”, “tutti sono educabili, basta circondarli d’affetto, valorizzare i doni di natura, incoraggiare sempre senza avvilire, accompagnare nella crescita”», ricorda don Enzo.

La canonizzazione di don Luigi - aggiunge il superiore - «deve essere un’ulteriore spinta al rinnovamento della nostra città, del nostro quartiere, deve spingerci ad una maggiore attenzione ai più poveri perché ognuno impari a prendersi cura degli altri come una mamma prende sul cuore il proprio bambino».

«Oggi a Roma vivremo un momento di condivisione e comunione - dice don Enzo - con tutti i fratelli della famiglia guanelliana - e pregheremo perché San Luigi Guanella ci aiuti a continuare ad essere uno strumento nelle mani di Dio per realizzare quel bene, perché tutte le persone che incontriamo abbiano davvero un sentimento di gratitudine e un sorriso nei confronti della vita».

Don Guanella sentì molto il legame con la Campania, dove si recò per cinque volte. La prima, nel novembre del 1893, quando da Roma affrettò i suoi passi per venerare la Madonna del Rosario di Pompei di cui era molto devoto. Da Napoli, nel settembre del 1902, salpò per un pellegrinaggio in Terra Santa. A Napoli fu concluso il viaggio dal paese di Gesù e don Guanella non si lasciò sfuggire l’occasione per una seconda visita a Pompei: era il 20 ottobre 1902.

Il 22 febbraio 1913, sbarcava nuovamente a Napoli dopo il un faticoso viaggio in America. Appena due mesi dopo, don Guanella era di nuovo nella città partenopea per accompagnare le sue suore in partenza per le Americhe dove cominciava la sua opera. Anche in questa occasione il suo sguardo era fisso sull’effige della Madonna del Rosario di Pompei dove si recò nuovamente a far visita al suo amico Bartolo Longo.

Oggi la «truppa» di don Guanella è davvero nutrita. Il ramo maschile è presente con circa 450 religiosi in 19 nazioni, di 4 continenti ed è attiva nelle aree dell’educazione, riabilitazione, sanità e assistenza, promozione culturale delle persone senza istruzione di base. Il ramo femminile è presente con 900 religiose in 14 nazioni di 3 continenti.
http://www.ilmattino.it

Sorpresi mentre litigavano: carabiniere colpito al volto

SANT'ANTIMO. A Sant’Antimo tre arresti per rissa in un bar, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. I carabinieri della locale tenenza hanno arrestato in flagranza per rissa aggravata, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale: Ettore Comella, 47 anni, già noto alle forze dell’ordine, di professione barista; Vincenzo Badalamenti, 19 anni, incensurato, operaio; Francesco Raiano, 18 anni, studente incensurato tutti residenti a Sant’Antimo. Il trio è stato sorpreso e bloccati in via della libertà nel bar dello Sport mentre era in atto tra loro una violenta colluttazione nata per futili motivi. Il 47enne per sottrarsi all'arresto ha colpito un carabiniere con una gomitata al volto, tanto che il militare dell’arma e i due giovani hanno riportato le seguenti lesioni: 12 giorni per “frattura primo molare superiore sinistro” per il carabiniere; 2 giorni per “escoriazioni agli arti superiori” per Comella; un giorno per “escoriazioni al volto” per Badalamenti; 2 giorni per “escoriazione alla base anteriore dell’emitorace” per Raiano. Gli arrestati sono in attesa di rito direttissimo.

Sequestri per il clan Mallardo: 23 indagati

GIUGLIANO. La Polizia di Stato di Latina coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Napoli, unitamente al G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Roma sta conducendo un imponente operazione di polizia giudiziaria nei confronti di esponenti del clan Mallardo. Circa 250 tra poliziotti e finanzieri stanno procedendo all'esecuzione di 20 perquisizioni, di un arresto e di svariati sequestri di immobili e societa' per un importo complessivo di oltre 200 milioni di euro nei confronti di un gruppo camorristico facente capo a Giuseppe Dell'Aquila, alias Peppe 'O ciuccio, esponente di spicco del clan Mallardo, egemone nell'area di Giugliano in Campania e con importanti propaggini nelle province di Napoli e Caserta, nel basso Lazio ed in Emilia Romagna. I reati contestati alla cellula camorristica vanno dall'associazione per delinquere di stampo mafioso al concorso esterno in associazione camorristica alla fittizia intestazione di beni e coinvolgono complessivamente 23 indagati.

Il sequestro dei beni operato questa notte dalle forze dell'ordine tra Lago Patria e Giugliano, due localita' in provincia di Napoli. Il 'colpo' e' stato assestato ai danni del clan Mallardo e in particolare ai fratelli del capoclan Giuseppe Dell'Aquila, detto Peppe 'o ciuccio, uno dei piu' potenti boss della camorra napoletana, arrestato il 25 maggio in una villa bunker e ricercato dal 2002. Il sequestro e' di beni mobili e immobili, in particolare sono stati sequestrati interi edifici e societa'. Sigilli anche al parco giochi Girabilandia, di Giugliano situato sulla circumvallazione esterna alle spalle del parco commerciale Auchan. L'arrestato è Gennaro Delle Cave, 40 anni, imprenditore attivo nella provincia di Bologna, accusato di portare avanti attività riconducibili agli interessi del clan. Sequestrati anche l'albergo 'Il Giardino degli deì a Castel Volturno, una concessionaria di auto a Fondi ed una impresa edile, in provincia di Bologna.

Nuovi cedimenti a Pompei, i due muri crollati non hanno valore archeologico

POMPEI - Nella mattinata di oggi, all'interno del sito archeologico di Pompei, si sono verificati due cedimenti di murature di epoca moderna. Lo rende noto l'ufficio stampa del sottosegretario Riccardo Villari. Più precisamente si tratta di un muro nell'area fuori Porta Ercolano lungo la via dei Sepolcri e di un altro nella zona occidentale del sito.

Sopralluogo della soprintendente Teresa Cinquantaquattro con i Carabinieri della Procura di Torre Annunziata.

I due muri interessati dal crollo a Pompei sono stati realizzati in epoca moderna e non hanno nessun valore archeologico. Lo rendono noto fonti della Sovrintendenza ai beni archeologici di Napoli e Pompei al termine del sopralluogo compiuto in mattinata. Si tratta di un muretto che delimita la necropoli esterna a Porta Ercolano,in via de Sepolcri, e di un muro a contenimento di un terrapieno retrostante. In seguito ai crolli - dovuti probabilmente alle piogge non ci sono altre vie chiuse al passaggio dei visitatori. Le due zone interessate dai crolli sono state sequestrate dai carabinieri per disposizione della Procura di Torre Annunziata.

Domani alle 13 nella sala stampa di Palazzo Chigi, il ministro Fitto insieme al commissario europeo per le Politiche regionali, Johannes Hahn, al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, al Ministro per i Beni e le attività Culturali, Giancarlo Galan e al Presidente Caldoro illustreranno nel dettaglio gli interventi immediatamente cantierabili per gli scavi di Pompei finanziati con fondi comunitari e nazionali.

Pompei, sopralluoghi dopo il cedimento. La Procura accusa: «Crollo colposo». Villari: «Negli scavi c'è anche la camorra»

POMPEI - È giallo sul brogliaccio scomparso. Gli investigatori sono alla ricerca del registro delle segnalazioni su cui è stato annotata la data e l’ora della scoperta del crollo, di cui si sono perse le tracce. Su chi e perché lo abbia fatto sparire indaga la procura oplontina.

«Ho delegato la ricerca ai carabinieri di Torre Annunziata», spiega il procuratore capo Diego Marmo, dicendosi sconcertato: «Ci troviamo di fronte a un caso ai limiti tra il lecito e l’illecito» commenta accusando la Soprintendente di aver segnalato per l’ennesima volta il crollo in ritardo. «È la terza volta che vengo a sapere che c’è stato un crollo all’interno degli scavi dopo 24 o 48 ore dalla scoperta. Non mi spiego perché nascondere una verità che prima o poi salta fuori. È la prima volta nella mia carriera che mi trovo di fronte a persone che si sono chiuse in un mondo incomprensibile. Non capisco perché hanno assunto quest’atteggiamento di ostruzionismo verso gli inquirenti per i quali, è bene chiarire, è più facile indagare su un omicidio che su un reato dai contorni sfuggenti, per il quale è difficile individuare le responsabilità ma che è comunque grave per provocato un grave danno all’umanità».

Un nuovo fascicolo d’inchiesta è stato aperto sul crollo che ha interessato un muro di contenimento nei pressi di Porta Nola. Il sostituto procuratore titolare dell’inchiesta è Emilio Prisco, che segue anche le indagini sul Teatro Grande. Il reato ipotizzato è lo stesso che ha interessato i crolli della Schola Armaturarum e della casa del Moralista: crollo colposo. «C’è da stabilire le cause del crollo - continua il capo della procura - se l’incuria, l’omissione o l’usura del tempo e se c’è una disponibilità economica e non viene sfruttata per impedire che ciò avvenga».

Sabato mattina Marmo si è recato negli Scavi per verificare di persona i danni che il crollo ha arrecato alla città antica. «Ho fatto una specie di sopralluogo - ha precisato il procuratore capo - per constatare con i miei occhi gli accadimenti, visto che la soprintendente non è collaborativa». Ma il procuratore addebita responsabilità anche al governo. «Non dovrebbe essere la procura a intervenire a tutela del patrimonio, ma il ministero dei Beni Culturali», afferma. E ieri sulle possibili cause dei crolli si è registrata un’altra polemica.

La soprintendente Teresa Elena Cinquantaquattro ha sostenuto che «visto che nella città nuova non ci sono le fogne, le acque dell’area archeologica non hanno scoli». Il sindaco Claudio D’Alessio replica a stretto giro, e non esita a parlare di «menzogne». «Pompei - spiega il primo cittadino - ha un sistema fognario valido e funzionante. Come al solito la soprintendente, non avendo argomentazioni valide per giustificare i propri fallimenti, addebita ad altri le sue responsabilità».

E rincara la dose: «Se il Comune avesse la disponibilità economica della soprintendente, la Pompei moderna sarebbe un gioiello. La persona capace è chi riesce a risolvere i problemi che rientrano nella sfera delle proprie competenze e non chi offende gli altri per distogliere l’attenzione dal problema vero».

«A Pompei ci sono i soldi e il personale: quello che manca è il management. E poi c'è la camorra che va rimossa». Lo ha detto il sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali Riccardo Villari intervenendo a Napoli alla ventesima convention mondiale delle camere di commercio italiane all'estero. Villari è tornato sull'ultimo crollo verificatosi nel sito archeologico sabato scorso: «Quello che è accaduto - ha detto - dipende da un terrapieno che preme: saranno i tecnici a stabilire come si deve intervenire. Non ci sono responsabilità della politica, di soldi ne sono stati messi a disposizione nel tempo e non sempre sono stati spesi bene oppure sono rimasti in cassa. Spetta ai manager amministrare bene le risorse che la politica mette a disposizione». Successivamente Villari è tornato sulla denuncia in merito a presunti interessi della malavita sul sito archeologico: «Da sempre - ha spiegato - dove ci sono soldi e interessi c'è sempre una vischiosità contro la quale bisogna reagire».
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