giovedì 22 maggio 2014

Casalesi, il boss Iovine si è pentito: svolta dopo quattro anni di carcere duro


Il boss della camorra, Antonio Iovine, soprannominato ’o ninno, si è pentito. Tra i capi del clan dei Casalesi, arrestato dal’ex capo della Mobile di Napoli Vittorio Pisani dopo una lunga latitanza, ha deciso di collaborare con la giustizia. Una decisione inaspettata, clamorosa, destinata a provocare forti ripercussioni non solo negli ambienti criminali. Il pentimento ha peraltro un valore simbolico significativo: è sostanzialmente la resa dei Casalesi.

Una scelta storica, destinata ad aprire una nuova stagione nella lotta alla camorra dei casalesi, nelle indagini sulle collusioni tra clan e mondo degli affari, della politica e delle istituzioni.

Antonio Iovine si è arreso, ha deciso di collaborare con la giustizia - in una parola - di pentirsi. Da qualche giorno ha iniziato una ricostruzione destinata a scavare nei torbidi intrighi di trent’anni di storia criminale, a partire dal potere di Antonio Bardellino, alle guerre con Cutolo, per finire all’abbraccio mortale (per il nostro territorio) con il mondo politico, con interi spaccati dell’imprenditoria regionale, fino ad arrivare a possibili contatti con apparati deviati dello Stato.
Quindici anni di latitanza, poi quattro anni di carcere duro, infine la decisione di collaborare con la giustizia grazie alle indagini condotte da due veterani del pool anticamorra di Napoli, vale a dire i pm Antonello Ardituro e Cesare Sirignano, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. Un indiscutibile successo della Procura di Giovanni Colangelo, quello legato al pentimento di Iovine, paragonabile solo alla scelta collaborativa di boss del calibro di Alfieri e Galasso (primi anni Novanta, era la Nuova famiglia), che diedero la stura alla tangentopoli napoletana o al ruolo svolto da Buscetta per «cosa nostra».

Iovine, il boss dei segreti: rifiuti, omicidi e rapporti politici

La politica, prima di tutto. Poi il mondo degli apparati, delle istituzioni: quel mondo fatto di burocrati, di impiegati, ma anche di funzionari e dirigenti, passando per gli eletti dal popolo, quelli mandati in Parlamento o nelle varie assemblee locali. E non solo: imprenditori, manager, gente cresciuta negli anni del grande silenzio. Eccoli quelli che ora tremano per le accuse di Antonio Iovine: sono il mondo dei palazzi, delle istituzioni, delle camere di compensazione, dei tavoli di spartizione.

Da dieci giorni (forse anche da un periodo più ampio), Antonio Iovine ha iniziato quel periodo assegnato dal Codice per dire tutto quanto in suo possesso. Lo Stato assicura sei mesi per dire tutto, per parlare senza zone d’ombra, senza amnesie, senza lacune. A cominciare da una domanda su tutte: negli ultimi trenta anni, un intero pezzo di regione per chi ha votato? Chi sono i cavalli vincenti alle urne premiati da un esercito di camorristi nella zona di Casal di Principe? Politica, affari e apparati, dunque.

Quante persone hanno fatto carriera grazie a un silenzio complice, a omissioni calcolate? Quanti manager e amministratori ora faranno i conti con le possibili dichiarazioni del boss pentito? E non solo. Chiara la strategia dei pm Antonello Ardituro e Cesare Sirignano: puntano all’effetto domino, a far cadere anche altri boss ritenuti irriducibili, gente del calibro di Michele Zagaria, di Francesco Bidognetti o di quel Francesco Schiavone diventato famigerato per la sua somiglianza a «Sandokan».

Quando Iovine disse: se parlassi inguaierei un sacco di gente

«Chi mi ha protetto durante la latitanza? Se parlassi, inguaierei un sacco di persone». Così ruppe il silenzio Antonio Iovine, in un’aula giudiziaria, il 4 dicembre 2013, nel processo per le minacce alla giornalista de “Il Mattino” Rosaria Capacchione e allo scrittore Roberto Saviano, quando il boss Francesco Bidognetti prese le distanze dal documento firmato nel marzo del 2008, la richiesta di trasferimento del processo letta dall’ex avvocato Michele Santonastaso nell’aula bunker di Poggioreale. Con queste parole: «Mi dispiace se ho creato loro qualche problema (i due giornalisti vivono da allora sotto scorta, ndr), ma non so niente di quel testo, mi sono limitato a firmarlo il giorno dopo solo perché per le questioni tecniche mi rifacevo integralmente alle mosse del mio avvocato. Non ho letto Gomorra, ho criticato quel testo quando mi attribuisce un ruolo nell’omicidio di Antonio Bardellino, vicenda per la quale non sono mai stato imputato».

Sulla vicenda ’O Ninno assunse una posizione diversa: «Non mi scuso, perché non ho nulla di cui scusarmi. Non so nulla di questa storia, all’epoca ero latitante, non potevo essere in aula».

Il boss dei Casalesi Iovine pentito, parenti allontanati dal Casertano

NAPOLI - Nei giorni scorsi sono stati tutti trasferiti in località segrete i parenti del boss Antonio Iovine, soprannominato «'o ninno», arrestato a Casal di Principe il 17 novembre del 2010, dopo una latitanza durata 15 anni.

L'ex primula rossa del clan dei Casalesi, da una decina di giorni, sta collaborando con gli inquirenti della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. È stato lo stesso Iovine ad indicare i parenti «a rischio» da includere nel programma di protezione e quindi da allontanare dal Casertano. Ovviamente, tra questi, la moglie, Enrichetta Avallone, 45 anni, finita in carcere nel 2008 per una vicenda di estorsione e tornata in libertà nel luglio del 2011; e il figlio, Oreste, 25 anni, attualmente in carcere: fu fermato il 19 ottobre del 2013, insieme ad altre quattro persone vicine alla fazione del clan guidata dal padre, con l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione e spaccio di sostanze stupefacenti.

http://www.ilmattino.it/

Nessun commento:

Posta un commento