sabato 29 settembre 2012

Sant'Antimo. Armi e munizioni nel doppio fondo dell'auto

SANT'ANTIMO. Per trasportare pistole e munizioni, due fratelli avevano ricavato un doppio fondo nel cruscotto della loro auto, coperto da un’autoradio. E nonostante l’ingegnoso nascondiglio, le armi, tre pistole complete di caricatori, più altri due serbatoi pieni di munizioni e undici proiettili sciolto, sono state ritrovate e sequestrate dai carabinieri. In manette Nicola e Alessio Flagiello, 59 e 55 anni, entrambi residenti in via Vivaldi e già noti alle forze dell’ordine. I due sono incappati in un controllo dei carabinieri del nucleo operativo della compagnia di Giugliano, diretta dal capitano Francesco Piroddi, che oltre a monitorare l’attività estorsiva dei clan di Sant’Antimo, da settimane sono pure impegnati in una forsennata ricerca di armi, soprattutto nei comuni a nord di Napoli, dove i clan coinvolti nella nuova faida di Scampia sono impegnati a riorganizzare le batterie di fuoco e a rimpinguare, dopo gli ultimi sequestri di armi, il loro arsenale. E così ieri mattina i fratelli Nicola e Alessio Flagiello sono stati sorpresi dai carabinieri nei pressi della loro abitazione, a bordo di una Fiat Tipo. Il fatto che fossero «vecchie conoscenze» e il loro atteggiamento sospetto hanno convinto i militari a procedere al controllo e alle perquisizioni personali e a quella del veicolo. Dietro il blocco di plastica costituito dal portaoggetti e dal vano autoradio sono state trovate una pistola a tamburo calibro 38 special; una pistola calibro 9 Luger, con matricola abrasa, completa di serbatoio con 13 cartucce; una pistola calibro 9 Luger, con matricola abrasa, completa di serbatoio con 3 cartucce. Accanto alle pistole, un caricatore con 11 cartucce calibro 9 ed una calibro 9 Luger; un caricatore con 7 cartucce calibro 9 ed una calibro 9 Luger e 11 cartucce calibro 38 special. La piccola armeria è stata sequestrata e inviata alla sezione balistica dei carabinieri per accertare se siano state utilizzate per commettere omicidi o raid intimidatori. (m.d.c. - Il Mattino - 29/09/2012)

giovedì 20 settembre 2012

Droga, neomelodici e il mito Scarface. Vent'anni di guerra tra le Vele

di Rosaria Capacchione
NAPOLI - Per raccontare Secondigliano in tempi di faida bastano le sintetiche annotazioni della centrale operativa, con le segnalazioni di scooter che all’improvviso cambiano strada, ripiegano sui vicoli di Vanella Grassi, si disperdono aspettando che il pericolo - un’auto dei carabinieri o della polizia - sia passato. Sono le sentinelle, gli specchiettisti, gli aiutanti dei killer che chiamano la battuta e, quando è il momento, sparano.
Tra qualche mese, se saranno ancora vivi, torneranno nelle piazze di spaccio di Scampia perché la loro vita è quella, di venditori di droga che aspirano a diventare ricchi, ricchissimi, e anche potenti, ma senza prospettive differenti dall’essere camorristi, senza pensare alla politica e agli affari, senza neppure progettare un futuro lontano dal quartiere.
Agiscono con movenze ripetitive di faida in faida, più gangster che mafiosi, con Scarface come modello e i nemelodici come colonna sonora. Uguali a com’erano vent’anni fa. Sorprendente l’attualità dell’analisi contenuta nella relazione della commissione antimafia approvata il 21 dicembre del 1993, quando presidente era Luciano Violante, il primo documento parlamentare che esamina in maniera organica un’associazione criminale differente da Cosa Nostra.
Nel parallelo con la mafia, Violante aveva rilevato «la prevalente assenza di rituali, lo stato di illegalità secolare nella quale vivono gli strati più poveri della popolazione in molte aree della regione, la disponibilità ad avvalersi anche di bambini come corrieri, spacciatori al minuto di sostanze stupefacenti e trasportatori di armi».
Allora come oggi, «in Campania, inoltre, accanto alle organizzazioni camorristiche vere e proprie, operano gruppi di gangsterismo urbano e bande di giovani delinquenti; l'interscambio con queste forme di criminalità organizzata è intenso e si sviluppa secondo logiche di alleanza, di inglobamento, di confederazione. Si tratta di rapporti non duraturi, ma in alcuni momenti possono essere mobilitati eserciti di migliaia di persone».
Anche giovanissimi, anche bambini, cosa che in Sicilia era ed è tuttora impensabile. Questo è il contesto, la maretta costante per il controllo della più importante piazza di spaccio d’Europa, con la veloce scalata delle posizioni di comando e l’altrettanto veloce caduta verso il basso, quando si è scalzati dal vecchio gregario. Con variazioni significative in alcuni periodi storici. Quelli delle faide. Prendiamo la primavera del 1997, quando fu ucciso il nipote di Maria Licciardi, il «principino» Vincenzo Esposito, erede designato del clan più potente dell’Alleanza di Secondigliano. Un omicidio banale, dopo una lite in discoteca.
I morti si contarono a decine fino a quando non fu ammazzato l’assassino, Francesco Fusco, cognato di Maurizio Prestieri, oggi collaboratore di giustizia. Si racconta che fu Paolo Di Lauro, cresciuto alla scuola maranese dei Nuvoletta, a decidere per tutti, a convincere il suo amico Prestieri della necessità di quella morte per mettere fine alla carneficina. Che in effetti finì. Nel 2004, invece, in gioco c’era il passaggio generazionale, i vecchi che avevano deciso di andare in pensione lasciando ai figli la gestione degli affari di droga. Paolo Di Lauro, che di figli in vita ne aveva nove, puntò sul cavallo sbagliato, Cosimo, troppo irruente per il comando.
Nell’accordo di «fine rapporto» era previsto che gli equilibri in gioco non venissero modificati: per esempio, che Raffaele Amato continuasse a mantenere i rapporti con i trafficanti internazionali. Non a caso lo chiamavano «lo spagnolo», perché in terra iberica (dove poi è stato arrestato) aveva legami solidissimi con i fornitori di cocaina ed eroina africani e sudamericani. Amato, con il cognato Cesare Pagano e il fedelissimo Gennaro Marino erano nel cuore di «Ciruzzo ’o milionario»; Cosimo Di Lauro non ne tenne conto. Scatenò la guerra, mise a ferro e fuoco i quartieri controllati dagli altri, vinse qualche battaglia, perse la guerra. Che durò quasi un anno, fece una settantina di vittima e fu chiusa in pubblico, in tribunale, con il bacio tra Paolo Di Lauro e l’amico-avversario Rosario Pariante.
Gli «scissionisti» di Amato avevano vinto, ma è stata una vittoria effimera, durata fino alla grande repressione dello Stato che ha portato in carcere tutti i capi del cartello. Oggi la situazione è apparentemente simile. In strada ci sono i gregari dei vecchi capi, i fratelli e i cognati. Ma i rapporti di forza non sono più alla pari. Molto hanno fatto anche i pentimenti e i dissidi interni, soprattutto familiari, tra Amato e Pagano. Ed ecco spuntare quasi dal nulla le terze e quarte file, che stanno cercando di mettere le mani su un giro d’affari stimato almeno cento milioni di euro all’anno. Sono i violentissimi giovanotti di Vanella Grassi, gli stessi modi da gangster di cui parlava Violante diciannove anni fa.
Li chiamano «i girati», vogliono il mercato per sé, cercano alleati estemporanei nelle Case Celesti, in via Ghisleri, nelle Vele, nel lotto P, nelle Case dei Puffi, anche perché da soli non saprebbero come trattare con i narcos. E sparano. Ma non è affatto certo che di questa nuova faida scatenata a inizio d’anno siano le menti.
È possibile che a manovrare i fili ci siano i «vecchi», i capi dell’Alleanza, i figli di Paolo Di Lauro, i boss dell’hinterland (come Polverino o Mallardo), tutti interessati allo stesso mercato ma anche a una gestione meno violenta del territorio. Una gestione che escluda il racket ai commercianti (per riconquistare il consenso sociale) e non avvicini troppo le forze dell’ordine.
Ancora una volta vale la pena di scomodare la relazione Violante: «(la camorra) nei momenti di difficoltà perde i suoi connotati specifici e si confonde con l’illegalità diffusa. Ma quando si ripresentano le condizioni idonee riappare, sia pure con significative diversità rispetto al passato. In effetti più che di riapparizione si tratta di riproposizione, in fasi di particolare debolezza dello Stato e della società civile, di un modello criminale fondato sulla intermediazione violenta in attività economiche, legali ed illegali, che si adegua ai caratteri che queste attività assumono nel tempo.
L'immersione corrisponde, in genere, non a momenti repressivi particolarmente efficaci, ma a politiche nazionali dirette ad una integrazione dei ceti più poveri, come è accaduto durante l'età giolittiana, o a politiche di sviluppo industriale, come è accaduto in alcune fasi del secondo dopoguerra, che hanno dato a molti la possibilità di guadagnare un salario senza rivolgersi alla camorra».
 

lunedì 10 settembre 2012

Assedio a Scampia, la spending review. I clan tagliano gli stipendi agli affiliati

di Daniela De Crescenzo
NAPOLI -Turni notturni, stipendi dimezzati, welfare ridotto all’osso: l’azienda è in difficoltà e i dipendenti soffrono. Ma a creare problemi agli Spacciatori Associati di Scampia non è la crisi economica. A loro i clienti non mancano: anche se in giro ci sono meno soldi i tossicodipendenti continuano a consumare e sono pronti come sempre ad ammazzarsi per una dose: non gliene frega niente se la nuova faida li espone al rischio di trovarsi coinvolti in una sparatoria, per una dose sono pronti a correre qualsiasi pericolo.

Il problema della camorra spa nasce dalla decisione delle forze dell’ordine di presidiare in massa le piazze dello spaccio. Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, unite nella lotta, stanno mettendo in crisi il core business della ditta. I controlli a tappeto rendono difficile avvicinarsi alle Case Celesti, alla zona dello Chalet, alle Vele, al lotto T e impediscono a pali e venditori al dettaglio di condurre le compravendite alla luce del sole.

Un altro colpo dopo le battute d’arresto subite negli ultimi mesi quando gli Scissionisti sono stati costretti a stipendiare il fabbro per rimettere a posto le fortificazioni poste a difesa delle piazze: le forze dell’ordine le abbattevano e loro le ricostruivano. Poi con la guerra le cose sono peggiorate. Mentre i clan devono guardarsi continuamente le spalle dai nemici interni, poliziotti e carabinieri hanno avuto finalmente i rinforzi.

Come sempre, la crisi viene pagata dalla bassa forza, in questo caso da pali, vedette, spacciatori e carcerati. Gli stipendi dei lavoratori in servizio sono stati immediatamente dimezzati, e qualche volta arrivano pure in ritardo. «Di più non vi possiamo dare, portate pazienza», hanno spiegato i capi di entrambi gli schieramenti in lotta, pronti ad ammazzarsi, ma concordi sulla ricetta per risolvere la crisi. Finora uno stipendiato guadagnava tra i mille e i diecimila euro al mese, adesso ne incassa la metà.

Quando va bene. Gli Abbinante e gli Abete da un lato, i Leonardi, i Marino, i Magnetti dall’altro hanno chiamato i dipendente e hanno ricordato: «Per evitare i controlli bisogna lavorare soprattutto di notte, quindi si smonta più tardi. Chi non ci sta, se ne può andare».

Nessuno ha fiatato e venerdì notte alle 2 spacciatori e pali erano ancora al lavoro. Poi i boss sono passati alle famiglie dei detenuti. Finora ogni carcerato assicurava ai suoi cari due o trecento euro a settimana, adesso mogli, amanti e conviventi non riescono a incassare più di cento euro a settimana e spesso non arrivano nemmeno quelli. Quello che rischia di saltare è il welfare della camorra inventanto negli anni Settanta da Raffaele Cutolo e diventato da allora in poi uno dei pilastri del successo di un’azienda in continua espansione.

Ma la contrazione degli affari ha convinto di capi ha ridurre le spese in attesa di tempi migliori, anche se le perdite subite in questi giorni sono tutto sommate contenute per un business più che fiorente. Nell’ottobre scorso la Squadra Mobile sequestrò al ragionere del clan, Pasquale Russo, i libri contabili del clan: a conti fatti il solo traffico della cocaina fruttava ai clan di Scampia otto milioni al mese, ai quali bisogna aggiungere i proventi dell’eroina, del kobret e dell’hashish, in tutto una ventina di milioni. Esentasse, ovviamente. Introiti che hanno permesso ai capi del clan di accumulare ricchezze favolose che hanno garantito a loro e ai loro figli una vita a cinque stelle fino all’arresto o all’agguato che è costato la vita a molti di loro.

Ma ora che i guadagni sono ridotti i capi hanno deciso di dare il via alla Spending review made in Scampia. E i dipendenti non hanno nessun sindacato al quale rivolgersi.

Agguato a Scampia ucciso boss scissionisti

SCAMPIA. Un pregiudicato, Raffaele Abete, di 42 anni è stato ucciso in un agguato questa notte a Scampia. Abete è stato raggiunto dai sicari all'uscita di un bar e colpito tre volte alla testa. Il pregiudicato era fratello del boss detenuto Arcangelo Abete, capo del' omonimo clan.
Secondo la ricostruzione della squadra mobile, che conduce le indagini, Raffaele Abete era appena uscito dal bar ''Zeus'', in via Roma verso Scampia, quando sono sopraggiunti i sicari, almeno due, che hanno aperto il fuoco da distanza ravvicinata, mirando alla testa.
Tre le esplosioni avvertite da alcuni testimoni. Il pregiudicato e' morto prima dell'arrivo dell'ambulanza del 118. La salma di Abete e' stata trasferita al II Policlinico per l'esecuzione dell'autopsia, su disposizione del pm. La vittima dell'agguato aveva precedenti penali per associazione per delinquere e rapina ed abitava al lotto TA di via Ghisleri.
Il gruppo camorristico degli Abete e' alleato ai Notturno-Abbinante ed e' quello degli ''scissionisti'' di Scampia, adesso contrapposto al clan di via Vanella Grassi in quella che viene definita la nuova faida di Scampia. L'agguato di questa notte potrebbe costituire la risposta del gruppo della Vanella Grassi agli ''scissionisti''. (fonte: Ansa)

lunedì 3 settembre 2012

Clan Mallardo: La cassa oggetto del contendere

GIUGLIANO. Quattro boss catturati, oltre 50 tra affiliati, fiancheggiatori e prestanomi arrestati, più di 100 le persone indagate a piede libero accusate di favorire le attività del clan, sequestro di un ingente patrimonio di beni mobili e immobili per un valore stimato di 1,3 miliardi di euro. Tutto in due anni e mezzo. Numeri impressionati quelli riguardanti il clan Mallardo, organizzazione criminale che per potenza economica e criminale - secondo gli inquirenti - è seconda solo al clan dei Casalesi. Da marzo 2010 a oggi, grazie a un’attività della procura di Napoli, che ha coordinato le operazioni eseguite dal Gico di Roma, Squadra Mobile e Comando Provinciale dell’Arma di Napoli, il clan Mallardo può considerarsi smantellato. Almeno nei suoi vertici. In cella, in due anni, sono finiti infatti i capi dell’organizzazione criminale che avevano presto il controllo della cosca dopo l’arresto dei super boss eccellenti Francesco e Giuseppe Mallardo, richiusi al 41 bis. Ma come ogni sodalizio criminale, anche il clan Mallardo è pronto a cambiare faccia, ad assumere un nuovo assetto per continuare a svolgere i traffici illeciti, non solo nell’hinterland napoletano ma in tutta Italia. Una dimostrazione è l’ultima operazione dei Ros che ha accertato un patto tra i Mallardo, i Casalesi e il clan Licciardi. Una sorta di ‘cupola’, nata per far fronte alle difficoltà di reperire finanziamenti i blitz messi a segno dalle forze dell’ordine. Traffico di droga e armi, estorsioni. Ma soprattutto grosse speculazioni edilizie. “E’una vera holding che investe nel mattone”, hanno più volte sentenziato gli inquirenti nelle conferenze stampa che facevano seguito alle brillanti operazioni che hanno attestato duri colpi al patrimonio economico dei Mallardo negli ultimi anni. Oltre un miliardo di euro il valore dei beni sequestrati, quasi tutti intestati a prestanomi. Persone per lo più incensurate e insospettabili a cui vengono dati in gestione in maniera fittizia società nei diversi settori. Nel commercio così come nell’edilizia. Società che servono per ripulire e giustificare i soldi derivanti dai traffici illeciti.
Un miliardo di euro che comunque sembra essere una goccia nell’oceano. Secondo le informative degli inquirenti il patrimonio dei Mallardo ammonterebbe ad almeno il triplo di quello già sequestrato nelle operazioni che hanno con-dotto via via all’arresto di Giuseppe Dell’Aquila, Feliciano Mallardo, Francesco Napolitano e infine Biagio Micillo. Patrimonio ora gestito dalle nuove leve della cosca, i luogotenenti che hanno fatto carriera in questi anni che però - secondo il racconto dei pentiti - prendono sempre ordini dai boss rinchiusi in carcere. Sono loro a continuare a comandare, a tenere in mano le redini dell’organizzazione criminale. Ma non tutto sembra filare liscio. Gli agguati e i ferimenti degli ultimi mesi verificatisi a Giugliano, come non accadeva da anni, fanno pensare a una lotta intestina su chi debba gestire l’ingente flusso di denaro. Non una faida interna né tantomeno una spaccatura, sia chiaro. Perché a comandare è sempre il clan Mallardo. Ma piccole frizioni tra i sottogruppi in cui è diviso il clan che potrebbero mutare il suo assetto organizzativo e mettere in pericolo l’equilibrio criminale raggiunto dal clan Mallardo nel corso degli ultimi 20 anni.
 

S.Antimo. Rubano ferro da un edificio dismesso: 5 in manette

SANT'ANTIMO. I carabinieri della locale tenenza hanno arrestato per furto aggravato Gabriele Sgamato di 60 anni, Nicola Di Giuseppe di 19 anni, entrambi del luogo e incensurati, Luigi Guarino di 23 anni, residente in via Mazzini, Gennaro Maggio di 41 anni, residente in via padre Antonino e Alessandro Chianese di 38 anni, residente in via De Nicola. Tutti e cinque sono stati sorpresi e bloccati su via Marconi, in un edificio dismesso di proprietà di una 45enne di Napoli attualmente sequestrato dal nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Napoli per violazioni alle leggi a tutela dell’ambiente; i militari dell’Arma li hanno beccati all’interno di quest’edificio, dopo che gli stessi erano entrati forzando il cancello d’ingresso, mentre rubavano profilati in ferro che stavano caricando sull’auto di uno di loro. Subito i carabinieri hanno deciso di intervenire bloccando i malviventi e mettendo al sicuro il materiale ferroso. La refurtiva è stata restituita all’avente diritto e l’auto utilizzata è stata sequestrata. Gli arrestati, dopo le formalità di rito, sono stati accompagnati nelle loro abitazioni e sono in attesa del giudizio attraverso il rito per direttissima proprio perchè colti in flagranza di reato dai militari dell’Arma.