mercoledì 19 novembre 2014

CAMORRA | Racket a Torre del Greco, scacco ai Di Gioia-Papale: «Due secoli in cella»

di ALBERTO DORTUCCI
TORRE DEL GRECO -
Due secoli di carcere per i vertici e i fiancheggiatori del sodalizio criminale nato dall’unione tra i fedelissimi del boss Isidoro Di Gioia - oggi collaboratore di giustizia - e la colonia di via Fontana del clan Papale.

E' la stangata invocata dalla direzione distrettuale antimafia per chiudere il primo capitolo giudiziario dell’inchiesta nata dal blitz «Bolla Papale» scattato a febbraio del 2014: un’operazione capace di smantellare il business-racket messo in piedi all’ombra del Vesuvio dai «soldati» guidati dal rampollo di Gaetano Di Gioia - il padrino massacrato in un agguato di camorra il 31 maggio del 2009 - e dal baby boss Pietro Papale.

Davanti al gup Pasqualina Paola Laviano del tribunale di Napoli, il pm della Dda ha snocciolato le richieste di condanna formulate dalla collega Maria Di Mauro: richieste pesanti, costruite intorno alle dichiarazioni degli ex alleati degli amici di giù a mare. Dallo stesso Isidoro Di Gioia a Filippo Cuomo - passando per Gaetano Magliulo - i collaboratori di giustizia hanno avuto un ruolo fondamentale nella ricostruzione della fitta tela di «affari» costruita sull’asse Torre del Greco-Ercolano.

Affari messi in piedi su una doppia direttrice: la prima legata alla «vendetta» nei confronti degli scissionisti del rione Sangennariello - responsabili della morte del capoclan di corso Garibaldi - e la seconda legata al giro di estorsioni che doveva «coprire» l’intero territorio. Dal commerciante al dettaglio al grande imprenditore, tutti dovevano pagare. E perfino i titolari del nascente Polo Orafo di via Lamaria si dovevano piegare alla volontà della camorra, con i sicari del clan Di Gioia-Papale pronti a organizzare una spedizione di fuoco per intimorire gli imprenditori dell’oro rosso. Tutti retroscena rivelati dalle gole profonde e accertati dalla direzione distrettuale antimafia.

Adesso pronta a presentare il «conto» a boss e gregari che hanno scelto di essere giudicati con la formula del rito abbreviato, in modo da strappare lo sconto di un terzo della pena. La richiesta più severa è stata riservata a Pietro Papale, astro nascente del clan dei «bottoni» di Ercolano: quattordici gli anni di reclusione invocati dalla Dda di Napoli. Si è fermata, invece, a tredici anni la richiesta di pena per Bartolomeo Palomba: il pregiudicato di via Fontana era ritenuto il riferimento «locale» del clan Papale all’ombra del Vesuvio.

Pugno di ferro per un altro pezzo da Novanta della camorra tra Ercolano e Torre del Greco: Giovanni Di Dato - al secolo Giannino ‘o meccanico, residente in vico Agostinella - rischia 11 anni di reclusione. Stessa identica pena è stata invocata per il «bombarolo» Gennaro Granato, già finito nel mirino dell’Antimafia per l’attentato esplosivo all’ex megastore Original Marines di via Diego Colamarino. Un gradino sotto - 10 anni - la pena richiesta per Giovanni Oliviero, fiancheggiatore che inizialmente «operava» per conto di Filippo Cuomo. A scalare, poi, pene variabili dagli otto ai tre anni. A metà dicembre inizieranno le arringhe difensive degli avvocati dei 29 imputati, mentre il verdetto di primo grado è atteso per gennaio 2015.
twitter: @a_dortucci

18/11/2014
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