lunedì 2 giugno 2014

Iovine: «Come vincevamo gli appalti pubblici? Buste aperte e offerte cambiate»

Per essere certi di vincere gli appalti pubblici, gli imprenditori vicini al clan dei Casalesi, dopo la consegna delle buste, le riaprivano e modificavano le offerte. L'espediente è raccontato da Antonio Iovine, di recente divenuto collaboratore di giustizia, in uno dei verbali depositati ieri al tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

Il boss pentito ne parla in riferimento al contrasto sorto tra due imprenditori, imparentati tra loro e entrambi vicini al clan, per un appalto in provincia di Napoli. «In effetti - dichiara Iovine - entrambi i contendenti avevano compiuto atti volti a truccare la gara in quanto avevano avuto rispettivamente assicurazione da loro referenti presso la stazione appaltante che sarebbero risultati vincitori. Io ho già spiegato che vigeva il sistema di aprire preventivamente le buste e modificare le offerte. In quel caso fecero proprio questo».

Iovine parla di affari ma racconta anche dei conflitti interni alla organizzazione. Ricorda che dopo la scarcerazione nel 1995 iniziò una «latitanza preventiva», che divenne in seguito "effettiva" quando scattò il 5 dicembre 1995 l'operazione Spartacus. «Fino al 1998 quando poi fu arrestato comandava Francesco Schiavone detto Sandokan. In seguito alla scissione che vide coinvolte le fazioni di Bidognetti da un lato e Cantiello dall'altro, iniziò una lunga faida. La conseguenza fu che Francesco Bidognetti decise di tirarsi fuori dalla cassa comune del clan e questa situazione è rimasta tale fino a quando non sono stato arrestato. Vi parlo di questo perchè il clan dei Casalesi esisteva in quanto esisteva la cassa comune che serviva per il pagamento degli stipendi agli affiliati».

Iovine dice di poter parlare con cognizione di causa e da protagonista per il periodo che va dal 1998 al 2008 «sedendomi in una ideale tavola a cui partecipavano Michele Zagaria, Nicola Panaro e Giuseppe Caterino». Nei verbali ricostruisce la storia dell'organizzazione delle origini, dagli anni Ottanta fino alla morte di Antonio Bardellino. «Il clan era molto forte e controllava tutta la provincia di Caserta, si compivano affari di grande importanza perché era il periodo di costruzione delle grandi opere: il capo era innanzitutto Bardellino ma chi materialmente operava erano Vincenzo De Falco e poi Francesco Schiavone». Durante il periodo di detenzione - ha ricordato - alla moglie veniva corrisposto tra il '91 e il '95 uno stipendio mensile di quattro-cinque milioni di lire.

Oltre che il prossimo 7 giugno a Santa Maria Capua Vetere, dove è in corso il processo all'ex sindaco di Villa Literno ed ex consigliere regionale Enrico Fabozzi, Antonio Iovine dovrebbe essere interrogato dal pm Antonello Ardituro anche il 9 giugno a Napoli, nell'ambito del processo per le minacce a Roberto Saviano e Rosaria Capacchione in cui l'ex capoclan è imputato assieme a Francesco Bidognetti. In entrambi i casi Iovine sarà collegato in videoconferenza.
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