giovedì 31 ottobre 2013

I coltivatori di Giugliano possono stare tranquilli: «non c'è inquinamento nella produzione agricola»


GIUGLIANO. Ne avevamo giò dato notizia qualche settimana fa, ieri è stato reso noto il documento che parla chiaro sulla situazione dei terreni inquinati nell'area Giuglianese a nord di Napoli. I coltivatori dunque possono tirare un sospiro di sollievo: «non vi sono metalli pesanti nei terreni dell'area delle discariche» lo dimostrano i risultati delle analisi condotte dall’Istituto Superiore della Sanità e comunicati ieri dal commissario per le Bonifiche Mario De Biase. Lo stesso monitoraggio prova che solo due dei duemila ettari esaminati sono inquinati. Si tratta un’area non coltivata e di una zona sottoposta a sequesto di proprietà della famiglia Vassallo a San Giuseppiello. Per quest’ultima De Biase ha chiesto al Comune di Giugliano un’ordinanza per inibire le coltivazioni in maniera da poter poi avviare le bonifiche.


Per approfondire potete scaricare il documento allegato al seguente link:

Documento PDF Acrobat  Il documento dell'Istituto Superiore di Sanità

http://www.internapoli.it

Milano: ucciso il boss Pasquale Tatone, domenica toccò al fratello

MILANO. A distanza di tre giorni dall’omicidio del fratello Emanuele (e dell’autista Paolo Simone), mercoledì sera è stato ucciso anche suo fratello Pasquale Tatone, boss di Quarto Oggiaro, ammazzato a colpi di arma da fuoco nella sua auto nel cuore del quartiere di Milano dove da anni la famiglia gestisce il traffico di droga.
L’agguato segna una svolta nelle indagini sul duplice omicidio di domenica scorsa in un campo al confine con Novate Milanese, che a questo punto si profila sempre più come l’inizio di una possibile faida negli ambienti della criminalità.

E’ probabile che qualcuno voglia eliminare dalla piazza la famiglia Tatone, originaria di Casaluce (Caserta), che forse da “troppo tempo” ha il controllo del territorio. Una cosa appare comunque chiara: Pasquale Tatone era tranquillo, non immaginava di essere un bersaglio. Altrimenti non sarebbe andato a vedere la partita in un locale di Quarto Oggiaro senza protezione, e non sarebbe andato via in auto da solo, intorno alle 22.30. Chi lo ha ucciso ha atteso che entrasse nella vettura parcheggiata in via Pascarella, all’altezza del civico 11, e poi gli ha sparato contro diversi colpi dalla parte del guidatore.

Sulla tipologia dell’arma non ci sono ancora conferme, ma alcuni testimoni arrivati subito dopo gli spari hanno parlato di grosse cartucce simili a quelle utilizzate per i fucili. Se così fosse, sarebbe un’arma diversa da quella che ha ucciso suo fratello Emanuele e Simone, la quale, secondo i risultati dell’autopsia condotta sabato mattina all’Istituto di medicina legale di Milano, potrebbe essere un revolver. Gli investigatori avevano parlato da subito di un’esecuzione, e ora la loro ricostruzione pare prendere preoccupante consistenza.

Pasquale Tatone, scampato a un agguato nel 1994, era considerato il capo della famiglia di origine campane che ha fatto la storia della mala nel quartiere alla periferia nord del capoluogo lombardo.  
La famiglia Tatone è una delle più influenti negli ambienti criminali del quartiere, soprattutto per la gestione della droga, anche se Emanuele da tempo era uscito dal giro a causa della sua dipendenza dalla droga. La storia della famiglia Tatone parte da Rosa Famiano, che nella primavera del 1972 decise di trasferirsi da Casaluce, piccolo centro dell’agro aversano, a Milano. Il marito, Antonio Tatone, non era d’accordo, e lei partì con i figli, quattro maschi adolescenti e una bambina: Mario, Pasquale, Emanuele, Adelina e Nicola.

Trovarono casa a Quarto Oggiaro, zona dormitorio sorta in quel periodo. Il 15enne Mario fu il primo a cacciarsi nei guai, con un furto alla Standa: si fece un anno al Beccaria e ne uscì con il tatuaggio della mala, cinque piccoli punti sulla mano sinistra. Dopo Mario, a ruota tutti i fratelli finirono dietro le sbarre, inizialmente per furto d’auto, e poi rapine, spaccio di droga, tentati omicidi. Anche Adelina, sposata a un boss della Sacra Corona Unita, fu arrestata per una serie di rapine attuate con un braccio ingessato usato come arma impropria. Nel 1987, in tre mesi, finirono nuovamente in galera Emanuele, Pasquale e Nicola, con le accuse di omicidio per il primo, tentato omicidio per gli altri due.

Emanuele, pur ricercato, girava indisturbato per il quartiere: i carabinieri lo arrestarono al bar, e per uscire dal locale dovettero farsi largo armi in pugno. Fu poi assolto per insufficienza di prove. Pasquale e Nicola avevano sparato a bruciapelo un colpo di lupara contro un meccanico : morto per aver osato spostare la loro Golf, parcheggiata davanti al passo carraio dell’officina.

Alla fine soltanto mamma Rosa era riuscita a evitare il carcere, pur sospettata di essere la “regista” del clan. Finì dietro le sbarre nel novembre 1992, assieme alla figlia Adelina, per spaccio di droga: “nonna Eroina”, la chiamavano.

mercoledì 30 ottobre 2013

Napoli è anche e soprattutto cultura

Di seguito evidenzio due notizie senz'altro belle per Napoli. La nostra città impersona la cultura e la storia, ogni suo monumento è un'istantanea di epoche passate ed anche dallo stesso mare, che di per se è una bellezza naturale con il suo magnifico golfo, possono ancora derivare scoperte sorprendenti. Peccato che non è Napoli a godere dei benefici di questa sua peculiarità. Si parla spesso di mancanza di fondi che, per carità, sono fondamentali per mantenere il nostro patrimonio artistico, ma io mi rammarico più di altro della mancanza di idee ed iniziative. Il British Museum "porta" Pompei a Londra  ed è record di incassi, certo non voglio assolutamente dire che la stessa cosa avrebbero potuta farla altri musei italiani o napoletani, sarebbe assurdo (ma mica tanto), ma l'idea di un evento cinematografico riguardante la ricostruzione multimediale di Pompei ed Ercolano, noi che Pompei ed Ercolano ce l'abbiamo dal vivo ed intere, non in singoli pezzi, poteva essere presa in considerazione.   

Pompei, Londra si arricchisce ancora: dopo la grande mostra, in arrivo un film
di Susy Malafronte
POMPEI. Dopo la mostra dei record, ora anche un film: Pompei fa ricca Londra. Che non molla la presa e ora lancia anche un film.

«Pompei» è il primo evento cinematografico ad essere interamente prodotto da uno dei più grandi musei del mondo, il British Museum. A dirigere il film tridimensionale sarà lo stesso direttore del museo londinese, Neil MacGregor. Uscirà nelle sale il 25 e 26 novembre prossimi e sarà distribuito da Microcinema. Sarà uno sguardo ravvicinato sulla vita e la morte di Pompei ed Ercolano, le città che vennero cancellati dall’eruzione del Vesuvio nel 79 dopo Cristo. Un’accurata ricostruzione scenica, commentata da musica, poesia e testimonianze, farà rivivere la storia di due tra i più fiorenti centri dell’epoca romana.

Il film, evento unico nel suo genere, andrà a completare il successo della grande mostra “vita e morte a Pompei ed Ercolano” esposta al British Museum dal 28 marzo al 29 settembre scorso che ha fatto incassare al museo londinese 11 milioni di euro. La ricostruzione multimediale di Pompei ed Ercolano di duemila anni fa, costata poco più di centomila euro, porterà i visitatori lungo le strade romane, nelle case con ingresso atrio, camera da letto, cucina , sala da pranzo, salotto e giardino. I racconti di esperti, come il curatore della mostra Paul Roberts, della professoressa dell’università di Cambridge, Mary Beard e della storica Bettany Hughes, consentirà allo spettatore di interagire con i famosi calchi delle persone catturate nel calore vulcanico e con gli oggetti della loro vita quotidiana. La pellicola include i pezzi intricati di gioielli, sculture, mosaici, attrezzature da cucina e anche il cibo, tra cui una pagnotta intatta, con il timbro del fornaio ancora impressa su di essa. 

Sul grande schermo saranno proiettati i mobili in legno carbonizzato dalle alte temperature della cenere che colpirono Ercolano, reperti rarissimi che non sono sopravvissuti a Pompei. L’arredamento che rivivrà sul grande schermo è composto da una cassapanca, uno sgabello intarsiato e persino una panca da giardino. Il pezzo più sorprendente e commovente è la culla di un bambino romano. «Il British Museum è entusiasta di produrre e trasmettere sul grande schermo la storia di Pompei ed Ercolano», ha dichiarato Neil MacGregor. «Si tratta di un’esperienza unica per il pubblico che potrà godere, comodamente dalla sedia di un cinema, di immagini ricche e affascinanti i cui protagonisti sono gli oggetti che l’Italia ci ha prestato. Sarà un tour archeologico molto speciale, in cui il pubblico sarà guidato da esperti nell’esplorazione delle storie di questi oggetti speciali che ci raccontano la vita romana di 2000 anni fa».

La città sepolta insomma, continua ad essere fonte di guadagno per gli stranieri, mentre l’Italia resta a guardare. Come al solito all’estero l’archeologia pompeiana ed ercolanense è un tesoro archeologico ed economico, qui in Italia, invece, è soltanto un tesoro culturale. «Nasce grande il dispiacere che all’estero riescono a trarre il giusto ‘profitto’ rispetto a questo grande giacimento culturale che abbiamo sul nostro territorio», afferma Claudio D’Alessio, sindaco di Pompei, che conclude: «C’è bisogno di un cambiamento repentino della visione che abbiamo del nostro patrimonio, che tenga conto del momento economico che sta vivendo il nostro paese e che ci invogli a investire al meglio le risorse di cui disponiamo».

Napoli. Sui fondali un mosaico e una statua: Baia restituisce altri tesori
di Nello Mazzone
Pozzuoli. Un mosaico ampio una ventina di metri quadrati e, soprattutto, una statua alta quasi due metri e divisa in tre parti: sono le scoperte archeologiche, le ultime in ordine di tempo, restituite dai fondali della città archeologica sommersa di Baia.

Ritrovamenti eccezionali: una equipe di archeologi della soprintendenza di Napoli è già al lavoro per datarli con esattezza. Ma, molto probabilmente, si tratta di una statua risalente all’età imperiale di Roma. Così come della stessa epoca sarebbero i mosaici che abbellivano una delle stanze, ampia una ventina di metri quadrati, di una villa imperiale. Resti che risalirebbero al I secolo dopo Cristo. 

A scoprirli, nello specchio d’acqua tra Punta Epitaffio e il Castello di Baia, in piena Zona A dell’area archeologica sommersa del golfo flegreo, sono stati i sub della capitaneria di porto di Pozzuoli e dell’ufficio locale di Baia. In collaborazione con gli archeologi incaricati dalla soprintendenza, che da giorni stanno letteralmente setacciando l’area attigua alla «Villa dei Pisoni», l’antica dimora patrizia di epoca imperiale appartenuta alla famiglia dei Pisoni e successivamente confiscata dall’imperatore Nerone.

Un’altra zona di scavo, invece, si trova a poche decine di metri dal pontile dei cantieri navali Omlin. Che il parco archeologico sommerso di Baia fosse una sorta di giacimento archeologico di inestimabile ricchezza lo si sapeva; ma era dai primi anni Sessanta, quando fu avviata la prima campagna di scavo sottomarina, che non riemergevano reperti di una tale importanza.

E i militari della guardia costiera di Pozzuoli, agli ordini del comandante Andrea Pellegrino, stanno già lavorando in partnership con il ministero dei Beni archeologici per avviare il piano di recupero e messa in sicurezza dei tre tronconi nei quali è suddivisa la statua coperta da una coltre di sabbia. Salvo imprevisti, per giovedì mattina dovrebbe avvenire la delicata fase di recupero del prezioso reperto di epoca romana e la sua riemersione dalle acque, dopo duemila anni.

I ritrovamenti saranno poi sottoposti ad una specifica analisi da parte degli archeologi, prima di essere posizionati in una delle stanze del Museo archeologico dei Campi Flegrei, nel Castello di Baia. E quello sarà il pezzo forte per attirare sempre più visitatori. Nel museo c’è già un’area appositamente dedicata agli scavi di Baia sommersa, con la fedele ricostruzione del Ninfeo e delle cosiddette Statue baiane.

Strettissimo riserbo da parte della soprintendenza sui particolari dell'ultimo ritrovamento e sulla complessa operazione di recupero e riemersione della statua. Ma da ieri è scattata una vigilanza ancora più rigida da parte dei militari della guardia costiera. Il comandante Andrea Pellegrino ha disposto un pattugliamento costante: praticamente ventiquattro ore su ventiquattro le pilotine della locamare monitorano la zona, per scongiurare il rischio che gli «archeosub pirati» possano razziare i reperti o danneggiarli.

Anche perché appena qualche settimana fa un motoveliero battente bandiera olandese è stato protagonista di uno «strano» incidente marino: la prua dell’imbarcazione, per cause ancora tutte da accertare in una inchiesta alle prime battute, si è incagliata sui fondali della zona A dell’area archeologica subacquea e avrebbe danneggiato seriamente alcuni mosaici. Massima allerta, in una delle zone archeologiche sommerse più affascinante e visitate d’Europa.

Camorra e slot machine, sgominato il “gruppo romano” dei casalesi

CASERTA. Operazione anticamorra ad Acilia, alle porte di Roma, dove i finanzieri del Gico hanno tratto in arresto 15 persone, tra affiliati e imprenditori ritenuti vicini alla fazione del clan dei casalesi guidata dall’ex superlatitante Antonio Iovine, alias “’O Ninno”, di San Cipriano d’Aversa.
Le accuse, contestate dai pm dell’antimafia napoletana Antonello Ardituro e Alessandro Milita, sono di trasferimento fraudolento di beni, usura, estorsione, illecita concorrenza con minaccia e violenza, detenzione illegale di armi, delitti aggravati dalla finalita’ di agevolare l’associazione mafiosa e dalla metodologia mafiosa dell’azione. Nel mirino degli investigatori il giro delle slot machine e quello delle scommesse in Campania, a Roma e in altri centri del Lazio. Sequestrati beni mobili e immobili, società e disponibilità finanziarie, per un valore stimato pari a circa 30 milioni di euro.
Dalle indagini, coordinate dalla Dda, è emerso come il sodalizio criminale, partendo dalla provincia di Caserta, fosse riuscito a garantirsi, con la forza dell’intimidazione mafiosa, la gestione monopolistica e violenta del settore della produzione, installazione, distribuzione e noleggio delle cosiddette “macchinette mangiasoldi”, oltre all’esercizio organizzato delle scommesse e del gioco, non solo in Campania, ma anche nel Lazio e in alcuni quartieri della città di Roma. In particolare, Mario Iovine – detto “Rififì” e indicato come collegato ai casalesi, già condannato per analoghi reati – nel 2003 si trasferiva nella borgata romana di Acilia dove, secondo l’ipotesi accusatoria, creava, investendo proventi di attività criminose e anche grazie al qualificato apporto di persone residenti ad Acilia, una società attraverso la quale “con modalità violente realizzava, in effetti, un monopolio nella distribuzione delle slot machine. Realizzava, in tal modo, gli scopi del sodalizio casertano, con un’ulteriore espansione delle sue attività economiche attraverso una sorta di “joint-venture” tra esponenti di vertice della criminalità organizzata campana e imprenditori di Acilia, a loro volta ritenuti in contatto con esponenti della malavita laziale.
Lo sviluppo delle indagini consentiva ai finanzieri di ricostruire i ramificati investimenti nello specifico settore commerciale, permettendo l’individuazione di alcune attività imprenditoriali, operanti sulla piazza di Roma, strumentali al mantenimento economico e all’egemonia criminale del gruppo camorristico dei casalesi. E’ emerso che, dopo l’arresto di Iovine, avvenuto nel maggio 2008, i soci romani si erano distaccati dall’organizzatore dei casalesi iniziando a operare attraverso un loro gruppo associativo, creato a perfetta imitazione della consorteria criminale casertana e ricalcante le stesse modalità operative. Parallelamente, le persone collegate a Iovine, ancora attivo nel dare indicazioni dal carcere ai suoi familiari, mantenevano la gestione effettiva delle precedenti attività, anche quelle oggetto oggi di sequestro e confisca, continuando a operare nella distribuzione delle macchinette mangiasoldi, curando però di rispettare i confini di Acilia, attesa l’avvenuta cessazione delle relazioni societarie tra casalesi e romani.
E’ stato accertato, inoltre, che il gruppo romano, per mantenere ed estendere il suo potere criminale ed economico, si è avvalso di un braccio armato e violento, composto da un nutrito e pericoloso gruppo di cittadini albanesi, definiti “i pugilatori”, tra i quali spiccava un ex campione italiano ed europeo dei pesi medio-massimi. E, ancora, che il “gruppo romano” dei casalesi si serviva anche di cani di razza Boxer per le “spedizioni punitive” nella Capitale nei confronti di chi non si piegava alle direttive del clan.


ROMA. Un monopolio violento nella gestione di videopoker e delle scommesse. Le indagini - condotte dalle Fiamme gialle di Napoli - hanno consentito di scoprire come nella borgata di Acilia il clan dei Casalesi fosse riuscito a garantirsi la gestione monopolistica e violenta dell'installazione, distribuzione e noleggio delle slot machine e delle scommesse e del gioco . I finanzieri del comando provinciale di Roma, a seguito di un'indagine coordinata dai magistrati della Procura della Repubblica di Napoli-Dda hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip del Tribunale di Napoli, nei confronti di 15 persone appartenenti all'ala dei casalesi capeggiata un tempo da Antonio Iovine, per i delitti di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di beni, usura, estorsione, illecita concorrenza con minaccia e violenza, detenzione illegale di armi, delitti aggravati dalla finalità di agevolare l'associazione mafiosa e dalla metodologia mafiosa dell'azione. Sono stati sequestrati anche beni mobili e immobili, società e disponibilità finanziarie, per un valore pari a circa 30 milioni di euro. 
Dalle indagini è emerso che il gruppo romano, per mantenere ed estendere il suo potere criminale ed economico, si è avvalso di un braccio armato e violento, composto da un nutrito e pericoloso gruppo di albanesi, definiti "i pugilatori", tra i quali spiccava un ex campione italiano ed europeo dei pesi medio-massimi. Mario Iovine - persona collegata al sodalizio dei Casalesi, già condannata per analoghi reati - nel 2003 si è trasferito nella borgata romana di Acilia dove, secondo l'ipotesi accusatoria, aveva creato, investendo proventi di attività criminose, anche grazie a persone residenti ad Acilia, una società attraverso la quale, con modalità violente, realizzava, in effetti, un monopolio nella distribuzione delle cosiddette "macchinette mangiasoldi". Dopo l'arresto di Mario Iovine detto "Rifif?", avvenuto nel maggio 2008, i soci romani si erano distaccati dall'organizzatore dei Casalesi iniziando a operare attraverso un loro gruppo associativo, creato a perfetta imitazione del gruppo criminale casertano e ricalcante le medesime modalità operative. Parallelamente le persone collegate a Iovine - ancora attivo nel dare indicazioni dal carcere ai suoi familiari - avevano mantenuto la gestione effettiva delle precedenti attività, anche quelle oggetto di sequestro e confisca, continuando a operare nella distribuzione delle "macchinette mangiasoldi", curando però di rispettare i confini di Acilia, vista l'interruzione delle relazioni societarie tra casalesi e romani. 
Le investigazioni hanno anche permesso di accertare che il gruppo romano, per mantenere ed estendere il suo potere criminale ed economico, si è avvalso di un braccio armato e violento, composto da un nutrito e pericoloso gruppo di cittadini albanesi, definiti 'i pugilatori', tra i quali spiccava un ex campione italiano ed europeo dei pesi medio-massimi.
www.repubblica.it

Il clan dei Casalesi e il business delle slot machine a Roma, quindici arresti
di Marilù Musto
Quindici persone, questa mattina, sono state arrestate nell’ambito di un’operazione anticamorra ad Acilia, alle porte di Roma. Si tratta di imprenditori e affiliati vicini al clan dei Casalesi, fazione legata ad Antonio Iovine detto O’Ninno, di San Cipriano d’Aversa. I pm della Dda di Napoli, Antonello Ardituro e Alessandro Milita, contestano ai quindici esponenti del clan, coordinati da ex affiliati di primo piano, il reato di associazione mafiosa e la gestione illegale delle slot machine.
Le richieste di arresto sono state convalidate dal gip di Napoli Isabella Iaselli, I provvedimenti sono stati eseguiti questa mattina dal Gico di Roma.
Tra gli indagati c'è anche Salvatore Iovine, zio del boss ergastolano Antonio Iovine. Sequestrati anche beni del valore di 30 milioni di euro.
In particolare, stando alle indagini dell'Antimafia di Napoli, Mario Iovine – referente specializzato del clan dei casalesi, condannato a 23 anni di reclusione dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel 2011- si era trasferito nella borgata romana di Acilia nel 2003, investendo denaro provento dei delitti e, anche grazie all' apporto dei fratelli Guarnera, aveva creato una società a partecipazione mafiosa casalese/romana, attraverso la quale era stato realizzato un monopolio, con modalità violente, nella distribuzione delle slot machine agli esercenti di attività commerciali abilitati, gestione operante anche in Acilia.

martedì 29 ottobre 2013

«L’Italia ti spezza il cuore» L’articolo che divide gli Usa

«L'Italia ti spezza il cuore», ha scritto Frank Bruni sabato scorso sul New York Times in un editoriale. Bruni ci conosce bene: è stato capo dell'ufficio romano del New York Times dal luglio 2002 al marzo 2004 ma torna spesso in Italia, visto il cognome che porta. Il suo è un ritratto di un Paese in disfacimento, nonostante «la grande bellezza e le tante promesse», dove dilaga un «pessimismo teatrale», perché gli italiani hanno «un talento per la lamentela, qualcosa che sta tra lo sport e l'opera, fatto di ampi gesti e intonazioni musicali». 
Si parte da Milano, dove Bruni incontra una coppiadecisa a trasferirsi a Londra soprattutto per assicurare al figlio di dieci anni un futuro diverso perché in Italia c'è «un tasso disoccupazione del 40% tra i giovani adulti». Poi racconta di una signora settantenne che nelle Marche lo corregge. Bruni parla di «paradiso italiano». E lei: «No, siamo in un museo, e ogni anno perdiamo un pezzo di importanza nel panorama internazionale». 
Girando per la Penisola, Bruni non sente altro che storie di giovani pronti ad andarsene in Gran Bretagna o negli Stati Uniti: «Nel secondo trimestre del 2013 il debito pubblico dell'Italia è salito fino al 133% del Pil, il secondo rapporto più alto, preceduto solo dalla Grecia. Il tracollo del Pil italiano di circa l'8% rispetto ai picchi pre-crisi è peggiore che in Spagna o in Portogallo». 

Poi Bruni cita l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera che descrive anni e anni di paralisi, racconta di quella «gerontocrazia che impedisce ogni meritocrazia». C'è l'incontro col sindaco di Roma, Ignazio Marino, che spiega come il danno procurato da Berlusconi sia «la cultura che ha creato, il senso della responsabilità non è più un valore». Gli italiani, deduce Bruni, «sembrano tanti adolescenti impegnati in una festa, in un infinito tira e molla con le regole, e ora arriva il dopo-sbronza della mattina». 
Il bello viene poi dai commenti che appaiono online . Scrive Martha da Napoli: «Attualmente vivo in Italia. Ho molti amici che amano l'Italia e Napoli, magari vorrebbero vivere qui. Ma, credetemi: venire da turisti in Italia è diverso che viverci. Perché viverci è un inferno. In certi posti forse un po' meno, ma comunque un inferno, Bruni ha ragione». Gli ribatte da Parigi Suedoise: «Qualsiasi europeo, di ritorno da un viaggio dagli Stati Uniti, potrebbe raccontare ciò che Bruni ha trovato in Italia. Decadenza e cambiamenti ovunque». Nicholas racconta una sua esperienza: «Abbiamo vissuto per dieci mesi nella campagna toscana. Abbiamo provato ad aprire un'attività e abbiamo toccato con mano quanto possa essere soffocante un'amministrazione locale». 
Ginger, infine, sdrammatizza: «Ho vissuto a lungo in Italia, un signore un giorno mi disse che il suo Paese era come la Torre di Pisa: pendeva sempre ma alla fine non cadeva mai. Vedo che non è cambiato nulla» Chissà. Forse Ginger, che scrive dalla soleggiata Florida, ha proprio ragione.

Poli formativi, Campania prima in Italia

NAPOLI. "Poli che attraggono, 100 opportunità di formazione e lavoro per i giovani della Campania". Questo il titolo dell'incontro, organizzato dalla Regione Campania nell'ambito del Fondo sociale europeo, moderato dal giornalista Rai Massimo Calenda e svoltosi in mattinata al Garage Morelli di Napoli, con la partecipazione, tra gli altri, dell'assessore regionale al lavoro e alla formazione, Severino Nappi, di quello all'istruzione Caterina Miraglia, del sottosegretario al ministero dell'istruzione Gabriele Toccafondi.
Cento poli formativi metteranno insieme, in Campania, istruzione, formazione e lavoro. Protagoniste le scuole tecnico-professonali, le agenzie formative accreditate e le imprese. E' il sistema educativo che va incontro al mondo della produzione, che a sua volta contribuisce a determinare i fabbisogni di competenze. Campania prima in Italia in questo tipo di esperienza. 96 i poli costituiti, 1.463 i soggetti aderenti, tra istituti scolastici, aziende e organismi di formazione accreditati.
Agribusiness, costruzioni e moda i settori che hanno riscontrato maggiore interesse. Ma si va anche su meccanica e packaging, sanità, trasporti e logistica (comprensivo di aerospazio), Ict, finanziario. Napoli in cima alla lista per numero di poli costituiti (56), seguita da Caserta (15), Salerno (10), Benevento (9), Avellino (6). Cinquanta i milioni di euro stanziati all'interno del Piano di azione e coesione.

Imprenditori-coraggio denunciarono il pizzo del clan, oggi le condanne degli uomini del racket

di Marilù Musto
Chiesero il pizzo a imprenditori della provincia di Caserta per conto del boss Michele Zagaria, ora in carcere, ma le vittime ebbero il coraggio di denunciare il racket delle estorsioni. Oggi, il giudice del tribunale di Napoli Maria Vittoria Foschini, al termine di un processo con rito abbreviato, ha condannato per tentata estorsione ed estorsione consumata, aggravata dal metodo mafioso, quattro esponenti del clan dei Casalesi. Si tratta di Michele Fontana detto O'Sceriffo, condannato a 7 anni, Luigi Diana detto il Diavolo a 4 anni e 4 mesi, Michele Fontana del '71 a 6 anni e 4 mesi e Luciano Fontana a 4 anni e 8 mesi. Nel processo si sono costituiti parte civile il titolare di una famosa catena commerciale di caseifici in Campania e due imprenditori di una ditta di trasporti di Casapesenna, assieme all'associazione Unione Casertana antiracket. Il capoclan Michele Zagaria ha scelto di essere giudicato con rito ordinario.

Estorsioni a imprenditori, condannati quattro uomini di Zagaria
CASERTA. Il Tribunale di Napoli ha condannato, con rito abbreviato, quattro esponenti del clan dei casalesi per  tentata estorsione ed estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Si tratta di Michele Fontana, 43 anni, detto “’O Sceriffo”, condannato a 7 anni, Luigi Diana, detto “il Diavolo” (4 anni e 4 mesi), Michele Fontana, 42 anni, alias “Puzzill”, (6 anni e 4 mesi), e Luciano Fontana, 43 anni, alias “Detersivo”, (4 anni e 8 mesi).
Secondo le risultanze investigative i quattro chiesero il pizzo, per conto dell’allora superlatitante Michele Zagaria, ad alcuni imprenditori casertani che però denunciarono la richiesta estorsiva. Zagaria, arrestato a Casapesenna il 7 dicembre 2011, ha scelto invece di essere giudicato con rito ordinario.
Parte civile nel processo una catena di caseifici di Capua, difesa dall'avvocato Giovanni Zara, e una ditta di trasporti di Casapesenna, difesa dall'avvocato Nando Letizia, insieme alle associaizoni antiracket Fai e Unione Casertana Antiracket. Il giudice ha rinviato per il risarcimento danni al rito civile.

lunedì 28 ottobre 2013

Raccolta differenziata: Ecco la classifica dei comuni a nord di Napoli. S.Antimo al secondo posto.

INTERNAPOLI. Grazie al sistema informativo “MySir – Comuni Ricicloni” messo a disposizione su internet da Microambiente in collaborazione con Legambiente, è possibile conoscere l'andamento della raccolta differenziata nei comuni della Campania e in particolare, in quelli della Provincia di Napoli, dove la situazione, da anni, resta fortemente critica. La Legge prevedeva che tutti i comuni avrebbero dovuto raggiungere la percentuale di raccolta differenziata pari al 65% entro il 31/12/2012. Ma quanti comuni del nostro hinterland hanno realmente raggiunto il traguardo? Nessuno, anche se tra i comuni a nord di Napoli c'è chi è molto vicino al traguardo e chi deve ancora fare molto. Stilando una classifica, dal peggiore al migliore, troviamo: Giugliano in Campania (dove pochi giorni fa è stato presentato un nuovo piano per la raccolta “porta a porta”) è fermo ad appena il 10,080% e si piazza all'ottavo posto. A seguire, al settimo posto, troviamo Melito di Napoli con il 17,929%. Al sesto posto si piazza Qualiano con il 31,090%. Salendo la classifica, alla posizione numero cinque troviamo Marano di Napoli con il 44,361%. Al quarto posto invece c'è il comune di Calvizzano con il 47,088%. Nella top 3 troviamo i comuni che hanno ampiamente superato la soglia del 50%: al terzo posto c'è Villaricca con il 51,342%, a seguire, alla posizione numero due c'è Sant'Antimo con il 53,401% e infine, al primo posto della classifica dei comuni a nord di Napoli per la raccolta differenziata c'è il Comune di Mugnano di Napoli con il 58,298%, molto vicina (a circa 7%) al traguardo del 65% imposto dalla Legge.
Alcuni comuni, dunque, devono ancora fare molto sul fronte della raccolta dei rifiuti. Un buon sistema di raccolta differenziata, consente ai Comuni anche un notevole risparmio in termini economici, fatto che si ripercuote positivamente anche sul costo della Tares che ormai, per Legge deve coprire l'intero costo del servizio. Mugnano, Sant'Antimo e Villaricca godono, al momento, di una posizione certamente migliore di altri, questo grazie anche allo sforzo delle amministrazioni comunali. Calvizzano e Marano, ben al di sopra del 40% hanno bisogno di mettere a punto il sistema di raccolta e dare un'ulteriore scossa al servizio per superare quota 50% e avvicinarsi al limite minimo imposto dalla Legge. Per Qualiano, Melito e Giugliano, invece, c'è ancora molto lavoro da fare.
  • 1 - 58,298 % - Mugnano di Napoli
  • 2 - 53,401 % - Sant'Antimo
  • 3 - 51,342 % - Villaricca
  • 4 - 47,088 % - Calvizzano
  • 5 - 44,361 % - Marano di Napoli
  • 6 - 31,090 % - Qualiano
  • 7 - 17,929 % - Melito di Napoli
  • 8 - 10,080 % - Giugliano in Campania

Simeoli: le speculazioni edilizie e i legami con i Polverino e i Mallardo

MARANO. Sono state fondamentali le dichiarazioni dei pentiti per condurre l'operazione condotta dai carabinieri, che ha portato alle misure cautelari nei confronti dei Simeoli e al sequestro di circa 28 milioni di euro di beni, tra cui quelle di Roberto Perrone, considerato il più importante pentito del clan che fa capo a Giuseppe Polverino. Nell'interrogatorio del 16 marzo dello scorso anno, Perrone inizia a parlare delle relazioni del clan maranese con quello giuglianese dei Mallardo. In particolare dell'espansione nella speculazione edilizia sul litorale della terza città della Campania. «Anche con riferimento alla speculazione edile da realizzare presso Città Giardino so che vi è notevole risentimento da parte del Polverino Giuseppe nei confronti di Simeoli Antonio in relazione alla mancata realizzazione del progetto edilizio, a fronte di un forte investimento economico da parte di Giuseppe Polverino». La holding del cemento, secondo il collaboratore, non è riuscita a centrare tutti gli obiettivi con il conseguente risentimento di chi, secondo gli inquirenti, investiva con un cospicuo flusso di capitali, ovvero Polverino. '«Sono a conoscenza della circostanza – specifica – anche perché durante il periodo di detenzione 2000 – 2008, all'incirca nel 2004, mi fu riferito da uno dei “Lo Russo” che anche lui aveva personalmente investito negli appartamenti di Città Giardino, ma poi non realizzati. Nel 2010 infatti – prosegue Perrone – proprio a causa di ciò, Polverino avrebbe cercato di estromettere Simeoli dall'affare di Città Giardino cercando di vendere il 50% del progetto per un importo di sei milioni di euro al proprietario che ha ceduto poi detto terreno all'Auchan per la realizzazione del centro commerciale sito a Giugliano». A parlare dei Simeoli agli inquirenti, c'è anche un altro pentito. Si tratta di Domenico Verde che già nel 2011 parlava dell'egemonia dei Polverino sul controllo della fornitura di Pane e Carne nell'hinterland a nord di Napoli. Verde traccia un profilo dei Simeoli. Angelo e il Cugino sono definiti come «Il braccio imprenditoriale di Antonio Polverino detto zio totonno e Giuseppe detto 'o Barone. Ciò non ha impedito ad Angelo di fare affari anche con i giuglianesi del clan Mallardo e con i Casalesi. Anche qui si tratta di speculazioni immobiliari approvate – Verde parla di un beneplacito – da Giuseppe e Antonio Polverino». Verde scende nei dettagli e parla di una grossa speculazione immobiliare sulla fascia costiera realizzata da Simeoli a Lago Patria, con l'accordo appunto dei Mallardo di Giugliano. Verde afferma di aver sentito parlare della vicenda da Giuseppe Polverino in persona, nella primavera del 2009, durante la sua latitanza in Spagna: «Ricordo distintamente le discussioni sulla speculazione a Lago Patria perché Giuseppe Polverino, in Spagna, commentava con me che Angelo e Antonio Simeoli stavano avendo gravi problemi con le loro costruzioni, tanto che prima di cominciare era già tutto sequestrato». Situazione, secondo Polverino che aveva messo i Simeoli in condizione di restare “senza soldi”. «Giuseppe Polverino si interessava alla speculazione dei due, tanto che egli stesso aveva investito molti soldi nelle loro attività imprenditoriali, per cui la loro difficoltà economica si ripercuoteva anche in perdite dirette per lui stesso». Polverino dunque considerava le perdite subite dai Simeoli, come perdite sue. Nei faldoni dell'inchiesta ci sono anche riferimenti ad altre operazioni e, in particolare, riferimenti a personaggi politici di cui non è stata resa nota l'identità. Nell'inchiesta, oltre ai Simeoli (agli arresti) e ai 4 tecnici del comune (indagati a piede libero) si parla quindi anche di pezzi grossi della politica.

Giugliano. Preso Domenico Micillo esponente di spicco del clan Malalrdo

GIUGLIANO. I carabinieri del nucleo investigativo di Napoli, agli ordini del capitano Erich Fasolino hanno arrestato Domenico Micillo, 41 anni, considerato dagli inquirenti elemento di spicco del clan Mallardo di Giugliano. L'uomo è stato arrestato ieri sera mentre andava a ritirare la biancheria di ricambio dalla moglie al Villaggio Coppola, sulla fascia costiera, nel parco Rondini. La donna, 36 anni, e la figlioletta, l’attendevano per cena. L’uomo era destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 22 dicembre 2012 dal Gip del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia Partenopea, per associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso in rapina, favoreggiamento personale, corruzione, sfruttamento della prostituzione, porto di armi comuni da sparo, detenzione e spaccio di stupefacenti. I militari dell’Arma lo hanno individuato nel corso di una perquisizione effettuata al 1° piano di una palazzina di tre piani. Dopo aver cinturato l’immobile vi hanno fatto irruzione. Il 41enne non ha opposto resistenza ne cercato di darsi alla fuga. L’arrestato è stato associato presso la casa circondariale di Secondigliano.


Terra dei Fuochi, i cittadini in corteo a Napoli: «Riprendiamoci la dignità»

Meno dei centomila sperati alla vigilia, ma comunque tanti, tantissimi, a sfilare lungo le strade di Napoli. La protesta contro i roghi tossici sbarca nel capoluogo, e attraversa tutti i luoghi del "potere" cittadino. Nell'ordine: Provincia, Questura, Comune e Prefettura. Oltre cinquantamila i cittadini in corteo, senza sigle associative o politiche, senza bandiere o stemmi di appartenenza. «A che serve parlare di bonifiche se non si mette in sicurezza il territorio? - scandisce Angelo Ferrillo, ideatore del blog "La Terra dei Fuochi" e anima della protesta - In Campania arriveranno milioni di euro, utili solo a ingrassare le tasche dei soliti noti. Noi chiediamo l'immediata fine degli sversamenti abusivi e dei roghi tossici». 


LA MANIFESTAZIONE - Il raduno è in piazza Dante, dove dalle 16 in poi comincia ad assieparsi un numero sempre crescente di persone. Dopo un'iniziale polemica contro la stampa e i giornalisti, colpevoli, secondo alcuni presenti, di strumentalizzare e occultare il dramma vissuto da tre milioni di cittadini, la situazione si assesta: una protesta pacifica che raccoglie le voci di chi, in questi anni, non è mai stato zitto di fronte allo scempio che ha distrutto un territorio. «La camorra è un neologismo - dice Ferrillo al microfono - un insieme di atteggiamenti, di comportamenti, di omissioni che ci hanno portati alla situazione attuale». Si sfila dietro l'enorme striscione "Stop ai roghi tossici", mentre i manifestanti, a gran voce, urlano «Scendete!» a chi guarda dai balconi. Davvero un'onda inarrestabile, come scritto alla vigilia. Sensazioni positive, senso di appartenenza a una lotta comune, una Napoli finalmente riconquistata, anche solo per un giorno, da chi la vive in ogni suo angolo vitale.


DALLA QUESTURA AL COMUNE - Rapido ma sostanzioso il passaggio sotto la sede della Provincia, in piazza Matteotti: «Non chiamateli assassini - scandisce Ferrillo al megafono - gli fate un favore. Questi sono peggio degli assassini: sono dei criminali istituzionalizzati». Da lì alla Questura il passo è breve: «Qui, invece, ci sono funzionari e dipendenti che lavorano per 1.200 euro al mese - continua il blogger -  ma ci sono anche alti dirigenti che hanno sempre saputo e sempre omesso. Noi questa gente, chi ha sempre fatto finta di non vedere, la vogliamo fuori dalle istituzioni». Si prosegue lungo via Medina, verso piazza Municipio, nel cuore di Napoli, fra Castel Nuovo e Palazzo Reale: «Due anni di amministrazione e una differenziata al venti percento - attacca Ferrillo, riferendosi alla giunta de Magistris - se non siete in grado di governare una città simile, andatevene. È anche per colpa loro se oggi si parla dell'inceneritore di Giugliano: perché la differenziata, a Napoli, è ferma a quel misero traguardo». 


PIAZZA PLEBISCITO - Si passa il San Carlo, la Galleria Umberto e piazza Trieste e Trento. Urla e applausi mentre il corteo si apre invadendo pacificamente piazza Plebiscito, dove tra le due statue di Canova e Calì è posizionato un camioncino. Qui cominciano le prime tensioni. Ferrillo parla dal palco, torna sul tema delle bonifiche e dell'inceneritore, ma dalla piazza si levano le prime proteste: «Stai parlando solo tu - urlano - fai intervenire anche i comitati», unito a espressioni più colorite circa un presunto razzismo di Ferrillo per quanto concerne la questione dei campi Rom. Tema sul quale, per la verità, Ferrillo si limita a dire: «Vogliamo fare qualcosa per aiutare queste persone, di modo che non si vedano più roghi tossici salire dai loro campi?». La situazione rischia di degenerare, il blogger invoca addirittura l'intervento della digos per calmare i manifestanti più inferociti. Si alza uno striscione del Comitato "No inceneritore di Giugliano", che Ferrillo chiede immediatamente di rimuovere: «Siamo qui in piazza, senza bandiere o sigle. In questo momento state mancando di rispetto a migliaia di persone». Alla fine i comitati riescono a salire sul camioncino e a portare avanti le loro rivendicazioni.


OLTRE LE DIVISIONI - Rivendicazioni che, come auspicabile in una situazione che interessa tutti i cittadini dell'ex Campania Felix, coincidono, in buona sostanza, col pensiero di Ferrillo: stop ai roghi, no all'inceneritore, piano alternativo sul ciclo rifiuti come la proposta della rete "Rifiuti Zero". Sulle bonifiche permane un nodo da sciogliere: farle, nonostante tutti i rischi connessi a una mancata mappatura capillare del territorio e alle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata, o non farle, almeno per ora, provvedendo dapprima alla messa in sicurezza e al controllo? Le proposte che arrivano sono tante: «Bisogna cominciare a boicottare i giornali che non dicono la verità - dice Ferrillo - a boicottare quelle banche che vivono su di un sistema economico ormai insostenibile, ad andare contro quelle aziende che producono in nero svernando i loro scarti nei campi, a richiamare alle proprie responsabilità una politica collusa». Oltre le divisioni, la piazza era piena quasi per intero, eventualità che non si verifica nemmeno per concerti di noti cantanti. Napoli, Caserta, le loro province, la Campania intera, hanno dimostrato che ci sono e che sono pronti a dare battaglia per difendere il diritto più elementare: quello alla vita.

Sospeso don Carmine Schiavone, il viceparroco accusato di aver sostenuto i Casalesi

Don Carmine Schiavone, il sacerdote accusato di aver incoraggiato il latitante dei Casalesi Nicola Panaro, è stato sospeso dalle sue attività in attesa delle decisioni della magistratura. La decisione del vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, viene diffusa attraverso un comunicato della Curia per il quale «in attesa di un chiaro giudizio delle autorità competenti sull’imputazione, al Sacerdote Don Carmine Schiavone è stato chiesto di osservare un periodo di prudente ritiro dalle ordinarie attività pubbliche del suo ministero».

CURIA «FIDUCIA NEI MAGISTRATI» – In precedenza le autorità ecclesiastiche locali avevano sottolineato come «la notizia della notifica a Don Carmine Schiavone, sacerdote della Diocesi di Aversa, di un’indagine dalla quale sarebbero emersi gravi indizi sul suo operato nei confronti di personaggi notoriamente malavitosi e latitanti già condannati dalla magistratura, ricercati dalle forze dell’ordine, trova la comunità ecclesiale tristemente sorpresa ma anche aperta e fiduciosa. La comunità cristiana è rimasta sorpresa perché in questi anni ha potuto guardare con stima alla presenza del sacerdote nell’azione pastorale. Contemporaneamente esprime grande fiducia nell’opera e nel giudizio dei magistrati che sono preposti all’indagine ed auspica si possa fare efficace chiarezza su quanto è oggi imputato al sacerdote».

Padre e figlio uccisi durante faida cutoliani-casalesi: due arresti

Solo oggi i magistrati della Direzione distrettuale antimafia sono riusciti a far luce su quei delitti avvenuti a Villa Literno nell’ottobre del 1992, facendo arrestare due uomini, Giuseppe Terracciano, 54 anni, di Villa Literno, fratello di Bernardino, l'attore di Gomorra; e Raffaele Cantone, 53 anni, di Trentola Ducenta, alias "'O Malapelle", ritenuti responsabili della morte di Luigi Caiazzo e, il giorno successivo, del padre di quest’ultimo, Giuseppe Caiazzo, oltre che del ferimento di Angelo Pietoso.

Concluse all’epoca con una richiesta di archiviazione, le indagini sono state riaperte a seguito di dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia che, supportate dall’attività di riscontro svolta dagli uomini della Dia,  hanno permesso di fare luce sulla dinamica e sul movente del duplice omicidio.

E’ stato ricostruito, in particolare, il ruolo svolto da uno degli indagati nell’omicidio di Luigi Caiazzo, ovvero quello di attirare in trappola la vittima, conducendola con uno stratagemma in una masseria dove l’altro indagato gli esplodeva in pieno volto, da distanza ravvicinata, un colpo  d’arma da fuoco, che ne determinava la morte. Il cadavere, poi, fu  occultato in un pozzo e mai ritrovato.

Nell’ambito dell’operazione è stato anche eseguito decreto di sequestro preventivo dell’azienda bufalina di proprietà di uno degli arrestati, - all’interno della quale venne consumato l’omicidio di Luigi Caiazzo - dell’impresa situata nello stesso sito, per l’allevamento di cavalli e intestata alla convivente dell’indagato, e di conti correnti ad essi riferibili.

L’urgenza del provvedimento scaturito dalla circostanza che, all’atto dell’esecuzione della misura cautelare, la polizia giudiziaria sentiva l’indagato dire alla donna di avvisare il commercialista di  “vendere tutto” e notava che l’uomo firmava in bianco un blocchetto di assegni di un conto corrente a lui intestato, con l’evidente fine di permettere alla moglie di svuotarlo. Da accertamenti patrimoniali svolti dalla Dia è emerso che gli investimenti relativi alle attività aziendali erano sproporzionati rispetto agli esigui redditi dichiarati dai due.

giovedì 24 ottobre 2013

Marano, guerra alla camorra. Arrestati all'alba tre imprenditori edili, indagati 4 dipendenti comunali

di Ferdinando Bocchetti
MARANO. Blitz dei carabinieri, arrestati tre imprenditori edili, indagati quattro dipendenti del comune di Marano. In carcere sono finiti, con l'accusa di associazione a delinquere di stampo camorristico, Antonio Simeoli, detto "ciaulone", e i due figli Luigi e Benedetto Simeoli, fondatori e attuali titolari della Sime Costruzioni.

>>>GUARDA IL VIDEO DELL'OPERAZIONE
  
Gli arrestati (destinatari di una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Napoli), già trasferiti nel carcere di Secondigliano, sarebbero legati al clan Polverino. Nel corso dell'operazione eseguita dal nucleo investigativo dell'Arma, sono stati stati sequestrati anche due complessi residenziali (leggi).
Oltre ad associazione di tipo mafioso, i tre imprenditori edili sono accusati costruzione di opere edilizie senza autorizzazione e falsità materiale e ideologica in atti pubblici, reati aggravati da finalità mafiose. In più avrebbero esercitato pressioni sui quattro dipendenti del comune di Marano per ottenere attestazioni di conformità delle opere.
Nel corso di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia partenopea i militari dell’Arma hanno accertato numerose speculazioni edilizie messe in atto da società controllate dal clan, con l’acquisizione di terreni e fabbricati e l’edificazione a Marano di Napoli di complessi residenziali, sulla base di autorizzazioni o concessioni emesse con false attestazioni di conformità.

Giugliano, arrestato il fratello di Sandokan

GIUGLIANO. La Squadra Mobile della Questura di Caserta ha arrestato Antonio Schiavone, fratello del boss del clan dei Casalesi Francesco Schiavone, conosciuto come Sandokan. Antonio Schiavone, bloccato vicino alla sua abitazione a Giugliano, è accusato dell'omicidio di Aldo Scalzone, avvenuto nel 1991, nell'ambito della guerra di camorra. Dello stesso omicidio sono accusati anche il boss di camorra Francesco Bidognetti e il figlio Aniello, entrambi già detenuti. All'epoca, la vittima dell'omicidio Aldo Scalzone era considerato vicino al clan di camorra dei "De Falco", gruppo che si contrapponeva al cartello formato dalle famiglie Schiavone e Bidognetti. Antonio Schiavone ha precedenti per reati di camorra e - secondo la Dda di Napoli - avrebbe assunto le redini del clan dopo gli arresti dei figli del fratello "Sandokan". Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, Antonio Schiavone è la persona che trasmise al killer l'ordine di morte di Aldo Scalzone impartito dal fratello Sandokan e dall'altro capoclan Francesco Bidognetti, i due boss di camorra che in quel periodo era entrambi detenuti. A ricostruire il ruolo di Antonio Schiavone è stato un pentito del clan che al delitto partecipò come esecutore materiale. La vittima era ritenuta all'epoca la mente imprenditoriale del gruppo capeggiato da De Falco. Per l'omicidio di Scalzone la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere ha già emesso il 29 ottobre 2004 una sentenza di condanna all'ergastolo nei confronti di Francesco Schiavone, del fratello Walter e di Giuseppe Diana, detto "cuoll e paper", e a 13 anni di reclusione nei confronti Franco Di Bona. (Ansa)

Camorra, omicidio durante faida: arrestato il fratello di “Sandokan”

CASERTA. Antonio Schiavone, fratello del boss del clan dei casalesi Francesco detto “Sandokan”, è stato arrestato, nella giornata di mercoledì, dagli agenti della squadra mobile di Caserta per l’omicidio di Aldo Scalzone, compiuto il 20 ottobre 1991 a Casal di Principe.
Tra i destinatari delle ordinanze di custodia cautelare anche il boss Francesco Bidognetti, alias “Cicciotto ‘e mezzanotte”, e il suo primogenito Aniello, già detenuti. Per l’omicidio Scalzone la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere aveva già emesso, il 29 ottobre 2004, una sentenza di condanna all’ergastolo nei confronti di Francesco Schiavone, del fratello Walter e di Giuseppe Diana (detto “Cuoll ‘e paper”), e a tredici anni di reclusione nei confronti Franco Di Bona.
Recenti approfondimenti investigativi – suffragati anche dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, già affiliato alla fazione Schiavone del clan dei casalesi e materiale esecutore dell’omicidio – hanno apportato un ulteriore contributo per accertare il coinvolgimento dei Bidognetti e del fratello di “Sandokan”.
Confermato che il movente dell’omicidio di Scalzone si inquadrò nel contesto della violenta faida che all’epoca, nei primi anni ‘90, contrapponeva il gruppo Schiavone-Bidognetti a quello De Falco-Quadrano-Caterino, essendo Scalzone un imprenditore strettamente legato a Vincenzo De Falco, ucciso poco tempo prima. Secondo l’accusa i mandanti furono i boss “Sandokan” e “Cicciotto”, mentre Antonio Schiavone fu tra i latori del mandato omicidiario impartito dai due capiclan. 


mercoledì 23 ottobre 2013

Napoli, agguato a San Giovanni: uomo ucciso a colpi di pistola

NAPOLI. Si torna a sparare, e ad uccidere, alla periferia di Napoli. L’ultimo episodio mercoledì mattina, intorno alle 11, un uomo di 32 anni, Giovanni Bottiglieri, è stato freddato da alcuni sicari all'interno di un'agenzia di scommesse in via Bernardo Quaranta, nel quartiere di San Giovanni a Teduccio.

Sul posto gli agenti della squadra mobile, che hanno avviato le indagini. Da una prima ricostruzione, l’uomo sarebbe stato avvicinato da due persone armate – giunte in sella ad uno scooter e col volto coperto da caschi integrali – che gli hanno esploso contro almeno tre colpi di pistola, come testimoniano gli altrettanti bossoli ritrovati sul luogo dell’omicidio, dove si sono radunati parenti e conoscenti della vittima, dando vita a scene di disperazione. Bottiglieri aveva precedenti per estorsione, rapina e ricettazione.
Secondo gli investigatori era l’attuale reggente del clan camorristico Aprea, attivo nella zona orientale della città. La polizia sta accertando se l’episodio sia legato al ferimento, avvenuto nella notte tra lunedì e martedì, sempre a San Giovanni a Teduccio, di Vincenzo Tranquilli, 37 anni, centrato da quattro colpi, uno dei quali al volto, non lontano dalla sua abitazione, tuttora ricoverato in gravi condizioni all’ospedale “Loreto Mare”. Il ferito, comunque, non risultava legato ai clan di camorra della zona.

Camorra, presi i fiancheggiatori del boss Panaro: 14 arresti

CASERTA. 14 persone sono state arrestate, all’alba di martedì, dai carabinieri del nucleo operativo di Casal di Principe, per aver fatto parte della rete di fiancheggiatori che coprì la latitanza del boss Nicola Panaro.
GLI ARRESTATI. Nicola Panaro, 45 anni, già detenuto; Maria Consiglia Diana, 36, di San Cipriano; Antonio Diana, 61, di Lusciano; Mauro Diana, 45, di San Cipriano; Dionigi Diana, 27, di San Cipriano; Cipriano Diana, 37, di Parete; Mafalda Diana, 39, di San Cipriano; Luigi Di Caterino, 44, di San Cipriano; Pasquale Di Bernardo, 31, di Villa Literno; Paolo Panaro, 32, di Casal di Principe; Giovanna Giuseppe Romano, 54 anni, di Villa Literno; Franco Serao, 49, di San Cipriano; Raffaele Serao, 55, di Castel Volturno; Giuseppe Verrone, 36, di San Cipriano.
Le accuse, formulate dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, sono di procurata inosservanza di pena, di intestazione fittizia di beni aggravata, di alterazione di documenti d’identità aggravata -  tutti  con l’aggravante per aver favorito una organizzazione camorristica - e di ricettazione. Numerosi gli indagati, ai quali sono stati notificati avvisi di garanzia. Eseguiti, dai militari della Guardia di Finanza di Aversa, anche numerosi sequestri di beni immobili, quote societarie, terreni, autovetture e motoveicoli riconducibili agli indagati.

Le indagini,  avviate a seguito della cattura, eseguita dai carabinieri il 14 aprile 2010, di Nicola Panaro, allora esponente  di vertice dell’organizzazione della fazione Schiavone del clan dei casalesi, hanno permesso di individuare una fitta rete di fiancheggiatori, grazie ad una consistente attività di intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi di osservazione e pedinamento, escussione di collaboratori di giustizia, accertamenti patrimoniali e analisi della numerosa documentazione, cartacea e informatica, sequestrata in occasione dell’arresto del latitante. La rete era composta, oltre che dai familiari del latitante, da persone ritenute insospettabili  in quanto completamente estranee a contesti criminali.

Tra gli arrestati un dipendente dell’Ufficio Anagrafe del Comune di San Cipriano d’Aversa, Raffaele Serao, accusato  di avere rilasciato carte d’identità contraffatte, riportanti le foto di Panaro e della moglie con i dati anagrafici del fratello e della cognata dello stesso impiegato.
Grazie all’assistenza continua assicuratagli dalla rete di fiancheggiatoti, nei sette anni di latitanza Panaro riusciva agevolmente a muoversi sia sul territorio nazionale che all’estero. Dall’analisi del materiale sequestrato, infatti, è emerso che il latitante effettuava, in compagnia di familiari e amici, numerosi soggiorni in diverse località turistiche italiane e, in una circostanza, addirittura fuori dai confini nazionali, nel pieno centro a Montecarlo. Panaro riusciva anche a incontrare periodicamente i  familiari in una villa con piscina (sottoposta a sequestro), a San Nicola Arcella, in provincia di Cosenza.

Tra i destinatari delle ordinanze di custodia cautelare in carcere vi è anche il figlio della proprietaria dell’abitazione di Lusciano dove il latitante venne scovato, che forniva a quest’ultimo apparecchiature tecniche per la bonifica da microspie.


Nell'elenco degli indagati anche un’insospettabile maestra, accusata di favoreggiamento, e un parroco dell’agro aversano, oggi viceparroco in una chiesa del napoletano, che avrebbe scritto diverse lettere di incoraggiamento a Panaro, invitandolo a “farsi coraggio” e garantendogli di pregare ogni giorno per lui, dicendosi disponibile ad aiutarlo.

Caserta, la lettera del prete al boss latitante: «Ti auguro ogni bene».
CASERTA - Una lettera di sostegno per il boss, firmata da don Carmine Schiavone, ex viceparroco della chiesa dell' Annunziata di Villa Literno, accusato di avere aiutato illatitante Nicola Panaro a sottrarsi alla cattura e denunciato nell'operazione di oggi condotta dai carabinieri.       «Ti auguro tutto il bene che un prete può augurare a un uomo»: è una delle frasi che don Carmine Schiavone, di 37 anni, ha scritto al boss Nicola Panaro durante la latitanza, durata sette anni e terminata con l'arresto nel 2010.

Al sacerdote, per il quale la Procura aveva chiesto l'arresto, è dedicato un paragrafo dell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Oriente Capozzi. Il prete «intralciando le investigazioni, le ricerche dell' autorità e le indagini dei carabinieri di Casal di Principe, mettendosi in contatto epistolare con lui ed incoraggiandolo nella latitanza nonchè interponendosi tra il latitante ed i suoi familiari, garantendo il suo apporto morale e materiale».

Una delle lettere inviate da don Carmine al capoclan fu rinvenuta nelle perquisizioni successive alla cattura di Panaro nel covo di Lusciano.

La lettera era stata scritta in chiesa, davanti al crocifisso. È scritto nell'ordinanza di custodia cautelare. Il giudice sintetizza così la missiva: «L'autore dice di trovarsi in chiesa davanti al crocefisso, racconta di aver celebrato un funerale, si dice felice di essere guida spirituale del figlio di Nicola, dice di pregare ogni giorno per Nicola durante la messa, scrive testualmente: Ti auguro tutto il bene che un prete può augurare a
un uomò».

Dalla lettera (tre fogli formato A4 scritti a mano) si evince anche, sottolinea il gip, che «l'autore conosce bene la famiglia del latitante» e «sul punto appare opportuno precisare che le indagini hanno permesso di appurare che don Carmine Schiavone ha più volte frequentato la casa (della famiglia Panaro, ndr) di Via Leoncavallo di S.Cipriano d'Aversa, anche dopo l'arresto di Panaro. Lo stesso prelato è stato in contatto telefonico con Diana Maria Consiglia», moglie del boss, arrestata questa mattina
dai carabinieri.

lunedì 21 ottobre 2013

E' morto in carcere Angelo Nuvoletta, il mandante dell'omicidio di Giancarlo Siani

MARANO. Angelo Nuvoletta, padrino, insieme ai fratelli Lorenzo e Ciro, della storica famiglia camorrista di Marano (Napoli) è morto. La notizia è diffusa dal quotidiano Il Mattino. Angelo Nuvoletta aveva 71 anni. Era in carcere in regime di 41bis nel penitenziario di Spoleto. Il padrino di Marano, il cui sodalizio era alleato coi corleonesi di Totò Riina e poi con la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, era stato arrestato solo nel 17 maggio del 2001, dopo 17 anni di latitanza. È lui il mandante dell'omicidio del giornalista napoletano Giancarlo Siani e per quella morte – e per altre vicende di sangue ( tra le quali la morte di 5 affiliati al Clan Alfieri, strangolati e sciolti nell'acido) – era stato condannato più volte all'ergastolo. I funerali dovrebbero tenersi si terranno a Marano, comune a Nord di Napoli, città d'orgine del boss e della famiglia malavitosa.

Nuvoletta ucciso da un tumore A rischio i funerali a Marano

MARANO. Stroncato da un tumore in un reparto per malati terminali all'ospedale di Parma, dopo alcuni ergastoli e dodici anni di carcere duro al 41 bis, il padrino Angelo Nuvoletta si porterà nella tomba i segreti della più devastante stagione delle stragi di camorra: dei suoi legami con la mafia dei corleonesi di Liggio e Riina, delle connivenze con la politica degli anni Ottanta, dei delitti eccellenti come quello del giornalista napoletano Giancarlo Siani e della mattanza di rivali dai nomi qualunque, soffocati e sciolti nell'acido. 
Aveva 71 anni, il boss, di cui 17 passati a sottrarsi alla giustizia, latitanza dorata che si consumava proprio a pochi passi dal Comune di Marano, fino all'arresto del 2001. Già una settimana fa, su disposizione del giudice di sorveglianza, era stato trasferito dal settore di massima sicurezza del carcere all'ospedale. Dal pm Marco Del Gaudio della Procura antimafia era partito un accertamento, come di prassi: ma il responso clinico diceva che aveva ormai poche ore di vita. Spese anche a salutare, tra i pochi momenti di coscienza, figli e parenti. 
Dei tre fratelli e boss Nuvoletta, con Lorenzo e Ciro - Angelo era il più stratega e sanguinario. Non c'era palazzo o traffico criminale che si muovesse nell'area a Nord di Napoli, senza il placet dei signori di Marano, che governavano economie, vite e destini impenditoriali dalla loro tenuta di Poggio Vallesana, attravesrata da decine di esemplari di cavalli di razza e da altrettante squadre di professionisti al loro servizio. 

Avevano cominciato come importanti trafficanti di sigarette di contrabbando, ma poi avevano diversificato quelle rotte con i grandi carichi di eroina, primi importatori in Europa tra i Settanta e gli Ottanta. Grazie proprio ai legami stretti con i vertici di Cosa Nostra in Sicilia.

Angelo, come i fratelli, era un "pungiuto" della mafia: si era sottoposto al rito dell'alleanza di sangue con la mafia siciliana, in cui si punge con uno spillo l'indice della mano che impugna l'arma, mentre brucia un'immagine sacra. 

E nell'area di Marano e dintorni sfigurata da una cementificazione selvaggia, erano stati - parallelamente al grande business della droga - i primi a reclutare imprenditori asserviti al potente cartello. Ingegnere, costruttori. Fondamentale il sodalizio con i Polverino. Fu Guido Longo, attuale questore di Reggio Calabria, allora alla guida della Dia di Napoli, a stanare Angelo Nuvoletta nel bunker vicino casa sua, a Marano, e l'allora pm Armando D'Alterio ottenne per lui la condanna definitiva come mandante del cronista Siani. Giancarlo aveva scritto che c'era ormai una frattura tra i Nuvoletta e il clan vesuviano dei Gionta. Era vero, ma il padrino Angelo - raccontano gli atti - per dare un segnale distensivo agli alleati ordinò l'eliminazione di quel giovane precario de "Il Mattino". 
Quando se lo portarono via in una cella di massima sicurezza, il boss fece capire subito che avrebbe mantenuto lo status di criminale legato ai corleonesi: "I pentiti hanno fatto male a voi e a noi". Un tumore se l'è portato via con tutti i suoi segreti. La Questura di Napoli valuterà se vietare i funerali: appare improbabile il corteo cittadino in una Marano che porta ancora i segni della dynasty criminale.

CONCHITA SANNINO
Repubblica.it

Pane ai veleni, sequestrati 17 forni. Vernici e chiodi nella legna da ardere

C'era anche legna con chiodi e verniciata tra il materiale da ardere adoperato in alcuni dei 17 forni a cui oggi, tra Napoli e provincia, i carabinieri del comando provinciale hanno messo i sigilli nel corso di un'operazione a tutela della sicurezza alimentare che ha portato al sequestro di 3200 chilogrammi di pane «illegale».
I controlli hanno interessato tutta la filiera: dalla produzione alla commercializzazione. Nel mirino dei carabinieri sono finiti i venditori abusivi che, soprattutto la domenica, commerciano lungo le strade, i negozi di alimentari e anche i supermercati. Una cinquantina le persone denunciate per inosservanza alle discipline inerenti all'igiene e alla produzione e commercializzazione dei prodotti. Molte anche le sanzioni amministrative comminate che, finora, ammontano a circa 40mila euro.
I forni sequestrati si trovano a Frattamaggiore, Arzano, Pomigliano d'Arco, Sant'Anastasia, Acerra, Brusciano, Castello di Cisterna, Giugliano in Campania, Villaricca, Sant'Antimo, Somma Vesuviana e Torre Annunziata: sono totalmente abusivi e in condizioni igieniche pessime.
Nel quartiere della Sanità, a Napoli, è stato anche scoperto un deposito abusivo dove il pane veniva conservato senza rispettare le norme igienico sanitarie: successivamente veniva imbustato e distribuito a ignari clienti, tra cui figurano anche alcuni ristoratori della zona.
Il pane sequestrato verrà consegnato allo zoo cittadino e ai canili municipali.

Pane illegale: chiusi 17 forni abusivi nel napoletano

GIUGLIANO. Ieri i carabinieri hanno ispezionati i forni in 12 comuni della provincia di Napoli e tra i materiale da ardere usato per cuocere "pane illegale", hanno trovato perfino legna con chiodi e vernice. L'operazione ha coinvolto 17 forni abusivi scoperti tra il capoluogo campano e il suo hinterland nel corso di un blitz scattato ieri mattina. I comuni coinvolti sono: Fratta Maggiore Arzano, Pomigliano d’Arco, Sant’Anastasia, Acerra, Brusciano, Castello di Cisterna, Giugliano in Campania, Villaricca, Sant’antimo, Somma Vesuviana e Torre Annunziata. Complessivamente, i militari dell'Arma hanno sequestrato, oltre ai 17 forni, anche 3200 chilogrammi di pane che sarà donato allo zoo di Napoli e ai canili municipali. Una cinquantina di persone sono state denunciate e multate per circa 40 mila euro. Per il leader degli ecorottamatori Ecologisti della Campania Francesco Emilio Borrelli e per Mimmo Filosa, presidente dell' associazione panificatori campani Unipan, quello sequestrato oggi è "pane tossico, nocivo per la salute come la frutta e gli ortaggi coltivati nella terra dei Fuochi". I controlli, che dal capoluogo campano si sono estesi in 12 Comuni della sua provincia, hanno preso di mira tutta la filiera, dalla produzione alla commercializzazione. Denunciati i venditori abusivi che, soprattutto la domenica, vendono il pane accatastato in ceste sistemate sui marciapiedi delle strade o nei cofani delle auto. Ispezioni sono state eseguite anche nei negozi alimentari e nei supermercati.