sabato 10 marzo 2012

Camorra, bancarotta fraudolenta blitz contro il clan Gionta: 40 arresti

NAPOLI - Si dimostra sempre più capace di gestire aziende e finanza, la camorra, che tra il 2009 e il 2011 con l'aiuto di imprenditori compiacenti forniva efficienti servizi di gestione fraudolenta dei fallimenti alle aziende.

Un sistema studiato per occultare le componenti attive dei bilanci (beni mobili e immobili) a fronte di cospicui corrispettivi. Un meccanismo messo in piedi dalla famiglia Catapano insieme a elementi riconducibili ai clan Gionta e La Torre, rispettivamente di Torre Annunziata (Napoli) e Mondragone (Caserta).

La struttura, nell'arco di due anni, ha consentito a molte imprese in crisi o sull'orlo del fallimento, di non pagare le tasse per complessivi 5,5 milioni di euro (accertati 18 episodi di bancarotta fraudolenta e 13 di sottrazione fraudolenta di pagamento delle imposte). Il sistema è stato scoperto dalla GdF di Napoli nell'ambito di indagini culminate nell'operazione «Dummies» che oggi ha visto la notifica di 40 provvedimenti emessi dal gip del Tribunale di Padova. In carcere sono finiti 9 napoletani mentre per altre 13 persone sono stati disposti gli arresti domiciliari.
Diciotto, invece, i soggetti a cui è stato imposto l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Dei quaranta, 18 sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. In totale sono state indagate 146 persone.

I patrimoni aziendali occultati ammontano a 9,5 milioni di euro mentre 5,5 milioni di imposte non sono stati pagati al Fisco. A fronte dei «servizi» resi, l'organizzazione ha incassato oltre 24 milioni di euro. La prima fase delle indagini è stata diretta dalla DDA partenopea che poi ha trasferito la competenza all'autorità giudiziaria di Padova nella cui giurisdizione è stato accertato il primo caso di bancarotta fraudolenta.

Grazie a questa articolata struttura - con società sia in Italia che all'estero - le aziende in crisi riuscivano a evitare di pagare tasse e fornitori mettendo, nel contempo, beni al sicuro. Tutto ruotava intorno al cosiddetto «Gruppo Catapano», con sedi a Milano e Napoli, costituito da una serie di società finanziarie, di consulenza aziendale, editoria, compravendita immobiliare e merchant banking, facenti capo ai fratelli Giuseppe, Carmine e Vincenzo Catapano e a Gerardo Antonio Catapano, figlio di Giuseppe. Della rete facevano parte anche due società di diritto anglosassone, la «Victoria Bank ltd» e «Telegraph Road ltd».

Il patrimonio attivo dell'azienda in crisi veniva svuotato di beni mobili, valori, terreni edificabili e crediti, fatti confluire in società, soprattutto estere, create ad hoc. Infine l'azienda, con solo i passivi, veniva intestata a società fittizie, rappresentate da prestanome: pregiudicati e nullatenenti reclutati nelle aree di influenza dei clan. La documentazione amministrativo-contabile veniva distrutta.

Uno dei fratelli Catapano, Giuseppe, nella veste di presidente dell'associazione Osservatorio Parlamentare Europeo (Ope), con sedi a Napoli, Roma e Bruxelles, per accreditarsi, incontrava imprenditori e rappresentanti di istituzioni locali e nazionali presentandosi con autista e autovettura blu, dotata di lampeggiante simile a quello in uso alle forze di polizia.

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