sabato 19 novembre 2011

Il Monte Faito come Colombia e Messico. I contadini cacciati dai narcotrafficanti

di Pietro Treccagnoli - INVIATO
GRAGNANO - Effettivamente visto da Castellammare il monte Faito incombe come un enorme canapone che, se sei portato allo sballo, te lo fumeresti tutto. Sarà stato anche questo ad averlo fatto eleggere a terra consacrata per le piccole piantagioni di canapa indiana , di orticelli di marijuana casalinga, quasi fossimo nella Colombia o nel Messico dei narcos, quelli trattano coca che è un altro pianeta.
A sentire il sindaco di Gragnano, Annarita Patriarca, ci siamo già. E da tempo. Lei l’ha denunciato pubblicamente: «I contadini delle nostre terre sono stati minacciati dai clan. Prima qui si coltivava il grano, ora la droga». Non è una novità, piuttosto una conferma politica. I carabinieri in questi anni hanno fatto centinaia di sequestri e hanno stilato raffiche di denunce.
Ma, c’è poco da fare: canna di montagna, il gusto ci guadagna. Stabia come Medellin? Sarà, sui Lattari le piantagioni (facciamo vivai, dai) proliferano, ma sono diffuse pure in pianura, nel Nolano, nel Giuglianese, nel Frattese, dove sessant’anni fa l’italianissimaa canapa era coltivata industrialmente ad uso tessile. Ora da quelle parti i contadini sono minacciati (o comprati) per chiudere un occhio sull’interramento dei rifiuti tossici. Dalla gloria mundi alla gloria immundi.
E risaliamola, allora, la montagna incantata, che regala qualche angolo segreto da dove godersi Napoli ancora più lontana di quanto le concede la geografia. Perché quassù ci si addentra in un altro territorio mentale tra i fazzoletti di vigneti, i piccoli orti dove le contadine con il fazzoletto stretto al mento si piegano a zappare, gli ulivi superstiti, i filari di castagni invadono le strade che diventano sempre più strette fino a scomparire e ti ritrovi in un prato come un terrazzo sul golfo, le chiesette dei borghi sopra Casola, Caprile, Aurano, gli altarini di giovani vite spezzate da un incidente, i ristoranti aperti solo di sera e nei weekend e che vanno oltre il panuozzo della gente di pianura, gli agriturismo e l’ultimo striscione maltrattato dal vento, davanti a un viottolo sterrato e a una staccionata fradicia, che promette «L’Angolo di Paradiso» e tu, per un attimo, speri di essere approdato alla metà, dove il mantra potrebbe essere «io sballo da solo», perché, tutt’attorno non c’è anima viva neanche a pagarla.
Diciamo che non sembra di essere penetrati in territorio controllato. Quindi è terra di nessuno, non fosse altro per la sua configurazione orografica, oltre che per il carattere dei nativi. Se chiedi in giro della faccenda della marijuana, nessuno ti contraddice. Confermano. La coltivano, certo. Ma non qui a Gragnano, ma ad Agerola o sul famigerato Monte Mègano. «Volete andarci?» chiede meravigliato Antonio, un contadino piccoletto e con i mobilissimi occhi azzurri sotto cappellino da baseball. «Ma ce l’avete l’elicottero o almeno un Suv?».
E se la ride. Poi racconta che lì sopra chiunque può fare quello che gli pare. «La droga» continua, provando a dirottare sospetti il più lontano possibile «la trattano i caprai delle montagne». Sembra roba di una novella di Verga, macché, parla sempre di Agerola: «Quelli recintano un campo, ci allevano gli animali, alla fine spianano il letame, che è un bel concime, e così le piante di droga crescono belle grosse». E chi lo ferma più: «Quelli sembrano cafoni, ma hanno la faccia tagliata. Sapete che mi ha detto uno di loro? Tu pianti le patate e le patate ti trovi».
E le minacce? «Dove c’è guadagno, spesso non serve nemmeno minacciare». Giù nella Valle dei Mulini, perché un tempo Gragnano era terra di pastai, ora sono solo ruderi che altrove avrebbero attirato investimenti turistici, ma qui servono per raccogliere sfravecatùre da abusi edilizi, tra le prime ombre accanto a un torrente secco, c’è pure chi confessa che coltivare erba da fumare può essere un affare senza rischi. Prendi, incarta e porta a casa. «E chi ti vede?» spiega, giusto per farti fare la figura del fesso, Eugenio un piccolo imprenditore che si occupa di coperture di tetti.
«Ma poi può capitare che ti ritrovi la droga in casa e nemmeno lo sai». Marijuana in incognito, mi faccia capire? «Qualche tempo fa ho trovato tre vasi con la canapa dietro il mio cantiere, in una zona appartata. Mica sono stato a chiedermi chi li aveva messi?». Chi li aveva messi? «E che ne so? Quelli la nascondono dove possono. E la spostano».
Sembra una barzelletta, mi scusi. «Io, comunque li ho presi, e li ho buttati giù nel vallone. Non voglio passare guai». Tutti sanno tutto. Ne parlano tranquillamente. E per qualcuno è un business come un altro. Ognuno è al corrente, ma nessuno va a denunciare. Non è solo omertà, c’è, neanche sotto sotto, qualche interesse. Di fronte ai soldi, che vuoi che sia uno spinello. È fenomeno così scoperto che nei ristoranti, alla sera, può capitare di vederti offrire un ammazzacaffé alla cannabis. «È successo proprio a me» confessa Paola, un’impiegata.
«Ero con degli amici e avevamo appena finito di cenare in un locale sopra il Faito, quando il gestore ci ha offerto un liquore speciale. Ha detto: se indovinate con che roba è fatto, vi regalo l’ultima bottiglia che mi è rimasta». Lei non l’ha bevuta, però. E i suoi amici non hanno avuto reazioni particolari. Quassù le guance sono rubizze. E non sempre è per il freddo che a novembre è già pungente. «La sera a me» riprende il saggio Antonio «basta una fetta di provolone, magari del Monaco, un pezzo di salame paesano e un bicchiere di Gragnano fresco. La droga mia è questa».
Sarà, ma l’impressione di essere burlati è forte assai. I vigneti sono sempre più raggrinziti e quei fumi che punteggiano la florida schiena del Faito, non saranno cannoni (sono solo rami secchi, infatti) eppure annebbiano la vista.

http://www.ilmattino.it/

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