giovedì 7 marzo 2013

Il regno della false griffe è a Napoli e provincia: in un anno sequestrati sei milioni di pezzi

di Marco Di Caterino

La wonderland del falso. Ovvero il paradiso di calzaturieri e sarti che producono il cinquanta per cento dell’intero mercato dei prodotti contraffatti piazzati in Italia e moltissimo all’estero. 

Si nasconde nel ventre di Napoli (guanti e borse) e nel suo impolverato, caotico e sterminato hinterland un esercito di mano d’opera, tanto specializzata a cui occorrono appena settantadue ore, per copiare e mettere in produzione l’ultimo modello Hogan, Tod’s e Converse (queste ultime ora di gran moda e calzature must dei guaglioni di Scampia). 

Una settimana, invece, per gli abiti Prada, Chanel e tutto il seguito delle griffe dell’alta e del pronto moda di successo. Che vanno a ruba e producono da soli, quasi un punto di Pil della Regione, quasi cento milioni di euro. Seimila gli addetti, indotto compreso. Che salgono a diecimila se aggiungiamo i lavoratori di extracomunitari, mercatali, e venditori ambulanti (e qualche poco onesto titolare di negozio in piazza) che di fatto sono la fitta rete della distribuzione del «vero ed originale falso made in Napoli».

I numeri sono impietosi. Lo scorso anno, i finanzieri del comando provinciale di Napoli hanno effettuato sequestri di merce contraffatta per la mirabolica cifra di cinque milioni e mezzo di pezzi. Dove per un ”pezzo” si intende un paio di scarpe, un capo di abbigliamento e un giaccone Fay, un litro d’olio per auto, un fustino di detersivo. Una sorta di sterminato pozzo di san Patrizio dell’interno universo delle varie tipologie merceologiche. Le dimensioni del fenomeno sono anche racchiuse nel numero di interventi effettuati dalla guardia di finanza: mille e 302, vale a dire con una media di tre al giorno, festività comprese. I controlli hanno portato in galera cinquanta persone, mentre superano le ottocento, quelle denunciate in stato di libertà. Settantacinque i casi e i sequestri dove non sono stati trovati i colpevoli. E se a queste già impressionanti cifre, si aggiungono anche i numeri di polizia, carabinieri, vigili urbani e anche la guardia forestale (per la taroccatura degli alimenti) la somma è più che raddoppiata. 

Il polo del falso, è concentrato soprattutto nei quartieri napoletani della Sanità (guanti e borse) e San Pietro a Paterno (calzature a abbigliamento), mentre in provincia è racchiuso in una sorta di poligono irregolare i cui vertici sono Casoria, Arzano, Casandrino, Grumo Nevano; Casalnuovo (jenseria e giubbotteria). C’è poi l’importantissima appendice del Casertano, con Aversa (dove fino a trenta anni fa si realizzavano scarpe con i ritagli si scarto del pellame) e i Comuni vicini. I motivi di questa sterzata illegale sono chiari. In questo territorio, dove la finanza del comando provinciale di Napoli ha sequestrato lo scorso anno 100mila paia di scarpe falsificate e oltre due milioni e mezzo tra capi di abbigliamento e accessori di moda, esiste una professionalità del settore giunta alla quinta generazione. 

Di contro, anche la sub cultura del lavoro nero (accettata anche dagli operai), consolidata dal fattore del ”teniamo giù i prezzi”. E allora le micro e le piccole imprese a conduzione simil familiare, pur di non soccombere si lanciano a capo fitto nel settore della contraffazione. Con buona pace di tutta la filiera. Gli operai, che a fronte del rischio di una denuncia penale, guadagnano il doppio della paga. Che vale oro, contando le migliaia di disoccupati. Insomma un equilibrio perfetto, dove a tutti tocca una fetta, piccola, dei quaranta euro, prezzo di uscita dalla fabbrica delle Hogan falsificate. Mentre la fetta più grossa va, manco a dirlo alla camorra, che oltre a rimpinguare i forzieri, cementa anche il consenso popolare, nonostante l’abbaglio del lavoro. Al nero. Ma lavoro.
http://www.ilmattino.it

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