sabato 4 maggio 2013

Caserta, reclutato da un uomo del clan Il racconto del rapinatore di Maddaloni

di Leandro Del Gaudio

Di tutto l’inferno che ha provocato, ricorda una cosa in particolare: lo sguardo di quell’uomo, di quello che gli ha messo la pistola in mano e che lo ha spedito in quella gioielleria. Occhi lucidi, sembravano senz’anima, di quelli che ti obbligano a fare qualunque cosa. E lui non si è sottratto, ha obbedito e oggi è lì che aspetta, che piange, che chiede aiuto, che cerca di spiegare a se stesso, prima che all’avvocato e ai giudici, come sono andate le cose, come si fa a devastare uno, due o più famiglie in pochi minuti.

Lui, Antonio Iazzetta, vent’anni, un diploma di ragioneria in tasca, ha un volto ormai noto ai più: è quello del video della rapina nella gioielleria culminata nell’omicidio del carabiniere Tiziano Della Ratta, quello che impugna la pistola come fanno gli attori di «Scarface» o «Gomorra», accanto a quello col cappellino che spara a ripetizione. Oggi il racconto di Antonio Iazzetta offre nuovi spunti di riflessione, prima ancora che di indagine. La sua storia, in parte, l’abbiamo già raccontata: diplomato, figlio di persone per bene, un’accusa di omicidio volontario. Da ieri, però, la sua storia si arricchisce di particolari, di quelli che spingono gli inquirenti a cercare il regista della rapina, l’armiere, il selezionatore.

Quello che ha organizzato il colpo, sfoderando lo sguardo vuoto che ha spinto un ragazzo di vent’anni a superare la linea d’ombra: ad accettare il delitto come unica risposta possibile alla paura. Una versione, la sua, che sposta la lancetta del tempo - e delle indagini - di qualche settimana rispetto allo scorso 27 aprile: rispetto cioé all’ingresso nella gioielleria di Maddaloni, dove viene ucciso un carabiniere che ha avuto la forza di non premere il grilletto per primo, di tutelare prima di ogni cosa la vita di quei rapinatori in erba.
C’è un retroscena, una sorta di prequel nella vita del ventenne dai tratti gentili, con gli occhialini da intellettuale, del presunto killer con il diploma di ragioniere.

È l’inizio della curva maledetta e ha che fare con la marijuana, con gli spinelli, la droga leggera consumata ogni giorno da migliaia di giovani napoletani. «Ho una sorella in coma da un anno, causa incidente stradale, i miei genitori sono completamente assorbiti da questo dramma - ha spiegato -. Da mesi ogni giorno ho il pianto di mia mamma come sveglia, non ho un lavoro nonostante il diploma, nonostante l’impegno». È così che nella vita del ragazzo entrano gli amici che non ti aspetti, quelli in cui è meglio non incappare mai. Fatto sta che, se fosse vero il racconto reso ieri mattina da Antonio Iazzetta, vuol dire che nell’inchiesta sulla morte dell’appuntato Della Ratta manca un nome: è quello del regista, quello che ha usato la droga come esca e il debito come arma di ricatto, di estorsione. Vuol dire che lì tra Caserta e Napoli, c’è una banda di soggetti in grado di selezionare, adescare, reclutare nuove leve, di spingere ragazzacci di borgata (comunque incensurati e non avvezzi al crimine) a fare il passo falso che ti cambia la vita. Ed è la versione raccontata ieri da Antonio Iazzetta al giudice di Nola che l’ha interrogato, accanto al suo difensore, il penalista napoletano Giovanni Siniscalchi. 

«Ho iniziato a fumare, ma non avevo sempre i soldi per comprare la mariuana. ”Tranquillo”, mi dicevano gli amici di Acerra, ”che problemi hai? Non lavori? Ti facciamo credito”. Ho fatto qualche debito, pensavo di poter gestire la situazione», ha spiegato il ragazzo. Ma la sorpresa è arrivata dopo un paio di settimane.

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