sabato 3 dicembre 2011

Tangenti al clan per la raccolta e le ecoballe

di Leandro Del Gaudio
NAPOLI - Ventimila euro al mese a un capoclan di Acerra per garantire il deposito di ecoballe di rifiuti; altre ventimila euro al mese per dare il nulla osta alla raccolta dei rifiuti.
Anno 2011 (14.mo dall’inizio della crisi rifiuti) funziona ancora così il sistema nel Napoletano e in una fetta della Campania, almeno a leggere gli ultimi esiti investigativi di un’inchiesta della Dda di Napoli.
Traffico di armi, il progetto di un attentato contro pm e forze dell’ordine, poi i rifiuti. Poche righe, una traccia sul taccuino degli investigatori, per il momento uno spunto investigativo nell’ultima inchiesta sull’emergenza rifiuti. C’è un pentito che sta raccontando come funzionano le cose quando si tratta di autorizzare stoccaggi o di favorire la semplice raccolta della spazzatura. Si chiama Pasquale Di Fiore, classe 1982, da ottobre scorso ha abbandonato piani stragisti contro la Dda di Napoli e ipotesi revanchiste contro boss di antico lignaggio, per cominciare a raccontare il giro di denaro legato ai rifiuti.
Non c’entrano, almeno in prima battuta, i clan dei casalesi - i primi in Campania a trasformare l’immondizia in oro - o meglio non c’entrano per quanto riguarda la zona vesuviana.
Poche parole agli atti nell’ambito dell’inchiesta condotta dai pm Enzo D’Onofrio (finito al centro di un progetto di attentato a colpi di bazooka) e Francesco Valentini, possibile ricostruire lo scenario d’insieme: sui rifiuti, sulle grandi commesse messe in moto da siti di trasferenza, piazzolle di ecoballe, stoccaggi e raccolta, sembra che non ci siano rancori che tengano. I soldi arrivano ai clan delle rispettive zone di competenza. Niente spargimenti di sangue, niente allarme sociale, ma moneta corrente assicurata alla famiglia o allo schieramento che ha la gestione del territorio.
Di questa storia di rifiuti convertiti in denaro, il pentito Pasquale Di Fiore parla nell’interrogatorio in cui illustra il piano per colpire a morte il pm D’Onofrio («per il suo accanimento investigativo finalizzato alla distruzione di massa dei camorristi acerrani») e un maresciallo della compagnia dei carabinieri di Castello di Cisterna. Un piano originariamente a prova di pentiti, da trattare con pochi interessati, gli stessi che hanno le chiavi delle casse delle estorsioni sui rifiuti.
Ecco cosa racconta il pentito nel verbale trasmesso dalla Procura generale di Napoli alla Corte d’appello, dove è in corso il secondo grado di giudizio per una decina di presunti boss e gregari della zona vesuviana: «In quel periodo, per dimostrare la buona fede nell’accordo che cercavamo di raggiungere, ho fatto incontrare mio zio Michelangelo con Giuseppe Avventurato, che fa parte del gruppo di Antonio Aloia (uno che chiedeva lo svecchiamento delle gerarchie criminali a colpi di morti ammazzati, ndr). Dovevamo fare un incontro con il clan Moccia di Afragola (una famiglia che, tramite il suo penalista Saverio Senese, ha sempre rivendicato la propria estraneità rispetto alle accuse per fatti di camorra e malaffare, ndr), in relazione alla tangente di 20mila euro che io ricevevo mensilmente dai due fratelli per il deposito di ecoballe e poi altri ventimila euro al mese per la raccolta dei rifiuti».
Soldi cash, c’è l’ipotesi di una cassa comune, sulla falsariga si quanto avveniva negli anni Ottanta con la Nuova famiglia nella gestione delle grandi commesse post terremoto: i soldi arrivano a tutti, in relazione al peso specifico di un clan in una zona interessata da un appalto o da un’opera pubblica. Anche qui sembra che ci sia una joint venture del crimine capace di assicurare tangenti di ventimila euro mensile per il doppio ingombro: quello delle ecoballe depositate anche in una parte di territorio vesuviano e quello della raccolta dei rifiuti su una zona più circoscritta. Piazzate in un ampio territorio del Casertano, le ecoballe sono state per anni al centro di scontri politici e di indagini giudiziarie.
Oggi, c’è un collaboratore di giustizia di ultima generazione che sembra fare luce sull’indotto legato alla gestione di siti di stoccaggio e di conferimento. Inchiesta in corso, tanti omissis al centro di un verbale fresco di deposito. Non è impossibile immaginare le mosse degli inquirenti, a partire dallo spulcio degli imprenditori dell’area aversana interessata dai conferimenti di rifiuti. Armi, attentati e soldi, dicevamo. E imprese private: l’ultima fonte d’accusa è quella di un pentito di trent’anni non ancora compiuti, che probabilmente sa poco su cosa è accaduto nelle prime fasi dell’emergenza rifiuti, ma può fare i nomi dei signori della «monnezza» di ultima generazione.

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