lunedì 10 marzo 2014

Don Peppe Diana: vent’anni non sono passati invano

Don Peppe Diana: vent’anni non sono passati invanoIl 19 marzo ricorre il ventesimo anniversario dell’uccisione del parroco di Casal di Principe per mano della camorra. Un territorio, quello del Casertano, che sta trovando la forza di reagire ai soprusi di camorristi, affaristi e criminali.

Cinque proiettili: due alla testa, uno al volto, uno alla mano e l’ultimo al collo. Don Peppe Diana morì nel giorno del suo onomastico, 19 marzo 1994, ore 7 e 25 del mattino, poco prima che dicesse messa nella chiesa di San Nicola a Casal di Principe. Era una situazione molto diversa da quella attuale, e sottolinearlo non è scontato: all’epoca, solo vent’anni fa, la camorra casalese imperava, il solo pronunciarla incuteva timore e forme distorte di rispetto, la vita di interi centri urbani si svolgeva all’ombra di criminali, affaristi, speculatori e politici collusi, quando non apertamente camorristi. Oggi c’è rimasto ancora tanto da fare, dire che la camorra è sconfitta, semplicemente, è una menzogna. Quel che è cambiato è l’approccio mentale: nel marzo 2014 nemmeno se ne poteva parlare. Don Peppe Diana fu ucciso perché fu tra i pochi a farlo.


PER AMORE DEL MIO POPOLO – Il 25 dicembre 1991, giorno di Natale, nelle chiese di Casal di Principe fu affisso un vero e proprio manifesto anticamorra, una presa di coscienza collettiva sotto forma di lettera, che divenne famosa col titolo “Per amore del mio popolo non tacerò”: « La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura – scriveva don Peppe Diana – impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l'imprenditore più temerario; traffici illeciti per l'acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato». Don Diana lo scriveva a chiare lettere: «Precise responsabilità politiche». Le istituzioni locali e nazionali avevano permesso alla camorra di penetrare in ogni aspetto della vita pubblica e sociale, inermi di fronte a un potere che si voleva più forte di quello legittimo esercitato da uno Stato sempre più indifferente e imbelle. Casal di Principe, Casapesenna, San Cipriano, tutti i paesi dell’agro aversano e di Terra di Lavoro, non esistevano né sull’agenda pubblica, né sulla cartina geografica del governo di Roma. Don Peppe Diana richiamò tutti alle proprie responsabilità, puntò il dito per mostrare quel pezzo dimenticato di territorio nell’Italia Meridionale, che si voleva abitata solo da ignoranti, cafoni e subumani.

IL RISVEGLIO – La camorra è ancora presente nella vita pubblica, negli appalti, nel business dei rifiuti, nelle aule dei Comuni e persino negli ospedali, nella “gestione” della nostra salute. Eppure proprio da quei rifiuti interrati, dalle ecomafie che hanno distrutto il futuro di una terra un tempo fertile e rigogliosa, sono sorti, come "contagio" positivo, i primi sintomi del risveglio, la voglia semplice e legittima di poter continuare a vivere qui, tra Napoli e Caserta, terra di don Diana, non degli Schiavone e dei Bidognetti. I cortei, le manifestazioni, la consapevolezza precisa e netta di chi oggi pronuncia la parola “camorra”, sono lo specchio di una società che cambia e non vuole più abbandonare i suoi elementi migliori, i suoi don Peppe a lottare da soli. Il 19 marzo un corteo, organizzato da “Libera”, dal comitato Don Peppe Diana e dalla diocesi di Aversa, attraverserà le strade di Casal di Principe per ricordare il parroco a vent’anni dalla sua morte. Un appuntamento che, mai come stavolta, ha il sapore di un risultato concreto e raggiungibile: combattere la camorra non è più solo una “roba per attivisti”: è diventata precisa esigenza sociale.
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