martedì 10 dicembre 2013

Donne di gomorra

Villaricca. Vedova di camorra manager dello spaccio di droga

VILLARICCA. Da vedova di camorra a vera e propria manager del traffico e spaccio di droga, questo il profilo di Francesca Romeo di Villaricca, che nel 1990 rimase vedova di Domenico Tambaro ucciso nella cosiddetta "strage dei giardinetti". Insieme a lei altre due donne, un'altra sempre di Villaricca, Rita Castellone e Maria Martusciello di Mugnano, tenevano le fila dell'approvvigionamento di stupefacenti nel giuglianese e ne controllavano il passaggio verso i quartieri di Barra e Ponticelli. Le tre donne erano parte di un sodalizio teso a spostare le piazze di spaccio da Scampia e Secondigliano, ormai asfissiate dai costanti controlli delle forze dell'ordine, spostandole verso zone meno sorvegliate. A dare un colpo mortale a questo ingranaggio formato da oltre venti persone, le rivelazioni di due pentiti eccellenti, ovvero i fratelli Antonio e Maurizio Prestieri, a loro tempo a capo della clan gestito dai Di Lauro e protagonisti delle pagine di cronaca degli ultimi dieci anni. Per le tre donne , il pubblico ministero Giovanni Conzo ha chiesto durante il processo che si sta celebrando a Napoli, rispettivamente 12 anni alla Romeo, 6 anni alla Castellone e quasi 8 per la Martusciello. In totale per gli altri 20 imputati la richiesta supera i duecento anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio.

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Camorra, 18 arresti per usura: c’è anche la moglie di Vallanzasca

CASERTA. Gli agenti della Questura di Frosinone hanno eseguito lunedì mattina 18 provvedimenti restrittivi nei confronti di affiliati al clan camorristico Perfetto, diretta espressione del gruppo La Torre di Mondragone.

Le indagini partono nel 2011 dal commissariato di Cassino a seguito di un primo episodio di usura ed estorsione a danno di alcuni imprenditori operanti tra Cassino ed il Basso Lazio. Intimidito dagli atteggiamenti mafiosi dei camorristi, nessun imprenditore ha voluto collaborare con la polizia che, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha dovuto avviare una riservatissima attività investigativa durata oltre due anni. Intercettata una donna-imprenditore mentre veniva minacciata dal “contabile” dell’organizzazione incaricato della riscossione del denaro: “Domani mattina devo avere tutti i soldi, sennò andiamo a finire malamente”.
Ulteriori episodi dimostrano il coinvolgimento di altri imprenditori ed esercenti attività commerciali che, in un periodo di crisi economica, dapprima accettavano le proposte dell’organizzazione di accedere a somme di denaro e poi venivano costretti a cedere beni personali ed attività imprenditoriali per far fronte ai debiti contratti: un giro da milioni di euro che ha messo in ginocchio molte attività imprenditoriali nel Basso Lazio. Seguono altri episodi nel Cassinate che coinvolgono imprenditori ed esercenti attività commerciali.

Il gruppo camorristico approfittava, quindi, dello stato di bisogno delle vittime concedendo prestiti per i quali, poi, pretendeva oltre alla restituzione del capitale ingenti maggiorazioni di interessi usurari, ottenendoli grazie alla forte intimidazione esercitata ricorrendo a concrete minacce che andavano dalla sottrazione dei beni e cessione dell’attività fino ad arrivare a quelle di morte.

Le indagini si allargano a macchia d’olio e consentono alla polizia di intercettare la “road map” della camorra. Si arriva nell’agro di Mondragone, militarmente controllato dal clan Perfetto: se ne individua il capo, il luogotenente, coordinatore del braccio armato, nonché i mediatori, il cassiere ed i gregari.

Nel gruppo camorristico, costituito prevalentemente da uomini, anche la mondragonese Antonella D’Agostino, moglie del noto criminale milanese Renato Vallanzasca, che seminò il terrore in Lombardia, e non solo, durante gli anni ‘70, più volte condannato per gravi reati. La donna, secondo le risultanze investigative, è apparsa strettamente legata ai vertici del clan mondragonese, come anche ad alcuni esponenti del clan Esposito, radicato nel territorio di Sessa Aurunca. Secondo l’ipotesi accusatoria, risulta in particolare che la D’Agostino abbia svolto un ruolo di intermediazione in un’operazione di acquisizione di un hotel a Mondragone e in alcune vicende usurarie. L’attività di indagine ha inoltre consentito di raccogliere anche elementi riguardanti il coinvolgimento di Vallanzasca, che, sebbene detenuto da più di trent’anni, risulta aver mantenuto rapporti con contesti criminali.

La violenta forza intimidatrice del gruppo, che si è concretizzata, oltre che in minacce, anche in vere e proprie aggressioni fisiche e ripetuti atti di terrorismo psicologico, ha consentito al clan di recuperare ingenti somme di denaro che, opportunamente riciclato, ha costituito un’occasione d’oro per l’organizzazione allo scopo di rilevare attività ovvero per comprare il marchio lasciando il vecchio gestore come “testa di legno” o inserendo un familiare fidato per schermare la proprietà. Settore privilegiato per il reinvestimento dei capitali sporchi è quello alimentare ed, in particolare, della ristorazione. Si è passati, infatti, dai cosiddetti locali “di mala” a vere e proprie attività in franchising della cosiddetta rete “Ristomafia Spa” in grado di soddisfare tutti i palati perché adatto ad ogni portafoglio. Una trovata vincente in pieno tempo di crisi quella di investire nel campo alimentare, l’unico che riesce a sopravvivere provocando, però, un avvelenamento dell’economia di settore.

Le indagini si sono concluse con gli arresti per associazione a delinquere di stampo mafioso, usura ed estorsione, eseguiti nelle province di Caserta, Latina, Milano, Napoli e Terni ed il sequestro di cinque società, bar, ristoranti e di tutti i beni mobili ed immobili degli indagati per un valore di oltre 2 milioni di euro.

Tra le persone coinvolte anche un commercialista che, secondo gli inquirenti, appare contiguo al clan e, in particolare, appare essere intervenuto, in prima persona e in più occasioni, per favorire l’occultamento di beni immobili e società acquisiti dagli affiliati con i proventi delle attività criminali. Nelle conversazioni intercettate è emerso che il professionista, mettendo a disposizione le sue conoscenze professionali e la fitta rete di relazioni con notai, avvocati ed altri professionisti, avrebbe agito con il precipuo scopo di sottrarre i beni del sodalizio e degli affiliati alle aggressioni giudiziarie.

Altro episodio quello di un’impiegata dell’Asl di Cellole che si sarebbe rivolta ai componenti del clan per recuperare una somma di denaro concessa in prestito, ben consapevole del loro spessore criminale e dei metodi da loro utilizzati. All’operazione hanno collaborato le squadre mobili di Caserta e di Latina.
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