lunedì 25 novembre 2013

Esposito quel cognome considerato «infamante», abolito nel 1800

di Paolo Barbuto
Quel cognome, «Esposito», di cui raccontiamo l'origine, era considerato un marchio infamante, che rendeva impossibile la vita delle persone cresciute all’Annunziata. Così nel 1814 Gioacchino Murat cancellò l’usanza di chiamare così tutti gli abbandonati.

Da allora, l’ufficiale civile che registrava gli ingressi, aveva anche il compito di inventare un cognome nuovo per ogni giorno dell’anno. Si ispirava alla quotidianità: se c’era il sole, i bimbi di quel giorno avrebbero avuto tutti come cognome «Splendente». Se qualcuno bussava alla porta mentre veniva abbandonato il primo bimbo della giornata, il cognome sarebbe stato «Tocco». Capitò così anche con il piccolo Vincenzo che nel 1862 si ritrovò come cognome «Genito», poi per errore di trascrizione diventato Gemito.

Quel Vincenzo Gemito sarebbe diventato artista illustre, portandosi dietro un cognome inventato al momento e anche trascritto male. La ruota degli esposti era nata per accogliere solo neonati, ma le madri disperate lasciavano anche bimbi più grandi: li cospargevano di olio per consentirgli di attraversare il meccanismo. Troppo spesso quel passaggio causava fratture e lesioni interne alle creature, così lo spazio per deporre i bimbi fu ridotto da un palmo quadrato a tre quarti di palmo.

Quando le bambine accudite all'Annunziata crescevano ed arrivavano all’età da marito, veniva organizzata una festa danzante nel bellissimo salone del brefotrofio. Erano invitati tutti gli uomini senza moglie della città, ma si presentavano, abitualmente, le persone più avanti con gli anni, senza più speranze di trovare una sposa. Durante quegli incontri si svolgeva il rito del fazzoletto: le ragazze lo lasciavano cadere, chi si chinava a raccoglierlo le aveva scelte come spose.

Ecco il primo Esposito del mondo: è «Fabritio de anni due»
di Paolo Barbuto
Il viaggio nell’archivio dell’Annunziata non è un percorso tra gli scaffali ma un tuffo nella storia. Ci sono luoghi, qui dentro, dove il tempo s’è fermato. Solo il trillo dei cellulari è fuori contesto, tutto quel che c'è intorno profuma d’antico, non di vecchio.

E ogni singolo oggetto racconta una storia. Gli archivisti amano quelle carte. Lo si capisce da come guardano i fascicoli, dai guanti che indossano quando devono prenderli, per evitare di rovinarli. Sorridono davanti all’emozione di chi segue il rito con il fiato sospeso. Viene pescato il volume più antico. Sfogliato con carezze leggere. Pagina numero uno: anno 1623, primo gennaio, alle tre e mezza è stato «gettato» all'Annunziata «Fabritio de anni due». Non c’era bisogno di scrivere il cognome, si sarebbe chiamato Esposito, come le altre migliaia di bimbi abbandonati dopo di lui ed «esposti» alla protezione della Madonna dell'Annunziata. Fa un certo effetto trovarsi di fronte a quel documento.

Eccolo, è il primo Esposito di Napoli, almeno il primo del quale si abbia una testimonianza scritta e ufficiale. L’antenato di tutti gli Esposito della città. E del mondo.

L’archivio si trova in via dell’Annunziata, al numero 34. Possono avere accesso ai registri gli studiosi e i diretti interessati (o i discendenti). Contiene tutti i documenti ufficiali dei bimbi che venivano affidati all'Annunziata. La consultazione è consentita solo quando sono trascorsi settanta anni dall’iscrizione nei registri. Ancora oggi le visite sono centinaia. La «ruota» è stata chiusa il 22 giugno del 1875 ma i bambini sono stati accolti nel brefotrofio fino al 1980: da tutto il mondo scrivono per conoscere le proprie origini «fatemi sapere chi era la mia vera mamma». Ma centinaia di persone vengono invitate ad aspettare la scadenza imposta dalla legge.

Gli studiosi e i ricercatori qui dentro sono di casa e non fanno più caso alla macchina da officina, piazzata al centro della scrivania. Quella macchina serviva a legare il passato al futuro: numerava e sigillava un piombino messo al collo dei bimbi appena abbandonati dentro la ruota dell'Annunziata. Una lettera e un numero, I 1027, poi I 1028, all’infinito, senza sosta. Quella sigla avrebbe accompagnato il bambino per tutta la vita. Era quello il vero nome, non l’«Esposito» segnato sui documenti ufficiali. E se un giorno una mamma pentita voleva tornare sui suoi passi, si presentava all'Annunziata
ricordando data e ora dell'abbandono. L'archivista s'infilava tra le mensole e tornava con un faldone immenso. Per ogni data e per ogni ora, c'era un solo numero possibile di collegamento.

Alle pagine del librone era cucito il segno di riconoscimento: una immagine sacra strappata a un angolo, una medaglietta divisa a metà, un lenzuolino al quale mancava un angolo. Se la donna aveva la parte combaciante, le era concesso il diritto di conoscere il nome del figlio. Ancora oggi la storia degli "Esposito" napoletani è custodita all'Annunziata. I faldoni sono conservati nell'ospedale, in uno dei quattro archivi comunali.

Quellgli stanzoni negli anni hanno subito di tutto, allagamenti, piccoli crolli, abbandono. La location è avvilente, l'imbarazzo e la rabbia, però, svaniscono di fronte agli scaffali del lungo corridoio della memoria napoletana. Qui ci sono tutti gli avi di tutti gli Esposito di Napoli, e del Mondo. A partire da «Fabritio de anni due».
http://www.ilmattino.it

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