domenica 6 novembre 2011

Casalesi. La moglie del boss minaccia il parroco

CASAL DI PRINCIPE. I casalesi minacciano il parroco di Casal di Principe. Così come accadde 20 anni fa a Don Peppe Diana, anche oggi è difficile essere prete in “Terra di lavoro”. La notizia è stata rilanciata dal Corriere in un articolo pubblicato poche ore fa e firmato da Marilena Mincione. La moglie del boss Sandokan, avrebbe detto al parroco di Casal di Principe: «La tua omelia non mi è piaciuta». Un segnale da non sottovalutare secondo gli esperti. Il clan tenta di rialzarsi dopo anni di umiliazioni da parte delle forze dell'ordine che hanno praticamente decimato il gruppo di comando. La Chiesa ha fatto molto dopo la morte di Don Peppe Diana e ora è diventata un fastidio ed ecco che la moglie del boss invia segnali inequivocabili. Altrimenti perchè la moglie del boss dovrebbe far sapere al prete che non l'è piaciuta la sua omelia?

Dal Corriere.it.

«Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie e in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa». Era il Natale del 1991, l'invito campeggiava nel documento diffuso nelle chiese di Casal di Principe e dell'Agro aversano «Per amore del mio popolo non tacerò». Roberto Saviano non aveva ancora consegnato alla ribalta non solo nazionale, con «Gomorra», gli affari del clan casalesi fino a quel momento noti solo agli addetti ai lavori. Non c'era l'esercito nelle strade, non c'era il «modello Caserta». Don Peppe Diana però, giovane parroco autore del manifesto, si era già schierato contro la camorra e proprio per le sue parole dal pulpito fu assassinato. Era consapevole, il coraggioso sacerdote, dell'importanza per quella lotta anche del commento dei spreti alle letture del giorno. Chissà se immaginava che proprio un'omelia, venti anni dopo, avrebbe provocato la reazione contrariata della moglie di un boss come Schiavone-Sandokan.

LA MOGLIE DEL BOSS IN SAGRESTIA - Invece è successo ancora: «Qualche giorno fa la moglie di Sandokan, dopo una funzione religiosa, è venuta in sagrestia e mi ha detto: la tua omelia non mi è piaciuta. Io le ho risposto: non devo piacere a lei. Lei si è arrabbiata ed è andata via». Don Carlo Aversano, parroco della chiesa del Santissimo Salvatore di Casal di Principe, riferisce l'episodio riguardante Giuseppina Nappa, moglie di Francesco Schiavone detto Sandokan, nel ribattere a una giornalista che ha parlato di «silenzio della chiesa nelle terre di camorra, chiesa che benedice le case dei boss e fa partecipare le loro mogli alle funzioni religiose».

IL RUMORE E IL SILENZIO - Il parroco ha fatto l'inquietante rivelazione durante una tavola rotonda — moderata dalla giornalista dell'Avvenire Valeria Chianese — che si è tenuta sabato nella curia di Aversa con i giornalisti, organizzata dalla locale diocesi. Un evento che di per sé ha un altissimo valore simbolico, perché denota la volontà della chiesa di aprire un dialogo con la comunità e la stampa locale. Lo si evince già dal titolo: «Il rumore, il silenzio e la parola».

LA MADRE DELL'AFFILIATO - Don Carlo riferisce un altro episodio che riguarda la madre di Salvatore Cantiello, soprannominato Carusiello, pluripregiudicato quarantunenne originario di Casal di Principe, ritenuto affiliato al clan dei casalesi: «La mamma di Carusiello prega tutte le mattine in chiesa per il figlio condannato all'ergastolo, non possiamo dirle di andare via. Il nostro compito è curare le anime. La chiesa è aperta a tutti». Anche monsignor Angelo Spinillo, vescovo di Aversa da gennaio, interviene sull'argomento, commentando che «chi nella comunità vive il peccato, può essere guidato dalla parola di Dio. I miracoli avvengono e bisogna credere nel valore della parola che trasmette vita, e sperare che tocchi anche loro».

LA TV DELLA DIOCESI - Il vescovo crede così tanto nella comunicazione da aver promosso un programma televisivo sui temi della vita pastorale, «Diocesi di Aversa tv», che sarà trasmesso da alcune televisioni locali. «La parola è un dono, ciò che fa l'uomo a immagine e somiglianza di Dio — commenta il presule — quando comunichiamo noi stessi trasmettiamo vita. Dobbiamo liberarci dalla tentazione di fare rumore e usare il silenzio per riorganizzare ciò che accade intorno. Ritengo che qualunque ministro della Chiesa avverta il bisogno urgente di essere in contatto coi membri della comunità». Il concetto è ribadito anche da don Carlo Villano, responsabile dell'ufficio comunicazioni sociali della diocesi: «Tutte le realtà della diocesi — spiega don Carlo — devono conoscersi e poi proporre all'esterno una parola, un impegno di testimonianza della chiesa per la legalità e contro la camorra».

IL VESCOVO: CAMORRISTI? FALSA RELIGIOSITÀ - Impegno annunciato un anno e mezzo fa anche dal vescovo di Caserta Pietro Farina che, in un'intervista al Corriere del Mezzogiorno, aveva definito la religiosità dei camorristi «una falsa religiosità perché non porta a una conversione del cuore: entrano in chiesa con una coscienza errata». E aveva invitato i parroci a rifiutare le offerte per i festeggiamenti religiosi se «notoriamente di cattiva provenienza».

Marilena Mincione
Corriere.it – 31/10/2011       

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