sabato 17 maggio 2014

Casalesi: pizzo e droga in Toscana. Coinvolti anche due poliziotti

Tutto parte da un carrozziere che ha l’officina a Orta di Atella: Ciro Manna, una persona normale, ma con mille rapporti con politici e forze dell’ordine. Gli inquirenti ipotizzano che volesse incontrare persino Roberto Speciale, generale della guardia di finanza entrato in politica con il Pdl nel 2008.

Chiedendo aiuto a lui, voleva risolvere alcune sue questioni finanziarie. Ma se l’incontro ci sia stato o no, è ancora tutto da verificare. Per questo motivo i magistrati hanno disposto una perquisizione domiciliare nei suoi confronti, alla ricerca di dati che possano confermare il legame tra il carrozziere e «pezzi» di Stato.

Di certo nell’inchiesta sono finiti i poliziotti Franco Caputo e Cosimo Campagna. Ma era proprio Manna, per gli investigatori della squadra mobile di Caserta, diretta da Alessandro Tocco, l’anello di collegamento tra la camorra dell’agro aversano e la Toscana. Manna, finito ai domiciliari, è solo la punta dell’iceberg. Dietro le sbarre sono finiti, Maria Grazia Lucariello di Gricignano di Aversa, la sorella del pentito Orlando e Francesco De Chiara. I due, il 27 febbraio del 2012, si erano recati nell’officina di Manna per bonificare la loro vettura, infestata da microspie. Il carrozziere, infatti, avrebbe riferito alla coppia che «per mezzo del mio conoscente in servizio al Quirinale» a Roma aveva appreso di essere sottoposto a intercettazioni.

E ieri, sono stati raggiunti da ordinanza cautelare anche Maurizio Di Puorto di San Cipriano d’Aversa, Nicola Garzillo, Franco Galante di Orta di Atella, Giovanni Sglavo di Carinaro, Francesco e Gianluca De Chiara di Aversa, Arturo Storico di Napoli, Francesco Dimarco di Lercara Friddi, in provincia di Palermo, Giuseppe Russo, Pasquale Vitale, Danilo Argiolas di Cagliari e Guerino della Santa di Livorno. Arresti domiciliari per i poliziotti Franco Caputo e Cosimo Campagna, per lo stesso Manna e Myroslava Prytula.

In tutto, però, sono circa 30 gli indagati nell’ambito dell’inchiesta della questura casertana, con a capo Giuseppe Gualtieri, e Firenze. Stando alle indagini della Dda di Napoli, Stefano D. R., indagato, era un imprenditore al servizio del clan che gestiva i rapporti tra gli affiliati con i funzionari di banca finalizzati a far ottenere mutui al clan, aperture di credito e fidi anche intervenendo a favore di direttori di banche con azioni intimidatorie nei confronti di altre persone.

Per la procura, sarebbe stato Nicola Garzillo a raccogliere le tangenti a imprenditori di Gricignano che si erano spostati a Viareggio e consegnarle al clan dei Casalesi. Proprio lui, avrebbe inoltre minacciato con una calibro 9 per 21 una donna, Federica Bambusi, per farle ritrattare la denuncia sporta contro Marco Lucchesi, direttore della Banca Popolare di Novara.

Minacce ed estorsioni erano all’ordine del giorno in Toscana. La camorra batteva cassa presentandosi in decine di imprese, come la Termoidraulica, la Edilforte, la Lampitelli, la Di Foggia, Edil London, la Gruppo Dava, l’Euroitalia di Della Gatta e la Sagi Costruzioni. Ma il pentito Francesco Martino ha riferito che il clan dal 2009 in poi, con la crisi economica, aveva scommesso anche sul traffico di droga.

«I Casalesi erano contro la droga, ma poi ci fu l’accordo che dal 2009 dovevano fare anche la droga, visto che i soldi non c’erano. Così Salvatore Mundo si attivò e fece andare in Toscana il nipote Raffaele Lucariello detto o’puorco che portò i primi 850 grammi». Così, il trafficanti portavano la cocaina nel cuore della Toscana e la nascondevano in una villetta. La sostanza proibita veniva poi «smerciata» a Viareggio, Lucca e a Calcinaia, in provincia di Pisa.
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