sabato 28 maggio 2011

Allarme dagli Usa: «Vesuvio bomba per tutta l'Europa». Prevenzione, è polemica

di Salvo Sapio

NAPOLI - Il ticchettio non lo sentiamo neanche più, abituati come siamo a considerare il Vesuvio soltanto come parte del panorama; immagine da cartolina che la rivista Nature (ripresa dal National Geographic) smonta ricordando che il vulcano che domina il golfo di Napoli è «la bomba a orologeria d’Europa». Secondo Nature il rischio Vesuvio è sottovalutato, così come lo era l’ipotesi di un terremoto disastroso in Giappone. La prossima eruzione potrebbe essere peggiore di quanto prevista dal piano d’emergenza.
La giornalista Katherine Barnes, autrice del servizio, raccoglie diversi studi e li mette a confronto. Il punto di partenza è rappresentato dagli studi del team di Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano, che assieme ad altri studiosi già nel 2006 indagò sulla cosiddetta eruzione delle Pomici di Avellino, l’evento che circa 3.800 fa devastò l’intera Campania, con effetti ancora più disastrosi della successiva eruzione di Pompei del 79 d.C.
Il primo dato riguarda l’area da ritenere a rischio. La zona rossa comprende attualmente 18 comuni e circa 600mila residenti. Nature mette in discussione in piano di evacuazione e d’intervento. «Quando si appronta un piano di emergenza – sottolinea la rivista scientifica - occorre tener conto anche del cosiddetto ”worst-case scenario” cioè del peggiore caso possibile». Ed in effetti l’eruzione del Vesuvio con caratteristiche altamente distruttive metterebbe letteralmente in ginocchio non solo la Campania ma lo stesso sistema nazionale e, di conseguenza, l’intera Unione europea. Nature cita a proposito la teoria dei «cigni neri», vale a dire eventi poco probabili ma potenzialmente devastanti.
Ma quali sono gli elementi che creano allarme? Mastrolorenzo e la sua collega Lucia Pappalardo hanno ipotizzato, sulla base di una serie di indagini sismologiche, l’esistenza di una vasta camera magmatica a circa 8-10 chilometri di profondità sotto il Vesuvio; segno di un possibile risveglio violento del vulcano. Lo studio ribadisce la possibilità che i flussi colpiscano anche al di là della cosiddetta «zona rossa», della quale da anni lo stesso Mastrolorenzo chiede l’estensione all’intera area urbana di Napoli, il che imporrebbe un’evacuazione di tre milioni di persone invece delle 600mila attualmente previste.
Nature ha, quindi, interpellato anche i rappresentanti del dipartimento della Protezione Civile che ribattono come il piano di emergenza sia in continuo aggiornamento e che la valutazione del rischio viene compiuta «sulla base delle condizioni presenti del vulcano». Secondo il vulcanologo Warner Marzocchi dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia «non si può investire tutto in previsione del peggiore evento possibile: la riduzione del rischio deve basarsi su presupposti razionali. Un’evacuazione di tutti i tre milioni di abitanti dell’area urbana di Napoli sarebbe impossibile da gestire».
Mazzocchi e i suoi colleghi, segnala Nature, stanno sviluppando una serie di modelli probabilistici che potrebbero aiutare le autorità a valutare la situazione e a decidere le possibili soluzioni in caso di crisi. Un metodo simile a quello utilizzato dall'équipe di Peter Baxter dell’Università di Cambridge in occasione dell’eruzione avvenuta nel 1997 sull’isola di Montserrat, nei Caraibi. Le previsioni di Baxter consentirono di evitare l’evacuazione dell'intera isola. Per il Vesuvio, Baxter e i suoi colleghi hanno approntato un modello di previsione che tiene conto dei possibili scenari in caso di eruzione. In base allo studio, un’eruzione media come quella del 1944, con flussi di lava e moderate emissioni di cenere, resta l’evento più probabile. Qualora il vulcano dovesse risvegliarsi, la probabilità che lo faccia con un’eruzione pliniana, devastante come quelle di Pompei o di Avellino, viene calcolata intorno al 4%. Un simile approccio probabilistico, conclude l’articolo di Nature, sembra l’unico a disposizione di autorità e studiosi, in mancanza di sistemi più accurati per prevedere le eruzioni.
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Faida di Secondigliano: ergastolo ad 11 boss

MUGNANO. Carcere a vita per i Di Lauro e gli scissionisti. La sentenza per la faida di Secondigliano al termine delle indagini condotte dai pm Luigi Alberto Cannavale e Stefania Castaldi: ergastolo per Paolo Di Lauro, Enrico D’Avanzo, ma anche per gli scissionisti Raffaele Abbinante, Rosario Pariante, Guido Abbinante, Raffaele Amato, Massimiliano Cafasso, Carmine Minucci, Tommaso Prestieri, Antonio Abbinante. Cala così il sipario su una delle fasi più violente della storia criminale a nord di Napoli. La faida del rione Monterosa, la guerra per la conquista dei traffici illeciti a Mugnano e di un’ampia fetta di hinterland cittadino. Erano i primi anni Novanta, ci furono una ventina di omicidi. Una «gomorra» ante litteram. Da lì, dalla guerra dei Di Lauro contro i Ruocco-Sannino, il consolidamento del potere personale di Paolo Di Lauro, l’avvento dei grandi traffici di droga da mezzo mondo. Episodi agghiaccianti, che avrebbero anticipato di oltre un decennio la falda del 2004-2005. Una galleria degli orrori, immagini di morte puntualmente ricostruite dal pm anticamorra Castaldi: come l’omicidio di Angela Ronga e di Elena Moxedano, mamma e cognata del famigertao boss detto ‘o capaceccia, su ordine dei Di Lauro, su ordine di una struttura di potere che da quel momento in poi avrebbe puntato su due interessi criminali: il controllo del sistema delle piazze di spaccio, il riciclaggio dei proventi criminali nell’edilizia. Il sacco di Napoli nord, un’intera fetta di area metropolitana assoggettata agli interessi della malavita organizzata. Quarta assise, presidente Giovanni Pentagallo, giudice a latere Isabella Iaselli, c’è un altro delitto agghiacciante ricostruita dal verdetto di primo grado: l’esecuzione di Alfredo Negri, che venne sequestrato, torturato per ore, interrogato, ucciso e gettato all’esterno del carcere di Secondigliano. Un messaggio ai suoi capi, quelli che avevano gettato bombe a mano al rione Monterosa, provocando la morte del boss Raffaele Prestieri. Storie di vendette infinite, storie criminali mai definitivamente chiuse, su cui oggi, a distanza di oltre 20 anni, c’è una prima verità giudiziaria. (Fonte Il Mattino)

Frattamaggiore, 17enne incinta e al nero chiede permesso: licenziata e picchiata

di Marco Di Caterino

FRATTAMAGGIORE - Maria Rosaria è un nome inventato. La sua storia no. Ha diciassette anni ed è incinta. Lavorava a nero. In un posto orrendo, sporco ed insicuro che le sue amiche di fatica, chiamano 'a fabbrica. Cuciva pantaloni e giacche.
Per dieci e anche più ore al giorno. Lavorava. Perché è stata cacciata via a pedate dal posto di lavoro. Schiaffeggiata dal padrone: Sergio Nardiello, 55 anni, di Frattamaggiore, iscritto nel registro degli indagati per i reati di lesioni, violenza e minacce.

Innervosito dalla pretesa di questa mamma bambina di avere addirittura due ore di permesso. Perché da giorni non si sentiva un gran che bene.

E voleva andare dal ginecologo con la mamma. Perché lavorare alla macchina per cucire o peggio nella zona della stiratura per otto ore, che diventano undici con lo straordinario (tre ore pagate appena un euro, che fanno trenta centesimi per sessanta minuti), ad una ragazza incinta può anche creare qualche problema di salute. Il padrone o anche «'o masto» - che in italiano sta per maestro - inviperito dalla proteste della ragazza l'ha maltrattata fisicamente. Davanti alla mamma terrorizzata. L'ha mandata a quel paese. «E già! Mo ci mettiamo a chiedere pure i permessi. Tu qui non ti devi fare più vedere», le ha gridato contro il padrone che le ha sbattuto la porta in faccia.

Maria Rosaria ha pianto e imprecato. E ingoiato lacrime amarissime. Aveva un lavoro. Poche centinaia di euro al mese. Sarebbero bastati a lei, al futuro marito e quel piccolo che già aveva preso a scalciare. Si è trovata davanti a una strada di disperazione. Senza sbocchi. E allora ha preso il coraggio a quattro mani. E si è decisa a denunciare. «Vado dalla polizia». Un altro litigio in casa, con il futuro marito e la mamma a ripetere: «E quando mai la nostra famiglia si è rivolta alla legge? Finirai sulla lista nera, di quelli che creano problemi con questi diritti con questi sindacati. Così qui non lavorerai più». «E nemmeno lui», ha replicato Maria Rosaria.

L'altra mattina si è presentata nel commissariato di polizia di Frattamaggiore, diretto dal vice questore Angelo Lamanna, che ha ascoltato la denuncia di Maria Rosaria, accompagnata dagli imbarazzatissimi genitori, finalmente schierati accanto alla figlia. Il verbale ha riempito tre pagine fitte fitte. Gli agenti hanno formalizzato la denuncia e chiesto il parere del pubblico ministero. E sono stati disposti anche i controlli nell'azienda «Nardiello Srl», in via Giordano a Frattamaggiore. E ci sono andati i poliziotti e gli ispettori dell'Asl Na2 Nord. Hanno trovato sedici operaie a lavorare a nero.

Così hanno accertato agenti e ispettori quando hanno chiesto la documentazione assicurativa che non è stata mostrata. Il controllo ha poi evidenziato che i locali della «Nardiello Srl» erano carenti sotto l'aspetto igienico e per le norme di sicurezza, privi di porte di emergenza e del percorso per la messa in sicurezza dei dipendenti. Scale e accessi pericolosi, pavimentazione sconnessa, muri sporchi e senza intonaco.

Una fabbrica senza spogliatoi, con gli impianti elettrici non conformi alle norme antiinfortuni e gli estintori non revisionati. I contenitori del gpl posizionati e stoccati in luogo non sicuro, come non sicure sono state trovate le attrezzature di lavoro prive della certificazione obbligatoria. Una fabbrica senza il certificato di prevenzione degli incendi, e con un seminterrato utilizzato per la lavorazione, privo della necessaria autorizzazione e senza la documentazione di valutazione dei rischi. Un posto simile a un girone dell'inferno dantesco.

Gli agenti e gli ispettori dell'Asl Na 2 nord hanno proceduto al sequestro e deferito all'autorità giudiziaria l'amministratrice della «Nardiello Srl», Amalia Giordano, 83 anni, e il figlio Sergio Nardiello, di fatto gestore dell'azienda. Ed è iniziato un altro dramma. Un'altra ferita aperta sulla carne viva. Le operaie, che hanno assistito in silenzio a tutta la verifica, quando hanno appreso che l'azienda era stata sequestrata, con amara ironia hanno «ringraziato» la polizia: «Ma adesso come faremo a tirare avanti?».
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Camorra e politica: infiltrazioni nei comuni

MELITO. Indagini sono in corso da parte della Procura della Repubblica di Napoli su presunte infiltrazioni camorristiche nel Comune di Melito. Gli accertamenti sono stati avviati dal pm della Dda Stefania Castaldi in seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Biagio Esposito, ex esponente di primo piano del clan degli scissionisti di Scampia. Secondo Esposito, il clan poteva contare sulla complicita' di amministratori e funzionari per ottenere il rilascio di concessioni edilizie e altri favori. Questi rapporti, afferma ancora Esposito, erano curati da Vincenzo Nappi, soprannominato '' 'o pittore'' e arrestato due settimane fa. ''Il compito di gestire le estorsioni a Melito - e' scritto nei verbali - e' affidato a Enzo '' 'o pittore'' con Pino Parisi e Andrea '' 'o chiattone''. ''Enzo gestisce tutti gli affari della famiglia Amato-Pagano, - riportano ancora i verbali - occupandosi di case e costruzioni nella zona di Melito. Ricordo che molte volte ho sentito dire a Enzo che doveva recarsi al Comune per avere licenze e permessi; in particolare lui incaricava anche un certo (omissis). In poche parole Enzo mi ha sempre riferito che il Comune di Melito era a nostra disposizione, io come al solito non mi sono meravigliato perche' tutti i Comuni sono a disposizione della camorra''.

Le indaginiNon e' la prima volta che la Procura indaga sui legami tra politica e camorra a Melito. Anni fa venne arrestato per collusione con i clan di Secondigliano l'ex sindaco Alfredo Cicala, della Margherita, addirittura sospettato di aver avuto un ruolo in un omicidio. Cicala, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, e' stato pero' assolto dall'accusa di concorso in omicidio. Le dichiarazioni di Esposito fanno anche propendere le indagini e impongono alla procura di accendere i riflettori anche sul comune di Mugnano. Si cercherà di dare un volto e un nome al ‘gancio’, presente all’interno degli uffici municipali, di cui parla Biagio Esposito. Gli investigatori dovranno chiarire chi era l’uomo in grado di mettere insieme pubblica amministrazione e cosca Amato Pagano.

Bernardino Tuccillo, ex sindaco di Melito Le testimonianze rese dal collaboratore di giustizia Biagio Esposito, riguardo a presunte infiltrazioni camorristiche nel Comune di Melito di Napoli, ''rappresentano l'ennesima conferma dell'abbraccio mortale tra clan ed istituzioni nell'hinterland napoletano''. E' quanto sottolinea, in una nota, Bernardino Tuccillo, ex sindaco di Melito, il comune del Napoletano oggetto di indagini da parte della Procura della Repubblica di Napoli per presunte infiltrazioni camorristiche. ''Nei mesi scorsi - prosegue Tuccillo - lo scrittore Roberto Saviano, a colloquio con il pentito di camorra, Maurizio Prestieri, descrisse lo scenario inquietante dei rapporti tra l'ex sindaco Dc di Melito Alfredo Cicala e il clan Di Lauro. Ricordando come l'amministratore fosse l'unico politico ammesso ai summit del cartello criminale''. Per Tuccillo, il caso di Melito ''non rappresenta certo un'eccezione''. ''Poche settimane fa - sottolinea l'ex primo cittadino di Melito - un pentito del clan Mallardo di Giugliano ha descritto un analogo scenario di collusioni e commistioni tra camorra, politica ed istituzioni nel popoloso comune della provincia di Napoli''. ''Il tema della liberazione dei nostri territori e delle istituzioni democratiche dalla camorra e del malaffare e' sempre piu' cruciale ed ineludibile, - conclude Tuccillo - oltreche' indispensabile precondizione per il riscatto e la rinascita della nostra regione e della nostra provincia''.

Napoli, arrestato il boss Dell'Aquila «'o ciuccio» era tra i 30 più pericolosi

NAPOLI - Giuseppe Dell'Aquila, 49 anni, inserito tra i trenta latitanti più pericolosi è stato arrestato dalla squadra mobile di Napoli . L'uomo, considerato il reggente del clan Contini-Mallardo e ricercato dal 2002, era nascosto in una villa blindata a Varcaturo, sul litorale flegreo. Dell'Aquila è accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso, armi e altri reati.

Giuseppe Dell'Aquila, soprannominato “Peppe ‘o ciuccio”, è un 'boss' potente, scaltro e per moltissimi anni rivelatosi imprendibile dalle forze dell'ordine. È ritenuto uno dei fondatori della cosiddetta 'Alleanza di Secondigliano', un cartello di famiglie camorristiche che negli anni '80 dominò la scena criminale della citta', dopo aver inscenato una lunga, sanguinosa guerra con altre bande criminali.

Cresciuto all'ombra della potente famiglia dei Mallardo di Giugliano in Campania, acquistò in poco tempo la fama di boss emergente che partecipava a tutte le riunioni decisionali. Divenne ben presto punto di riferimento anche del clan Contini, alleato dei Mallardo. Alla fine degli anni '80 la sua influenza all'interno della coalizione di clan era tanta che, come racconta un pentito, per sua intercessione ottenne che i Giuliano - Patrizia Giuliano, sorella del 'boss' di Forcella, Luigino era la sua compagna - non fossero sterminati dal gruppo Mallardo-Contini-Licciardi che avevano costituito l'Alleanza di Secondigliano.

Uscito dal carcere nel 2001, si diede alla latitanza nel luglio dell'anno successivo quando nei suoi confronti la magistratura emise un provvedimento di arresto in quanto doveva scontare una pena residua. Le forze dell'ordine sono state più volte sul punto di catturarlo ma in più di una circostanza Dell'Aquila è riuscito a sfuggire alla cattura con fughe rocambolesche. Nell'aprile 2009 era nascosto a Giugliano in Campania, ma quando gli agenti arrivarono nel suo nascondiglio, lo aveva lasciato da poche ore. Nell'agosto successivo era a bordo di una lussuosa imbarcazione ormeggiata nelle acque del porticciolo di Mergellina. Per sfuggire alle forze dell'ordine che lo braccavano, si lanciò dalla barca e si dileguò a nuoto.

Dell'Aquila era ricercato, inoltre, in quanto destinatario di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa a carico di 12 affiliati al clan Mallardo dal Gip presso il Tribunale di Napoli nel marzo del 2010 su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e reimpiego di capitali illeciti. In base alle indagini, il clan Mallardo, di cui viene ritenuto elemento apicale, aveva assunto il controllo delle attività economiche in diverse cittadine del sud pontino (Terracina, Sabaudia, Fondi, Lariano e Anzio), anche attraverso la gestione monopolistica di interi settori imprenditoriali e commerciali, in particolare il settore edilizio.

Al momento della cattura, Giuseppe Dell'Aquila «ha cercato di fuggire attraverso una porta blindata sul retro della villetta che dà su un vigneto». Il capo della Squadra mobile di Napoli, Vittorio Pisani, racconta in conferenza stampa il blitz che nelle prime ore del mattino ha portato all'arresto dell'uomo.

Il boss è stato preso nel suo rifugio, una villetta a Varcaturo, località della periferia flegrea di Napoli. «Il cortile adiacente - spiega Pisani - era stato chiuso con tettoia e infissi blindati, ricavando così una seconda casa. Dall'esterno era quindi impossibile vedere quali attività si svolgessero nell'abitazione. Trascorreva una vita abbastanza normale. Dalla casa usciva da solo, in una Fiat Punto piuttosto vecchia».

Quando è scattato l'intervento, Dell'Aquila ha cercato la fuga: «Quando si è visto circondato, ha aperto la porta principale che era fino a quel momento protetta da due staffe di legno e un lucchetto». L'abitazione, ha sottolineato il capo della squadra mobile di Napoli, «è stata localizzata circa 15 giorni fa, ma riteniamo che la latitanza sia stata trascorsa sempre nelle zone tra Varcaturo e il Lago Patria, un'area dove non c'è una grande presenza di forze dell'ordine e che si presta bene a una latitanza».

Giuseppe Dell'Aquila ha una relazione con Patrizia Giuliano, una delle sorelle di Luigi Giuliano oggi collaboratore di giustizia. Era stato inserito da poco nell'elenco dei 30 ricercati più pericolosi, da tempo era in quello dei 100. «Ha fatto carriera», ha scherzato il capo della Procura di Napoli Giovandomenico Lepore.


sabato 14 maggio 2011

Bandiera blu 2011: la Campania passa con 12 località

INTERNAPOLI. Con l’avvicinarsi della bella stagione si torna a fare i conti con le località da poter scegliere per garantirsi un mare ‘pulito’. E se negli anni addietro noi dell’area a nord di Napoli avevamo l’imbarazzo della scelta e addirittura dovevamo fare a spintoni con i turisti per accedere ad un nostro stabilimento balneare, oggi le cose di certo son cambiate. Per quanto continuino a proliferare i lidi nella zone di Licola e Varcaturo e sebbene si vedano ogni anno i soliti temerari tuffarsi dagli scogli di via Partenope quell’acqua non è affatto balenabile. A confermarlo, per un altro anno ancora, è la FEE (Foundation for Environmental Education) in collaborazione con il Consorzio nazionale batterie esauste (Cobat) ed Enel Sole che come ogni anno ha assegnato la tanto ricercata Bandiera Blu ai lidi italiani. Per gli approdi turistici quest'anno sono 63 quelli che hanno ricevuto il riconoscimento (due in più). Le spiagge promosse sono 233. Ma, per la Campania, restiamo stabili a 12. Per la nostra regione infatti si enumerano dodici località con mare pulito: Massa Lubrense (Napoli); Positano, Agropoli, Castellabate, Montecorice-Agnone e Capitello, Pollica-Acciaroli Pioppi, Casal Velino, Ascea, Pisciotta, Centola-Palinuro, Vibonati-Villammare, Sapri (Salerno). Ma, poco lontano dalle nostre spiagge, tra Campania e Lazio, si registra quest’anno l’uscita dalle spiagge pulite della città di Gaeta, meta turistica di molti partenopei alla ricerca di sole e mare, fino agli scorsi anni. Ad uscire dal prestigioso elenco anche Castellaneta e Castro (Puglia). La Liguria, mantenendo le 17 località dello scorso anno, guida la classifica regionale. A pari merito con 16 località, seguono Marche e Toscana, che si distaccano di poco dall'Abruzzo, 4° con 14 bandiere, una in più dello scorso anno. Stabile a quota 12 la Campania; l'Emilia Romagna guadagna una bandiera portandosi a quota 9. Stabile a quota 8 la Puglia, dove si registra però la contemporanea uscita di 2 località a fronte dell'ingresso di 2 nuove. Nessuna novità per il Veneto (6 bandiere blu), mentre il Lazio scende a quota 4, e viene superato sia dalla Sicilia, che arriva a 6, sia dalla Calabria che sale a 5. La Sardegna che ha ottenuto la bandiera per tutte e 5 le località candidate. Friuli Venezia Giulia e Piemonte riconfermano le 2 dell'anno scorso, per finire con Molise e Basilicata, con 1 sola Bandiera Blu.

Operazione contro il Clan Amato-Pagano: 8 arresti

MUGNANO. Otto fermi sono stati eseguiti questa mattina dalla Squadra Mobile di Napoli su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di esponenti di spicco del clan Amato-Pagano operante nel quartiere di Secondigliano Scampia, meglio noto come "Scissionisti". Otto persone, ritenute esponenti del clan camorristico Amato-Pagano, sono state fermate dalla squadra mobile della Questura di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. Sono accusate di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, traffico di stupefacenti, detenzione di armi e favoreggiamento aggravato. L'inchiesta riguarda alcuni omicidi avvenuti di recente nell'area nord della citta'. La squadra mobile di Napoli ha eseguito questa mattina 8 fermi, emessi dalla locale Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di esponenti di spicco del clan della camorra Amato-Pagano. I reati contestati ai fermati sono associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, droga, armi e favoreggiamento aggravato, a seguito di recenti omicidi consumati nell'area nord della citta.

Arrestato il boss di Mugnano. Tra i fermati dalla polizia vi e' anche Giacomo Migliaccio, di 51 anni, soprannominato 'Giacomino a' femmenella', considerato il boss della camorra di Mugnano di Napoli. Alcuni anni fa, nell'ambito di una serie di omicidi dovuti a dissidi tra i clan camorristici della zona, fu ucciso un nipote del boss, Biagio Migliaccio, un giovane del tutto estraneo alla criminalita' e preso di mira soltanto per una vendetta trasversale. Giacomo Migliaccio era stato capozona a Mugnano del clan capeggiato da Salvatore Di Girolamo. Successivamente era entrato nelle fila del clan Di Lauro, dal quale si era allontanato diventando uno dei promotori del gruppo degli Scissionisti. Il boss aveva nell'organizzazione il ruolo di narcotrafficante a livello internazionale, mantenendo i contatti con i piu' importanti 'cartelli' del mondo. Era anche considerato il luogotenente di Lello Amato, uno dei capi del cartello camorristico.

L’arresto del boss Feliciano detto’o sfregiato’: scacco al clan Mallardo

GIUGLIANO. Dalle estorsioni, alle speculazioni edilizie e finanziarie, 'all'affare caffè'. Gli interessi illeciti di Feliciano Mallardo, alias "'O sfregiato'", il boss della camorra e reggente dell'omonimo clan, spaziavano in diversi settori. Non ultimo quello della lavorazione e del controllo dei canali di distribuzione commerciale della popolare bevanda nell'hinterland partenopeo. Nessun rivenditore poteva sottrarsi alle imposizioni del clan Mallardo: tutti dovevano rifornirsi dello stesso prodotto il 'Caffè Seddio" ed esclusivamente dalla società di 'Pinuccio', vale a dire Giuseppe D'Alterio nipote del boss Feliciano. Tra i soggetti arrestati dalla Guardia di Finanza figurano anche Carlo Antonio D'Alterio, un fratello di 'Pinuccio'. Entrambi sono figli della sorella di Mallardo e Pietro D'Alterio, morto nel 1991 in un agguato di camorra. Dalle indagini della Procura di Napoli sono emersi anche i forti interessi economici del clan nella provincia di Roma dove una cellula operativa dei Mallardo aveva stretto accordi con esponenti del clan dei casalesi per la realizzazione di un grossa operazione edilizia e immobiliare a Capena, alle porte della capitale. Sono circa 900 gli immobili (di cui 300 fabbricati e terreni) sequestrati nell'operazione 'Sfregio' della Dda di Napoli: tra questi, 23 sono aziende con sede a Giugliano ma in gran parte operanti nella Provincia di Roma. Sotto sequestro sono finite anche auto di e moto di lusso e oltre 200 rapporti bancari. Il valore complessivo stimato dei beni sequestrati al clan si aggirerebbe attorno ai 600 milioni di euro. Il clan Mallardo da quanto è emerso dalle indagini ha via via allargato il raggio di azione per il reinvestimento dei proventi illeciti al Lazio, in particolare la provincia di Roma. in particolare, nei Comuni dove sono scoperti immobili e fabbricati: 25 a Mentana, 10 a Monterotondo, altri a Guidonia Montecelio.

Operazione Caffè macchiato. Si è conclusa l'operazione "Caffè macchiato", partita nelle prime ore dell'alba, ad opera della guardia di finanza nei confronti del clan Mallardo. Circa 500 militari delle fiamme gialle, operativi tra Roma, Napoli e Caserta, hanno preso parte all'operazione coordinata dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli, nell'ambito della quale sono state arrestate 7 persone con l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso ed il sequestro di 900 immobili e 23 aziende, per un ammontare complessivo di oltre 600 milioni di euro. Gli arrestati, secondo le risultanze delle indagini condotte dai finanzieri, sono appartenenti ad una cellula, direttamente comandata dai vertici del clan Mallardo, che aveva costituito numerose società, operanti nelle province di Roma e Napoli, con le quali venivano investite le ingenti risorse derivanti dai traffici illeciti. I particolari dell'operazione saranno illustrati dagli inquirenti nel corso di una conferenza stampa che si terrà alle 12 presso la Procura della Repubblica partenopea, alla presenza del procuratore capo Giandomenico Lepore e dei comandanti provinciali della Guardia di Finanza di Roma e Napoli.

Catturato il capo del clan, Feliciano Mallardo (alias "o Sfregiato"). Nel corso dell'operazione anticamorra condotta tra il Lazio e la Campania dalla Guardia di Finanza è stato catturato anche Feliciano Mallardo (alias "o Sfregiato"), ritenuto l'attuale capo dell'omonimo clan camorrista di Giugliano in Campania. Tra i beni sottoposti a sequestro, oltre a circa 900 immobili e 23 aziende, anche 200 conti corrente bancari, auto e moto di lusso e partecipazioni societarie. Le aziende del clan avevano acquisto il controllo di interi settori economici: dalla produzione e commercializzazione del caffe', ai centri scommesse, al commercio all'ingrosso di bibite e prodotti parafarmaceutici. Nel settore edile i soggetti arrestati hanno effettuato, per conto del clan Mallardo, speculazioni edilizie e costituito numerose societa' immobiliari operanti soprattutto in Provincia di Roma. Le Fiamme Gialle di Roma stanno apponendo i sigilli su alcuni cantieri edili e su circa 230 tra terreni e unita' immobiliari, in particolare nei Comuni di Roma, Mentana, Guidonia Montecelio, Monterotondo e Sant'Angelo Romano.

Il commento del ministro Angelino Alfano. "Grande soddisfazione per la cattura di Feliciano Mallardo e il sequestro di beni, per un ammontare complessivo di circa 600 milioni di euro, che di fatto annientano il clan di Giugliano". È quanto afferma il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, commentando l'operazione odierna che ha portato anche all'arresto del capo dell'omonimo clan camorrista. "La cattura di esponenti di spicco del crimine organizzato – prosegue il guardasigilli – e l'aggressione sistematica ai patrimoni illeciti, costituiscono il cuore della strategia portata avanti dalla squadra Stato e si rivela la strada giusta per debellare le cosche e assicurare alla giustizia numerosi criminali". "Il mio ringraziamento – conclude Alfano – ai magistrati della Dda di Napoli e agli uomini della guardia di finanza che, impegnati ogni giorno nella lotta a tutte le mafie, hanno portato a termine l'ennesimo, straordinario successo, sferrando un durissimo colpo alle attività criminali e garantendo così la sicurezza nel territorio".

Il commento dell'onorevole Barbato (Idv). ''L'ottimo lavoro svolto dalla procura della Repubblica di Napoli, insieme agli uomini della Guardia di Finanza dei comandi provinciali di Roma e di Napoli, coordinati in questa operazione dalla DDA di Napoli, che ha permesso oggi l'arresto di importanti esponenti del clan Mallardo di Giugliano in Campania e il sequestro di numerosi beni nelle province di Roma e di Napoli, sottolinea ancora una volta come ormai, la camorra, sia un fenomeno sempre piu' nazionale e non piu' solo campano, allo stesso modo della 'ndrangheta o delle altre mafie''. E' quanto dichiara in una nota Franco Barbato, deputato dell'Idv. ''Ai complimenti che voglio fare a tutti gli uomini coinvolti in questa preziosa operazione si associa pero' la considerazione che e' sempre piu' intollerabile che esista ancora questo intreccio perverso che lega la politica'' alla camorra, aggiunge Barbato. ''Un legame - sottolinea - che va spezzato se si vuole cambiare aria a Napoli e in Campania, come nell'intero Paese''. ''E' sempre piu' fondamentale consentire discontinuita' sin dalle prossime amministrative rafforzando De Magistris e IDV a Napoli e in Campania, per iniziare a costruire un Paese normale e soprattutto un futuro per i nostri giovani'', conclude il parlamentare dell'Idv.
GIUGLIANO. Feliciano Mallardo, boss dell’omonimo clan è stato arrestato nell’appartamento dove si era rifugiato al terzo piano di una palazzina disabitata in via Sant’Agostino a Giugliano. Il blitz degli uomini del Gico della Guardia di finanza di Napoli, guidati dal colonnello Sandro Baldassarre, è scattato alle quattro di martedì mattina. Un elicottero sorvolava l’abitazione del boss, mentre dal basso si sono intrufolati all’interno dello stabile i militari che hanno stretto le manette ai polsi di Feliciano Mallardo. Né lui né suo figlio, hanno opposto resistenza al suo arresto. Nell’appartamento, tenuto sotto controllo da diverse settimane sono stati ritrovati gioielli, orologi e denaro. L’appartamento finemente arredato è stato sequestrato dagli uomini della finanza. Sequestrati anche gioielli e orologi riposti in scatole, mentre i soldi rinvenuti nell’appartamento non sono stati sequestrati, poiché non vi era certezza sulla loro provenienza illecita. In compagnia del boss vi era il figlio appena 22enne e già titolare di una importante impresa. La disponibilità di liquidi in casa potrenne essere giustificata da questo. Ad incastrare il boss, Feliciano Mallardo, accusato di associazione di stampo mafioso, 11 collaboratori di giustizia che hanno raccontato e identificato in lui la ‘mente’ del business della speculazione edilizia giuglianese e laziale e re del caffè. Ma tra gli 11 non c’è neanche un pentito del clan, segno distintivo di una cosca che vanta una certa impermeabilità anche nei confronti delle ripetute e martellanti attività della Dda di Napoli.

Le dichiarazioni del pentito Giovanni Chianese, ex affiliato al clan Pianese, hanno svelato il grado di potere della cosca: «Nell'organigramma del sodalizio, dopo Giuseppe Mallardo e Francesco Mallardo, è posizionato Feliciano Mallardo detto ‘O sfregiato, che è collocato così in lato in forza ai suoi legami parentali con Giuseppe e Francesco Mallardo. Segue Giuseppe Dell’Aquila che è molto forte, in pratica è anche più potente di Feliciano Mallardo ma a Feliciano Mallardo è attribuita una posizione di estremo rilievo anche per cognome che porta e perché è una persona di vecchio stampo, tanto che può essere definito come un buon consigliere anche dei capi Giuseppe e Francesco Mallardo in quanto tende ad evitare rotture, spaccature ed arrivare a soluzioni diplomatiche. Questa mentalità è proprio l’opposto dell’atteggiamento di Giuseppe Dell’Aquila che, non a caso, è soprannominato «‘o ciuccio» proprio per la sua testa dura». Da ieri Feliciano Mallardo è in carcere al regime di 4 bis, che prevede l’isolamento, lo stesso al quale sono sottoposti attualmente i suoi cugini, Giuseppe e Francesco Mallardo che hanno fondato e diretto il sodalizio sino a quando inquirenti ed investigatori non li hanno fermati.        

Scacco al clan Mallardo: 50 persone indagate
GIUGLIANO. Un clan capace di controllare la politica locale, l'economia e persino di imporre nei bar la ''sua'' marca di caffe'. La cosca Mallardo, uno dei raggruppamenti criminali ''storici'' della provincia di Napoli, e' stata decapitata con sette arresti - tra cui quello dell'attuale capo, Feliciano Mallardo - e con un maxisequestro di beni in Campania e nel Lazio. Riconducibili in parte ai Mallardo e in parte ai ''cugini'' casertani Casalesi, le proprieta' sottratte alla camorra hanno un valore di circa 600 milioni di euro, e comprendono 300 appartamenti nella sola Roma. L'operazione «Caffè macchiato» e' stata coordinata dai pm Conzo, Itri, Ribera e Sirignano della Dda di Napoli, ed eseguita dalle fiamme gialle dei comandi provinciali di Napoli e Roma e del Gico di Napoli. Grande soddisfazione viene espressa dai ministri Angelino Alfano e Roberto Maroni. Arresti e sequestro di beni ''di fatto annientano il clan di Giugliano'', dice il guardasigilli; il responsabile del Viminale parla di ''operazione straordinaria che dimostra come stia funzionando la nostra strategia di aggressione ai beni dei clan''.

Gli arrestati: Mallardo Feliciano 60 anni di Giugliano, Coppola Antonio 52 anni di Giugliano, Coppola Francesco 49 anni di Giugliano, D'Alterio Carlo Antonio 29 anni di Giugliano, D'Alterio Giuseppe 34 anni di Giugliano, Miraglia Saverio 42 anni di Giugliano e Palumbo Michele 59 anni di Villaricca.

Gli indagati (50 persone): Alfano Immacolata 37 anni di Castelvolturno, Mantonaci Maria Dolorea 53 anni di Villaricca, Asanache Relu 34 anni di Sant'angelo Romano (RM), Basile Daniela 21 anni di Giugliano, Basile Framcesco 52 anni di Giugliano, Basile Teresa 26 anni di Giugliano, Bruno Damiano 31 anni di Fonte Nuova (RM), Cacciapuoti Ferdinando 48 anni di Giugliano, Capriello Domenico 32 anni di Mentana (RM), Conte Franco 56 anni di Giugliano, Conte Sebastiano 36 anni di Villaricca, Conte Vincenzo 34 anni di Giugliano, Coppola Pasquale 49 anni di Giugliano, D'Alterio Vincenzo 60 anni di Giugliano, Del Sole Giuseppina 50 anni di Giugliano, Di Gennaro Francesco 27 anni di Giugliano, Di Nardo Michelina 55 anni di Villaricca, Diana Silvio 53 anni di Giugliano, Granata Carmen 37 anni di Qualiano, Gilberti Maria 62 anni di Castelvolturno, Lombardi Domenico 31 anni di Melito, Mallardo Santa 57 anni di Giugliano, Mallardo Sergio 52 anni di Giugliano, Minopoli Erminia 35 anni di Giugliano, Miraglia Ciro 24 anni di Roccastrada (GR), Ortucci Livia 66 anni di Casaluce, Palumbo Aniello 29 anni di Villaricca, Palumbo Aniello 24 anni di Villaricca, Palumbo Bruno 62 anni di Villaricca, Palumbo Giuseppina 33 anni di Mugnano, Palumbo Giuseppina 27 anni di Villaricca, Palumbo Rosa 28 anni di Villaricca, Perrotti Giovanna 46 anni di Giugliano, Popovic' Sabrina 24 anni di Giugliano, Popovic' Simona 31 anni di Giugliano, Russo Antonietta 38 anni di Giugliano, Russo Assunta 39 anni di Giugliano, Russo Flavia 36 anni di Giugliano, Russo Francesco 67 anni di Giugliano, Russo Francesco Biagio 45 anni di Villaricca, Russo Giovanni 35 anni di Giugliano, Russo Maddalena 41 anni di Giugliano, Seddio Andrea 39 anni di Casapulla, Seddio Desirè 33 anni di Castelvolturno, Seddio Francesco 76 anni di Castelvolturno, Seddio Ivan 22 anni di Castelvolturno, Seddio Maria 41 anni di Castelvolturno, Seddio Pasquale 43 anni di Castelvoturno, Sequino Angela 34 anni di Mentana (RM), Zaccaria Domenico 47 anni di Giugliano.

Le indagini. Alla base delle investigazioni un lavoro complesso, che ha visto tra l'altro gli uomini del Gico riuscire a installare cimici nel bunker in cui il boss Mallardo operava. E' emerso cosi' il quadro tentacolare degli interessi della cosca, le cui aziende spaziavano dal commercio all'ingrosso di bibite e parafarmaceutici ai centri scommesse. Capitolo a parte merita il caffe', business che - come racconta il pentito Giovanni Chianese - il boss Feliciano affidò ai due nipoti per ''risarcirli'' dell'omicidio del padre, da lui stesso fatto eliminare nel 1991. Come spiega Chianese, per molti bar del territorio giuglianese ''non e' possibile rifornirsi da altri, altrimenti si subirebbero pesanti ritorsioni'': e tutti, aggiunge, sanno che ''quella'' marca, il caffe' Seddio, e' di una azienda legata a doppio filo ai Mallardo. Negli atti dell'inchiesta anche una serie di pesanti accuse di condizionamento del Comune di Giugliano. Il pentito Gaetano Vassallo parla di consiglieri comunali ''direttamente collegati al clan e in grado di influenzare di fatto le decisioni politiche'', oltre che dell'impegno diretto dei Mallardo per far eleggere questo o quel sindaco. A Giugliano, terza citta' della Campania per numero di abitanti, in passato i carabinieri hano sequestrato migliaia di immobili abusivi, mentre numerosi vigili urbani sono stati arrestati e condannati per complicita' nel sacco edilizio.         

sabato 7 maggio 2011

Arresti e sequestri record

Sequestro da 1 mld di euro al clan Polverino
MARANO. Dopo il blitz di due giorni fa contro il clan Polverino, egemone tra Marano e Quarto, nel napoletano, nel corso del quale sono stati arrestati 39 tra capi e gregari accusati a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, usura, estorsioni, detenzione illecita di armi, traffico e spaccio di stupefacenti e altro, i carabinieri stanno eseguendo un decreto di sequestro preventivo chiesto dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli a carico di personaggi ritenuti affiliati o prestanome del clan. Con riferimento ai reati di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori, i militari dell'Arma stanno sequestrando terreni, immobili, societa', attivita' commerciali di vario genere nonche' auto, moto e imbarcazioni per un valore complessivo stimato un miliardo di euro. Tra gli arrestati nel blitz anche due esponenti politici locali candidati a Quarto in liste del centrodestra. Sigilli sono stati posti a 106 appezzamenti di terreno; 175 appartamenti; 19 ville; 18 fabbricati; 141 tra box auto, magazzini e negozi; 43 societa' tra cui cooperative, aziende agricole, supermercati, alberghi, bar, panifici, ristoranti, bar e gioiellerie; 14 ditte individuali; 117 auto; 62 autocarri; 23 moto. In una nota firmata dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico, gli inquirenti rilevano come le attivita' commerciali e imprenditoriali sequestrate provino la centralita' assunta dal clan nello scenario criminale campano e "la sua pervasiva capacita' di infiltrazione nel mondo economico" con il controllo quasi in regime monopolistico nella produzione e distribuzione in una vasta area di prodotti alimentari, dalla farina alla carne, alle uova, al caffè, ma anche nel calcestruzzo e piu' in generale nel settore edile. Tre societa' sequestrate, con sede a Marano, roccaforte del clan ("Il vero fornaio spa", centro commerciale "Volto Santo" e Mar.Carni srl) hanno un fatturato complessivo dichiarato nel 2010 di oltre 18 mln di euro. In particolare, l'azienda per la panificazione consegna il pane alla maggioranza dei negozi di Napoli e da sola ha fatturato 10 mln lo scorso anno, mentre il centro commerciale ne ha fatturati 5,1 mln e il centro carni circa 3 mln.

Napoli, duro colpo al clan Polverino: 40 arrestati. Anche due candidati Pdl

NAPOLI - Due delle quaranta persone arrestate questa mattina dai carabinieri nel corso del blitz che ha interessato il clan camorristico dei Polverino a Napoli sono candidati al consiglio comunale di Quarto (Napoli) per il Pdl.
Uno dei due, in particolare, è Armando Chiaro, ritenuto un elemento di punta dell'organizzazione e già destinatario negli anni passati di un'ordinanza di custodia cautelare.
I provvedimenti notificati questa mattina sono stati emessi su richiesta dei pm Antonello Ardituro, Marco Del Gaudio e Maria Cristina Ribera.
Le persone arrestate sono accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentativo di omicidio, estorsioni, usura, detenzione illecita di armi, traffico e spaccio di stupefacenti, trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori nonchè di reinvestimento di capitali di provenienza illecita in attività imprenditoriali, immobiliari, finanziarie e commerciali.
Gli arresti sono stati eseguiti dopo una indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli condotta dal 2007 a oggi, anche con la cooperazione dell'UCO (Unidad Central Operativa) della Guardia Civil spagnola.
L'inchiesta ha reso possibile l'identificazione di capi e gregari del clan camorristico Polverino che, a partire dall'hinterland a nord di Napoli, ha il controllo di attività imprenditoriali e commerciali in Italia e in Spagna e gestisce un notevole traffico di stupefacenti dalla Spagna all'Italia per il rifornimento delle piazze di spaccio, in mano a vari clan del capoluogo campano.
Uno dei candidati arrestati è cugino del boss Salvatore Liccardi ed è anche accusato di spaccio di droga e detenzione illegale di armi. Si stratta di Salvatore Camerlingo, candidato al consiglio comunale di Quarto (Napoli).
Camerlingo è considerato «uomo d'ordine del clan». L'altro candidato al consiglio comunale di Quarto arrestato, Armando Chiaro, viene invece definito un 'colletto bianco' ed è accusato di essersi intestato beni del clan Polverino facendo da prestanome.

Preso il numero 2 del 'cartello' dopo Zagaria
CASERTA. Il boss latitante Mario Caterino, considerato il numero 2 del clan camorristico dei 'casalesi', e' stato arrestato in un'abitazione di Casal di Principe dagli agenti della Squadra Mobile di Caserta coordinati dai pm Antonello Ardituro, Giovanni Conzo e Raffaello Falcone della Dda. Era ricercato da circa tre anni. Esponente del gruppo che fa capo al boss Francesco Schiavone, soprannominato 'Sandokan' ed attualmente detenuto, Mario Caterino era considerato fino ad oggi il numero 2 del 'cartello' dopo Michele Zagaria, che è latitante. Caterino era inserito nell' elenco dei trenta latitanti più pericolosi ed era ricercato dal 2005 per una condanna all' ergastolo. Nei suoi confronti tre anni fa, nell'ambito dell'operazione "Spartacus 3", era stata emessa un'ordinanza di custodia cautelare per associazione camorristica ed estorsione. Gli uomini del vice questore Angelo Morabito lo hanno rintracciato a Casal di Principe, nell'abitazione di un fiancheggiatore. Mario Caterino è stato condannato all'ergastolo al termine del primo processo Spartacus; è stato, infatti, ritenuto responsabile dell'omicidio De Falco, avvenuto nel 1991. Proprio in quel periodo, dopo l'uccisione del boss Antonio Bardellino, Caterino assunse una posizione di primo piano all'interno del clan dei 'casalesi'.
Maroni, successo straordinario. "La cattura di Caterino, numero due del clan dei Casalesi, è un successo straordinario, che stringe il cerchio intorno alla latitanza di Michele Zagaria". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, che si è congratulato con il capo della Polizia e direttore generale del Dipartimento di Pubblica sicurezza, prefetto Antonio Manganelli, per l'arresto del boss eseguito dalla Squadra mobile di Caserta. "L'operazione - ha sottolineato Maroni - è frutto del lavoro pressante della task force di investigatori e militari che lavora incessantemente, secondo il modello Caserta, per fermare l'anti-Stato e ripristinare la legalità in un territorio vessato dalla presenza dei Casalesi". (Ansa)
 
Scampia: 6 scissionisti in manette
NAPOLI. Sei presunti appartenenti al clan degli “Scissionisti” attivo a Scampia e Secondigliano sono stati arrestati ieri a Napoli dagli agenti della squadra mobile e dalla Guardia di finanza del Gico. La polizia giudiziaria ha eseguito una ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli su richiesta dei pm della direzione distrettuale antimafia. Si tratta di Ferdinando Cifariello di 44 anni, Salvatore Cifarielli di 32 anni, Davide Cifariello di 39, Giuseppe Candido di 49, Annunziata De Martino di 62 anni e Salvatore Toro di 47. Quattro dei sei arrestati , tranne Candido e la De Martino, erano gia' rinchiusi in carcere per altre ragioni. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa finalizzata dal traffico di droga. I sei farebbero parte del sottogruppo capeggiato da Ferdinando Cifariello affiliato al clan Amato-Pagano, i cosiddetti Scissionisti.
Le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico sono fondate su una complessa attivita' tecnica oltre che dalle dichiarazioni di 8 pentiti: Gaetano Conte, Pietro Esposito, Gennaro Russo, Andrea Parolisi, Giovanni Piana, Maurizio Prestieri e i nipoti Antonio Prestieri e Antonio Pica. L'attivita' investigativa condotta dagli agenti della Squadra mobile e dai finanzieri del Gico di Napoli avrebbero consentito di accertare l'esistenza di un sottogruppo capeggiato da Ferdinando Cifariello, esponente del clan Di Lauro legato a Rosario Pariante, con il ruolo di killer e di gestore delle "Piazze di spaccio" situate in via Labriola, ai Sette palazzi, ai Lotto G e SC e in piazza della 33.
L'attivita' investigativa del Gico ha consentito di accertare che nell'aprile del 2005 quando la faida di Scampia, tra dilauriani e scissionisti volgeva al termine l'arresto in Francia di ferdinando Cifariello. Il camorrista si era rifugiato oltralpe per evitare di essere arrestato nell'ambito di una operazione anti camorra cui e' seguita una condanna a 14 anni di carcere. Cifariello fu arrestato in un lussuoso appartamento situato in un residence di Nizza, dotato di piscina e campi da tennis mentre per i suoi spostamenti utilizzava Ferrari e Mercedes.
All'epoca del suo arresto Cifariello era ancora un affiliato al clan Di Lauro e durante le sue conversazioni incitava i suoi a mettersi a disposizione del clan nell'ambito della guerra di camorra. Ma durante la faida il padre di Cifariello fu ferito in un agguato, successivamente il pentito Andrea Parolisi riferi' agli inquirenti che i killer del padre di Cifariello erano partiti da Mugnano.
Successivamente Cifariello e il suo gruppo passarono dal clan dei dilauriani agli scissionisti come rivelato concordemente sia dai Prestieri che da Parolisi e Giovanni Piana. L'attivita' investigativa ha portato all'arresto in flagranza di reato di 13 persone, al sequestro di 160 chili tra cocaina e hashish, di armi, di 20 mila euro in contanti e 3 auto di lusso. Sempre nell'ambito dell'indagine le Fiamme gialle hanno sequestrato 4 appartamenti e due terreni per un valore di un milione di euro. (AdnK)
Sequestro beni da 13 mln al parente del boss
CASERTA. Beni per 13 milioni sono stati sequestrati dagli agenti della Sezione Accertamenti Patrimoniali della Divisione Anticrimine della Questura di Caserta. Il decreto e' stato emesso dal tribunale-sezione misure di prevenzione di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di Sebastiano Ferraro, 46 anni, ritenuto un appartenente al clan dei Casalesi-gruppo Francesco Schiavone detto Sandokan. A Ferraro la polizia casertana ha sequestrato un'azienda agricola, quote societarie dell'impresa edile 'Edil sistem united', la societa' edile 'Edil Futura', quote dell'azienda 'Immobiliare sbbp', specializzata nella compravendita di beni mobili e immobili, due appartamenti a Casal di Principe, tre locali, un terreno agricolo, due appartamenti in costruzione e diverse auto di grossa cilindrata.

Sebastiano Ferraro e' il cognato di Walter Schiavone, fratello del boss Francesco, ed era presidente della società sportiva Albanova calcio, le cui quote intestate a lui sono gia' state sequestrate. Il tribunale sammaritano, oggi, ha messo i sigilli a una azienda agricola, a quote societarie dell'impresa edile Edil System Unyted s.r.l, societa' cooperativa edile Edil Futura s.r.l e dell'impresa Immobiliare S.B. di B.P. s.n.c, nonche' ad opere edili, 3 immobili ad uso abitativo, 3 locali commerciali, tutti a Casal di Principe; un terreno agricolo con superficie di 857 metri quadrati, 2 immobili in corso di edificazione a San Cipriano di Aversa, localita' Pagliara Arsa e 2 autovetture di grossa cilindrata. L'uomo, attualmente non detenuto, aveva intestato numerosi beni a parenti e affini. Attraverso l'analisi di cespiti e flussi finanziari, estesi soprattutto ai congiunti del Ferraro, e' stato infatti dimostrato come la famiglia, grazie al clan ''dei Casalesi'', fosse riuscita ad incrementare nel tempo il proprio patrimonio, soprattutto attraverso societa' ed imprese del settore edile che hanno accresciuto esponenzialmente il loro giro di affari, anche attraverso l'aggiudicazione di appalti di opere pubbliche. Sono tuttora in corso le operazioni di catalogazione dei beni sequestrati.

Monnezza, il miracolo a singhiozzo di Silvio

NAPOLI. Negli ultimi tempi i miracoli di Silvio Berlusconi funzionano a singhiozzo. Vanno e vengono. Il premier che ha più volte annunciato la soluzione del dramma dei rifiuti a Napoli, grazie all’intervento deciso e diretto del governo, sembrava essersi definitivamente sfilato da un vulcano sempre a rischio eruzione. «Adesso tocca agli enti locali» aveva detto, riferendosi sia al Comune amministrato dal centrosinistra sia alla Regione intanto finita nelle mani del centrodestra. E invece Berlusconi ieri ha deciso di tornare in campo e, non potendo più contare sulla sponda di Guido Bertolaso, si è affidato direttamente all’esercito. Da lunedì prossimo 170 uomini e 73 mezzi saranno dislocati a Napoli per raccogliere quella spazzatura che i cittadini non dividono ancora secondo le elementari regole della raccolta differenziata e gli enti locali non riescono a smaltire. Un’ennesima supplenza dei militari che questa volta non nascondono il malcontento, e anche una certa indignazione, per ritrovarsi nei panni dei netturbini, a svolgere cioè compiti assolutamente impropri rispetto al loro ruolo e alle loro funzioni. La città che gli uomini dell’esercito troveranno non è molto diversa da quella di qualche mese fa. Nelle strade ci sono circa 1600 tonnellate di rifiuti, mentre la raccolta differenziata è inchiodata sotto il 19 per cento, e vanno avanti, come da copione, blocchi stradali, proteste, falò. L’unica novità è che tra dieci giorni a Napoli si vota. E da qui il sospetto che le mosse del premier siano dettate da quella scadenza. Se ieri la rabbia dei cittadini andava tutta sul groppone del centrosinistra, adesso potrebbe manifestarsi attraverso una clamorosa bocciatura del candidato sindaco del centrodestra. E Berlusconi alle prossime amministrative non può perdere in due città: Milano e Napoli. Qui più che le aspettative dei miracoli contano i sondaggi, che vedono il tema rifiuti come una priorità in base alla quale i cittadini-elettori si orienteranno nel segreto dell’urna, tenendo conto che due enti locali (Regione e Provincia) dei tre impegnati nella gestione della spazzatura sono da tempo governati dal centrodestra, e il sindaco di centrosinistra uscente, Rosa Russo Iervolino, è prossima al pensionamento. La sensibilità sull’argomento è talmente alta che quasi i tutti i candidati alla poltrona di sindaco hanno pensato bene di inserire nei loro programmi l’obiettivo, entro i primi cento giorni di governo, di arrivare ad una soglia del 50 per cento della raccolta differenziata. Si vede che a Napoli la tendenza all’annuncio di un prodigio è diventata contagiosa, specie sotto elezioni. Dunque, quell’immondizia che è servita a Berlusconi per liberare la Campania, politicamente, dalla lunga egemonia di Antonio Bassolino, adesso rischia di travolgere i suoi rappresentanti sul territorio. E il miracolo che il capo del governo torna ad annunciare dovrà materializzarsi attraverso la risposta a una semplice domanda: dove finirà la spazzatura raccolta dai militari, visto che i vari impianti (come raccontiamo nei dettagli nelle pagine di cronaca) sono tutti a rischio saturazione o parzialmente fuori uso? Magari i soldati, grazie alla loro disciplina, metteranno a lucido strade e marciapiedi, ma certo non potranno sostituirsi a una discarica o ad un termovalorizzatore. E a quel punto Berlusconi sarebbe costretto a prendere in seria considerazione una soluzione oggi solo ipotetica: lasciare l’esercito a Napoli, in pianta stabile, ad occuparsi della raccolta dei rifiuti. Non sarebbe un miracolo, ma almeno darebbe un senso compiuto, nell’interesse dei cittadini, a quello che al momento rischia di apparire solo come un furbo espediente elettorale. (Antonio Galdo – Il Mattino – 06/05/2011)

Abusivismo e vigili urbani: il verdetto in Appello

GIUGLIANO. Ieri la sentenza del processo in Appello per 17 persone tra vigili urbani, imprenditori e tecnici implicati nello scandalo dell’operazione ‘Mattone selvaggio’. Sconti di pena per i vigili urbani Antonio Basile e Giuseppe Taglialatela Scafati: 10 anni (condannato a 12 anni) e 9 anni e quattro mesi (12 anni). Dopo la morte di Bernardo Falco, deceduto qualche mese fa gli imputati scendono a 16 e nella giornata di ieri il terzo verdetto, dopo il primo grado dell’ordinario e del rito abbreviato. Ma in questa nuova sentenza, secondo quanto riportato dal quotidiano Cronache di Napoli, nel verdetto è stata ‘aggiunta’ l’associazione semplice (articolo 416). In primo grado in 17 furono condannati, uno assolto. I sedici imputati nello scandalo hanno atteso la decisione dei giudici. Tutte invariate, o quasi, le misure cautelari delle 18 persone. Il 10 settembre del 2008 le richieste di condanne del pm. Pugno duro del pubblico ministero Paolo Itri che presentò il ‘conio’ alle 18 persone allora indagate nell’inchiesta. Per i diciotto imputati che scelsero il rito abbreviato furono chiesti ben 134 anni e quattro mesi (totali) di reclusione. Ma poi un piccolo ‘sconto’ per alcuni e la ‘mano pesante’ per altri, oltre che alla confisca dei beni sequestrati e all’interdizione perpetua (senza un limite di tempo) dai pubblici uffici nella prima sentanza. Le accuse erano per le tangenti pagate da privati e imprenditori ai vigili urbani e ai responsabili dell’ufficio tecnico del Comune di Giugliano per poter realizzare opere edilizie anche se abusive, anche se prive delle dovute autorizzazioni. Ogni “lavoro” aveva il suo prezzo: così, se una la realizzazione di una tettoia poteva costare intorno ai 2mila euro, la costruzione di una casa completamente. abusiva valeva oltre lOmila euro. Nel maggio del 2008 per la legalità a Giugliano fu il giorno più brutto: 23 vigili finirono in manette, al pari di 3 geometri dell’ufficio tecnico del Comune e di tredici imprenditori e faccendieri, accusati a vario titolo di associazione per delinquere, corruzione, concussione e falso in atto pubblico. Antonio Basile (vigile urbano), condannato a 10 anni (difeso dall’avvocato Antonio Russo), Antonio Carleo (imprenditore di Villaricca), ne dovrà scontare 4 anni e 4 mesi. Gaetano Corso (vigile urbano difeso dall’avvocato Pellegrino), ne ha incassato sei anni. Dagli cinque anni anzichè 4 per Antonio D’Alterio (dipendente dell’ufficio tecnico comunale), mentre per Emilio Del Franco (vigile urbano) è stato condannato a 9 anni (9 anni nel precedente provvedimento). Per Alfredo De Vito (imprenditore di Giugliano) sconto di 4 mesi: solo 5 anni. A Bernardo Falco imprenditore di Carinola è stato condannato a 5 anni come nel primo processo. Gaetano Gargiulo, impiegato dell’ufficio tecnico un anno in più: 5 anni. Cinque gli anni per Raffaele Granata (imprenditore di Giugliano), Sabatino Granata (imprenditore di Giugliano) e Armando Migliaccio (imprenditore di Giugliano) sono stati rispettivamente condannati a cinque e quattro anni. Ad Aldo Nobis, imprenditore di San Cipriano, il pm Itri chiese 3 anni e otto mesi: ne incassò 4, ieri quattro mesi in più. Sconto di un anno per Raffaele Parisi (vigile urbano): da 10 a nove anni. Per Raffaele Sodano (vigile urbano) i giudici lo hanno condannato a otto anni e otto mesi rispetto ai nove anni; nove anni per per il vigile Alfonso Valletta rispetto ai 10 anni. Condanna a nove anni e quattro mesi per Giuseppe Taglialatela Scafati (vigile urbano), mentre per Luigi Pianese (vigile urbano, difeso dall’avvocato Antonio Russo), tre anni e Otto mesi rispetto ai 4 anni e otto mesi comminati nella prima sentenza. (Fonte Cronache di Napoli)

Truffa dello specchietto ed estorsione: come difendersi

Da una lettera inviata a "Dillo al Mattino"
Salve mi chiamo Vincenzo ed ho 34 anni.
Vi scrivo per segnalarvi un tentativo di estorsione/truffa di cui sono stato vittima nei giorni scorsi.

Il mio intento è quello oltre che denunciare una pratica a quanto pare sempre più diffusa ,di mettere in guardia tutti i miei concittadini per scongiurare che possano essere vittime a loro volta di quanto è accaduto a me.
Ero al volante dell'auto di un parente che mi era stata prestata ,la macchina era appena uscita dal carrozziere e quindi senza neanche un solo graffio; logicamente io essendo al volante di un'auto non mia e per di più appena rimessa a nuovo ,guidavo con la massima attenzione.
Ad un certo punto mentre mi recavo presso casa mia in una curva in maniera inspiegabile ,urto o meglio cosi ho l'impressione ,con il mio specchietto laterale(lato passeggero) quello di un'altra auto che sembra essere parcheggiata sul lato della strada.
Essendo in città e guidando un'auto non mia ,andavo ad una velocità bassa ,fatto sta che il mio specchietto salta completamente come se invece di urtare un altro specchietto avesse urtato contro un palo di ferro.
Mi fermo pochi metri piu avanti per verificare quanto accaduto e torno indietro a recuperare il mio specchietto e a vedere se anche l'altra macchina avesse subito un danno.
Mentre mi accingo a tornare indietro ,noto che l'auto che ho presumibilmente colpito fa manovra stesso nel punto in cui io l'ho colpita, la cosa mi sembra strana e credo che probabilmente la causa per la quale l'ho colpita sia dovuta al fatto che il conducente dell'altra auto stesse uscendo dal parcheggio senza aver messo la freccia.
Arrivo all'auto colpita ed il conducente mi fa constatare subito che gli ho rotto lo specchietto , la macchina era un mercedes compressor anche se molto vecchio.
Io faccio le mie rimostranze dicendo che secondo me la colpa era sua in quanto stava facendo manovra ed era impossibile vista la velocità a cui andavo e la massima attenzione che prestavo alla guida ,che io non avessi calcolato bene lo spazio per passare e quindi di conseguenza lo avessi colpito seppur incidentalmente.
Logicamente il conducente non è daccordo ed inizia ad alterarsi seppur rimandendo entro certi limiti civili, tanto da indurmi a pensare che forse aveva ragione lui.
Per non dilungarmi troppo ,è conseguito che il conducente era disposto a farsi pagare il danno anche con la sola sostituzione dello specchietto rotto, cosi da evitarmi uno scatto di classe con l'assicurazione ed inoltre mi consigliava di ricomprargli lo specchietto non dal rivenditore mercedes , ma di prenderne uno falso in maniera da risparmiare.
A questo punto mi si accende la lampadina e mi rendo conto che per l'ennesima volta stavano tentando di truffarmi con la stessa dinamica.
La dinamica della truffa è la seguente e mi è capitata già due volte oltre questa, la prima circa 9 anni fu a Firenze , la seconda e la terza a Napoli: tutte e tre le volte gli individui che hanno tentato di truffarmi erano palesemente degli zingari, la prima volta a firenze sembravano dei veri e propi rom , mentre le due volte a Napoli erano quelli che definiamo zingari napoletani ,che non sembrano venire dall'est europeo , ma di quelli che hanno tutte le caratteristiche degli zingari solo che parlano molto bene il napoletano, per intenderci quelli che per esempio girano spesso a Mergellina con il pappagallino ammaestrato che prende un biglietto del lotto con tre numeri gia segnati sopra e ve lo da in cambio di un'offerta.
Questi individui che definire persone mi viene molto difficile, parcheggiano su strade a doppio senso di marcia e parcheggiano in maniera tale da ridurre la carreggiata , la tecnica è molto ben studiata nei dettagli e devo dire anche molto efficace , la mettono in pratica quando vedono passare un'auto che si incrocia con un'altra che arriva dal senso di marcia opposto e l'incrocio avviene nelle prossimità della loro auto, approfittando del fatto che il conducente deve prestare attenzione a due cose ,in primis al restringimento di carreggiata da loro causato e poi all'auto che viene nel senso contrario di marcia.
Ne consegue che seppur lo spazio è sufficiente a far passare contemporaneamente tutte e due le auto ,la macchina che passa al lato dei truffatori ,lo deve fare in maniera più radente ,loro non fanno altro che con un palo di ferro abilmente camuffato ,far saltare lo specchietto della vittima
Logicamente essendo una cosa che accade in movimento ,essendo che lo specchietto che viene colpito è quello del lato passeggero e di conseguenza ha una visuale parziale, essendo che l'ignaro conducente vittima è costretto a tenere un occhio sull'auto che viene in senso contrario ed un occhio al lato destro della strada, loro riescono a far credere che non si sia valutata la giusta traiettoria e il giusto spazio di transito e inducono la vittima a pensare di aver commesso un errore.
Una volta causato l'urto ,mettono in pratica la seconda parte della truffa che consiste nel chiedere subito il risarcimento dall'assicurazione , ogni volta dichiaravano di non essere del posto ma di trovarsi li solo di passaggio ,ogni volta erano di posti lontani ,a Firenze erano di roma , la prima volta a Napoli erano di Genova e l'ultima e terza volta sempre a Napoli erano di Angri.
Loro però non mirano ad ottenere un risarcimento dall'assicurazione , ma mirano ad estorcere soldi in contanti al malcapitato di turno.
La storia va avanti cosi come tutte le volte che capita un incidente di poco conto ,si cerca di trattare e di arrivare ad una risoluzione della cosa che possa non gravare su nessuno, il conducente vittima valuta che tutto sommato è meglio ricomprare lo specchietto anzichè fare una lettera che poi porterà ad un aumento incredibile sul premio assicurativo e quindi si giunge alla conclusione di risolvere la cosa in maniera privata.
Logicamente questi vanno sempre di fretta , non sono del posto ,hanno urgenza di andare via ,non possono andare da un ricambista a perdere tempo e vedere quanto costa uno specchietto, gia gli è capitato una volta e lo hanno pagato tot euro.
Il tot euro è sempre una cifrà alta , diciamo dai cento ai duecento euro, logicamente la vittima inizia un attimino a sentirsi bruciare ,è vero che il premio assicurativo sale alle stelle in caso di lettera ma è anche vero che mollare 100/200 euro cosi per uno specchietto fa molto male all'anima e al portafoglio.
La conseguenza è che la vittima cerca di trattare sul prezzo ,mentre il truffatore minaccia nel caso di non essere risarcito cosi come chiede ,di pretendere allora il risarcimento tramite assicurazione.
Il tutto si basa su di un gioco psicologico e loro sono molto bravi nel metterlo in atto , alla fine la vittima preferisce mollare i contanti anche perchè lo zingaro non volendo in realtà la lettera assicurativa ma bensì contanti suonanti,vedendo che il poveraccio di turno è titubante ,inizia ad accampare mille motivi più diversi per la quale la pratica risarcitoria sarebbe comunque difficile da mettere in pratica.
Ne consegue che l'individuo inizia a trattare sul prezzo e a scendere con le sue pretese ,testando di volta in volta la massima cifra possibile da estorcere.
La prima volta a Firenze da duecento euro che mi chiese lo zingaro ,glie ne diedi 20 dopo lunga trattativa , il tizio capì chiaramente che non avevo altro e che quindi era meglio prendersi venti euro in cambio di niente , se ne andò protestando e dicendo che con qui 20 euro si sarebbe fatto un panino.
La prima volta seppur avevo la sensazione che qualcosa non andava ,non ebbi la destrezza di rendermi perfettamente conto di quanto stava accadendo e purtroppo riuscii a realizzare di essere stato truffato solo qualche ora dopo dall'accaduto; è da specificare che in quel caso io al volante stavo mangiando un panino e forse fu quello che indusse lo zingaro a tentare la truffa ,pensando che fossi distratto.
La seconda volta invece essendo già navigato sono riuscito a cavarmela ;seppur consapevole che era la stessa truffa non potevo subito dire chiaramente cio che pensavo e sono riuscito a far desistere l'energumero nel momento in cui gli ho chiesto di mostrarmi la sua assicurazione; lui mi consegnò un tagliandino palesemente falso, al che io senza battere ciglio dissi che avrei preferito fargli la lettera e che avrei chiamato una volante per far fare i rilevamenti del caso......se ne scappò a razzo.
Purtroppo questa ultima volta la cosa è stata un pò più spiacevole ,pur resomi conto che era la stessa truffa di sempre , non ho avuto subito la possibilità di esserne certo, del resto la tecnica si basa proprio sul mettere il dubbio nella vittima di essere veramente responsabile del danno .
La conferma alla mia sensazione lo zingaro me l'ha data quando mi ha consigliato di comprare lo specchietto falso , è assurdo che un proprietario di una merceds seppur vecchia ,che subisce un danno ,invece di farsi ricomprare un oggetto originale cosi come quello che gli è stato rotto , consigli di farsi comprare uno falso per risparmiare cosi come ha fatto lui l'anno prima con l'altro specchietto .
Il consiglio che lo zingaro dà , lo dà solo per indurre la vittima a chiedere quanto ha pagato per comprare lo specchietto falso e cosi da stabilire una cifra di partenza da estorcere.
In quest'ultimo caso la cifra era di 140 euro , valutazione di un anno prima.
Io ormai certo di essere di nuovo vittima di questo tipo di truffa(neanche c'avessi la calamita per questi individui)non sapevo come regolarmi, perchè ad una prima occhiata ,il tagliandino dell'assicurazione che esponeva sul parabrezza l'auto zingara, sembrava essere originale.
Ho pensato che sarebbe stato complicato dimostrare che si trattava di truffa , al chè ho detto allo zingaro che non gli avrei dato i soldi ne gli avrei fatto la lettera e gli ho suggerito di farmi causa, al che lui si è iniziato ad alterare e ha iniziato a minacciarmi.
Ho deciso quindi di mettermi nella mia auto e di andarmene per la mia strada ,dicendogli di prendersi il numero di targa.
Così faccio e mi avvio verso casa mia ad una certa velocità , in quanto il tutto era avvenuto si in città , ma in prossimita dell'imbocco di una super strada a scorrimento veloce in cui i limiti di velocità sono molto più alti rispetto a quelli cittadini, quindi una volta imboccata la strada ho iniziata ad aumentare la velocità
Con mia sorpresa dopo poco vedo che il tizio ad altissima velocità mi insegue e mi raggiunge fino ad affiancarsi alla mia auto e imprecando mi intima di fermarmi, io sono titubante e gli urlo di rintracciarmi tramite il numero di targa e di farmi causa, al che lui inizia a stringermi sul lato destro della carreggiata obbligandomi a fermare la corsa , li nel bel mezzo della superstrada.
Al quanto innervosito per tutta la storia scendo dalla macchina non in pieno possesso delle mie facoltà e non so quale santo mi abbia mantenuto dal fare qualcosa di cui mi sarei potuto pentire amaramente; logicamente lo zingaro era anche lui arrabbiato o cosi pareva essere, perchè alla fine dei fatti oltre a minacciarmi ancora e dire che me l'avrebbe fatta pagare , si è limitato a dire "pensavo che tu fossi un bravo ragazzo" ed io g li ho risposto"no pensavi che fossi un fesso è diverso" , in realtà però lui non voleva fare altro che continuare la truffa, diciamo cercare di ricucire un minimo di rapporto civile per indurmi a pagarlo.
A quel punto consapevole che la cosa si stava mettendo male , gli ho detto di prendersi anche i dati dell'assicurazione che io mi sarei preso i suoi ; il furbetto allora dice a quella che spacciava per sua moglie"incinta" di darmi il biglietto con i suoi dati che aveva già preparato mentre lui si sarebbe preso i miei dalla mia auto.
Io logicamente imbestialito per quella che ero sicuro al cento per cento essere una truffa ma che mio malgrado si stava mettendo male per me ,dico che il biglietto suo non lo voglio e che me li prendo da solo i dati ...lui insiste per darmi il biglietto ,ma io me ne frego e vado a prendermi i dati sulla sua auto.
Prendo numero di targa e poi vado verso il tagliando dell'assicurazione , al che la presunta moglie incinta,che aveva tra l'altro tutta l'aria di essere minorenne , prova a distrarmi chiamandomi e chiedendomi perchè io me ne fossi a suo dire scappato e per di più ad alta velocità....il tutto era mirato affinchè non leggessi bene il tagliando dell'assicurazione.
Me ne strafrego della presunta moglie incinta e continuo a segnarmi il nome dell'assicurazione indicata sul tagliando, poi guardo la data di scadenza e vedo che è 01/06/11.....non so se sia stato sempre lo stesso santo di prima che mi ha impedito di fare qualcosa di brutto ,ma fatto sta che mi accorgo quasi quando ormai mi stavo allontanando dall'auto ,che quel 06 che indicava il mese di giugno come data di scadenza , era in realtà uno 05 modificato a penna !!!!
Ecco!! quello che cercavo!! la prova che il tutto era una misera e bastarda truffa.....urlo subito allo zingaro che la sua assicurazione è scaduta e lui protesta dicendo che non è vero ; al che gli dico chiaramente che l'ha contraffatta con la penna e gli dico pure che di truffe cosi ne avevo gia subite due , minaccio allora di chiamare una pattuglia dei carabinieri ; lo zingaro con presunta moglie minorenne incinta ed un bambino che stava sempre insieme a loro e che suo malgrado aveva corso il rischio di ritrovarsi vittima di un incidente ad alta velocità su quella superstrada per l'ambizione di riuscire ad estorcere un centinaio di euro di quel bastardo, si sono messi in macchina e se la sono data a grande velocità
Adesso dico io a parte che avendo un tagliando non solo scaduto ma anche contraffatto e quindi già questo è prova che si trattava di una truffa, se qualcuno subisce un danno e chi lo ha causato dichiara di non volerlo risarcire e per dire si mette in macchina e se ne va via , non è interesse di questo qualcuno una volta riuscito a riacciuffare il responsabile del danno chiamare lui una pattuglia dei carabinieri?
dopo di ciò sono andato in un commissariato della polizia per fare denuncia ma li mi è stato detto che non c'erano gli estremi e che era meglio fare una querela ,di cui logicamente mi riservo la possibilita di fare.
una volta giunto a casa cerco su internet l'assicurazione che avevo preso dall'auto del bastardo e mi rendo conto che in Italia non esiste e a quel nome corrisponde un non ben chiaro gruppo finanziaro con sede in non so quale paese.
Sono conscio di essere stato molto lungo nel raccontare i fatti , ma è necessario far capire quanto meglio possibile la dinamica di questa truffa che si basa sempre sullo stesso modus operandis ma che viene arricchita e variata di volta in volta in base all'individuo che la mette in pratica.
Sicuramente molte altre persone hanno subito la stessa cosa e commenterano raccontando le proprie esperienze, quello che io posso consigliare basandomi sull'esperienza che ho purtroppo accumulato dopo questi tre episodi è che in ogni caso quando si ha la sensazione che qualcosa non quadra o che la dinamica è simile a quella da me narrata , sia conveniente prendersi i dati dell'auto zingara e poi chiamare una pattuglia della polizia .
Le strade da percorrere sono due , o si chiama la polizia cercando di non farlo capire al bastardo di turno ,oppure lo si dice chiaramente ,sperando che questo si metta in fuga.
Purtroppo so anche di episodi analoghi in cui dopo il finto urto dello specchietto la seconda parte della truffa viene messa in atto in maniera piu violenta ,intimidendo la vittima con minacce ,con presunte parentele di famiglie malavitose,con affermazioni di essere carcerati in permesso e via dicendo...so purtroppo anche di gente che è stata obbligata a recarsi ad un bancomat accompagnata dal truffatore per risarcire il danno con moneta contante.
Quello che posso aggiungere per mettere i guardia i miei concittadini è che questo tipo di truffa avviene quasi sempre quando si è soli in macchina ,che i truffatori non hanno mai i documenti in regola , che sono sempre palesemente zingari, che non sono mai soli in macchina, hanno sempre qualcuno con loro.
Spero di poter essere stato utile nel raccontare questa mia esperienza negativa , con la speranza che quanto prima questi energumeri possano fare conoscenza approfondita delle patrie galere e che episodi cosi spiacevoli non si ripetino più.
Vi prego pubblicatela!
Grazie .
Distinti saluti.
Vincenzo