mercoledì 7 novembre 2012

Dai Casalesi ai Terracciano: ecco come i camorristi diventano imprenditori – REPORTAGE

Libera pubblica un rapporto sulle aziende italiane strozzate, o addirittura acquisite, dalla criminalità organizzata. Il procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini: «La classe imprenditoriale preferisce rivolgersi ai clan piuttosto che allo Stato».
 
In tempi come questi, c’è chi la crisi la combatte e c’è chi se ne approfitta per arricchirsi. Qualche giorno fa Navi Pillay, Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, ha bocciato senza mezzi termini le politiche di austerità dell’Unione Europea perché violano i diritti economici, sociali e culturali dei cittadini. Non è difficile immaginare le motivazioni che hanno spinto la Pillay a sporgere denuncia: basta guardare per esempio ai fondi tagliati in Italia per i malati di SLA. Ma negli stessi giorni un cui la Pillay bocciava la politica UE, l’organizzazione Libera pubblicava un rapporto sull’Italia dal titolo fortemente emblematico: “L’usura: il BOT delle mafie. Fotografia di un paese strozzato”.
 
CHI STROZZA CHI? – Un imprenditore in difficoltà, uno dei tanti del Nord-Est, un tempo culla della produttività e della ricchezza italiana, di fronte al rischio di perdere tutto: lavoro, soldi, vita, cosa fa? Di fronte al “no” delle banche che concedono credito sempre più difficilmente e in preda alla disperazione, potrebbe spuntare la tentazione di rivolgersi a qualcuno “molto ricco”, che con fare tranquillizzante ti presta del denaro. Una pacca sulla spalla e via. Tutto e subito. Fiumi di denaro contante che finalmente risolvono i tuoi problemi e ti restituiscono il sonno. Almeno così credi.
E POI CHE SUCCEDE? – Succede che quei soldi li devi restituire, un po’ alla volta, ma li devi restituire. E per la riscossione non c’è crisi che tenga, non riceverai lettere ufficiali, avvisi di pagamento, di pignoramento, ufficiali giudiziari che bussano alla porta a prima mattina per rovinarti la giornata. Qui gli avvisi sono altri: si chiamano minacce, sono fisiche e psicologiche, e sono tutte fuori dal mercato, ovviamente.
L’ITALIA AFFAMATA E L’ITALIA ARRICCHITA – «Ritornerei a restituirgli quello che gli ho dato, se non fosse stato per loro il mio negozio sarebbe scomparso», racconta a un giudice una vittima di usura a Castellammare di Stabia, che al clan D’Alessandro ha restituito interessi pari al 120%. E la quantità di denaro sequestrato ai clan testimonia che l’usura ai danni degli imprenditori è tutt’altro che rara. Oltre 41 milioni di euro sono stati sequestrati al clan Terracciano, originari di Napoli ma emigrati in Toscana. 70 milioni sono stati tolti al clan Moccia, anche loro napoletani. E ancora 7 milioni di euro sono stati sequestrati all’ex contrabbandiere napoletano Mario Potenza, grazie alle dichiarazioni del boss pentito della camorra Salvatore Lo Russo.
DELOCALIZZAZIONE – La parola d’ordine è: delocalizzare. I clan entrano nei territori vergini e li sporcano con milioni e milioni di euro da riciclare. E così l’economia pulita resta un vago ricordo anche nei territori virtuosi, quelli che non hanno una tradizione mafiosa. I Casalesi si muovono dalla Campania e vanno a fare affari in Veneto e in Toscana; la ‘ndrangheta se ne va in Lombardia, Piemonte ed Emilia, mentre l’unica che resta legata alla sua terra è Cosa Nostra. Nel mirino ci sono le attività commerciali che in tempi di crisi hanno bisogno di accedere al credito per non perdere le commesse e restare fuori dal mercato. Ecco dove si insinua l’usuraio mafioso, che insieme alla valigia dei soldi porta con sé anche minacce di violenza fisica e psicologica, grazie alle quali si compra l’azienda del povero imprenditore e la trasforma nella propria lavanderia di denaro. Per questo tipo di illecito i rischi sono vicini allo zero perché l’usura, di solito, non si denuncia: la vittima, anche se a prezzi un po’ alti, pensa solo di stare facendo “tutti gli sforzi possibili” per salvare la sua azienda.
LA SITUAZIONE IN CAMPANIA – Qui, secondo l’ultima Relazione Annuale della Direzione Nazionale Antimafia, la dislocazione della camorra legata al clan dei casalesi prosegue anche se il loro leader, Antonio Iovine, è stato arrestato a fine 2010. «Non pensare che perché Iovine è stato arrestato non c’è nessuno che faccia le sue veci. Tu, i soldi, ce li devi restituire …», dicono gli emissari a una delle tante vittime. A Castellammare di Stabia il clan D’Alessandro opera addirittura su input di alcuni politici locali, come rivelano le inchieste della magistratura. Se ci spostiamo di qualche chilometro arriviamo nell’hinterland napoletano, ad Afragola, dove i commercianti chiedono aiuto al clan Moccia, che nella zona non solo estorce ma riesce anche a riciclare aprendo nuove attività commerciali. Non c’è un pezzetto di attività produttive in Campania che non sia raggiunto dalla longa manus dei clan. In provincia di Avellino spadroneggiano i Pagnozzi, i Cava e il clan Russo, di Nola. Nella Piana del Sele lavorano gli epigoni del clan Marandino, famosi per aver influenzato l’andamento della produzione e della distribuzione dei prodotti agricoli e lattiero caseari. Il Battipagliese invece appartiene ai cosiddetti “Garibaldi”.
E POI CI SONO I CASALESI – I Casalesi se ne vanno n Veneto. 25 persone furono arrestate ad aprile 2011 per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Avvalendosi del vincolo associativo, i criminali sfruttavano la condizione di assoggettamento e omertà degli imprenditori veneti per commettere vari reati, tra cui il delitto di usura, l’esercizio abusivo di attività finanziarie, falsi in scritture private e per acquisire il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni e per finanziarie persone detenute in Campania. La camorra ha delle mire imprenditoriali ben precise: sfruttando la crisi, punta ad acquisire imprese pre-esistenti e invece di farle morire per insolvenza le fa continuare a vivere sotto il proprio controllo.Una volta si pensava che la mala al Nord investisse i soldi acquisiti illegalmente al Sud. Come dire: al Sud il sangue e al Nord i soldi. Le nuove inchieste della magistratura invece svaleno che le teniche usate sono sempre le stesse e sono quelle tradizionali, sia al Nord che al Sud: aggressioni, percosse, sequestro di persona a scopo di estorsione, sottrazione di beni e documenti, anche con l'uso di armi, per diffondere paura e costruire muri di omertà. E siccome il numero di imprese in difficoltà sta aumentando considerevolmente, aumenta anche il numero dei lavoratori colpiti dalla mala, mentre stordisce il loro silenzio, quasi come se nei loro aguzzini vedessero, invece, i loro salvatori.
STATO O ANTISTATO? – Sono emblematiche le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Milano, la napoletana Ilda Boccassini: «È evidente che la classe imprenditoriale italiana preferisce rivolgersi alla criminalità piuttosto che allo stato e questa situazione non cambierà finché non capiranno che rivolgersi allo Stato è più pagante che stare con l’antistato».
 
Micol Conte
 
 

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