martedì 9 aprile 2013

La difficile lotta alla camorra: aziende confiscate, chiusa una su tre

Più passano gli anni e più aumentano gli allarmi. Rimettere in sesto, gestire e trovare un impiego non in perdita ai beni e alle attività confiscate ai camorristi è ormai diventato impegno da conti in rosso. Nonostante il nuovo codice antimafia e l’Agenzia nazionale per la gestione dei beni sottratti alle mafie.

Case e terreni a marcire per anni, aziende a rischio chiusura con decine di dipendenti senza più lavoro: il passaggio dai clan allo Stato presenta preoccupanti rovesci della medaglia. Le aziende restano il capitolo più nero. Tre mesi fa, su un totale di 567 aziende confiscate, solo il 2 per cento era in grado di competere sul mercato. Commenta Paolo Miggiano, coordinatore della fondazione Polis: «Ai risultati efficaci sul piano etico non è corrisposta sempre un’efficiente gestione dei beni confiscati inseriti in un circuito produttivo legale. Si rischia di offrire alla camorra un’opportunità di rivincita assai pericolosa».

In Campania, gli ultimi dati dell’Agenzia nazionale parlano di 1571 beni confiscati. Le aziende sono 347 e 95 risultano fuori produzione. Il 30 per cento. Spiegò, alla commissione antimafia, il direttore dell’Agenzia, il prefetto Giuseppe Caruso: «Non abbiamo le professionalità per occuparci di aziende o di patrimoni immobiliari notevoli».

Una spia critica sulla realtà. Trenta i dipendenti dell’Agenzia, che ne dovrebbe avere settanta. La sede principale, inaugurata a Reggio Calabria in pompa magna, è tagliata fuori dai centri decisionali nazionali. I collegamenti con la Calabria sono quelli che tutti conoscono e il direttore ha per questo proposto di spostare gli uffici a Roma o a Palermo. La sede napoletana, da aprire a Castelcapuano, non è stata ancora inaugurata. Va avanti un complicato sistema di gestioni di aziende affidate ad amministratori giudiziari, in continua difficoltà.

Tante imprese sono confiscate con ipoteche (il 77 per cento dei beni viene «acquisito con criticità», scrive l’Agenzia nazionale), o situazioni economiche e patrimoniali già compromesse. In più, le banche tagliano subito i finanziamenti alle società confiscate e il mercato reagisce male a imprese che si imponevano solo perché si sapeva che dietro c’era il boss o il clan. Un paio di allevamenti di bufale sul litorale domizio, confiscati ai Casalesi, sono chiusi. Lo zuccherificio «Ipam», sottratto al defunto Dante Passarelli ritenuto vicino alla famiglia Schiavone, è in liquidazione dal 2005. Tanti problemi incombono sul gruppo Ewa, titolare di decine di distributori di benzina, con un organico di 200 addetti che rischiano il posto.

Ha spiegato Raffaele Magi, presidente del Tribunale di prevenzione a Santa Maria Capua Vetere: «Alla gestione dell’Ewa inquinata dal clan le banche concedevano crediti a breve e lungo termine superiori ai 2 milioni di euro annui. Con l’amministrazione giudiziaria, i crediti sono diminuiti a circa 950mila euro. Sono stati chiesti dei mutui, ma le banche hanno detto no, mostrando diffidenza verso le aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria».

Il meccanismo è all’apparenza semplice. Le Procure sequestrano sulla base di indizi, il procedimento va avanti in maniera autonoma rispetto alle inchieste principali sui clan. A confisca definitiva, il bene è preso in carico all’Agenzia che nomina gli amministratori giudiziari. Con ostacoli a tutto spiano: i clan consegnano ville e terreni in condizioni volutamente disastrate. Famose le distruzioni delle coltivazioni di pesche a Pignataro Maggiore sottratte al clan Lubrano. O le ville dei fratelli Schiavone a Casal di Principe danneggiate e deturpate.

L’Agenzia nazionale cita come fiore all’occhiello due simboli di beni tolti ai clan campani: la biblioteca comunale nella villa Liberty che fu del clan De Rosa nel centro storico di Castellammare di Stabia; la villa bunker del clan Graziano ora sede dell’associazione Libera a Quindici. Gli immobili e i beni vengono consegnati ai diversi comuni, per una destinazione sociale. Non sempre è possibile, così case e palazzi interi vanno in malora in mancanza di soldi per la manutenzione. La Regione assegna fondi a chi presenta progetti sui beni confiscati. Quasi sempre i progetti sono in passivo.

Due i consorzi tra comuni, con il compito di gestire i beni confiscati : Agrorinasce in provincia di Caserta che raggruppa 6 comuni e si occupa di 54 beni, di cui 34 in attività; S.O.L.E. Napoli che unisce 18 comuni e ha in carico 20 beni, tra cui il parco confiscato al clan Rea a Giugliano. Spiega, Giovanni Allucci, direttore di Agrorinasce: «Abbiamo avuto problemi economici, ma attraverso progetti finanziati cerchiamo vie d’uscita. Il problema, per gli immobili e le attività sociali, è trovare comunque fonti di reddito autonome. In alcuni casi è possibile».

Un esempio illuminante è a Casal di Principe: la casa, confiscata a Dante Apicella. Ospita donne vittime di violenze e sta diventando anche sede di una cooperativa per attività di catering. Il sistema confische cerca soluzioni a bilanci in passivo, per un’attività dall’importante valore simbolico-sociale. Dice il prefetto Caruso: «Si potrebbe consentire la vendita ai privati a condizioni migliori, o creare fondi di rotazione per eliminare le ipoteche e consentire le ristrutturazioni».
E poi la riforma delle riforme: poter affidare ai comuni non solo gli immobili confiscati, ma anche le aziende. Con la crisi attuale e il patto di stabilità pare un’utopia. La Cgil lancia proposte di legge per tutelare i dipendenti delle aziende confiscate con il posto a rischio. Di recente il governo Monti ha abolito la Cig per i dipendenti delle aziende sottratte alle mafie.

Qualcosa si dovrà fare. Dice Franco Roberti, procuratore capo di Salerno e uno dei candidati più accreditati per la guida della Procura nazionale antimafia: «Di certo, indietro non si torna. Quando arrivai a Salerno, creai subito una sezione per i sequestri ai clan con due colleghi. Solo aggredendo la camorra sui beni, se ne combatte la forza e la capacità di riciclare soldi sporchi».
(Il Mattino - Gigi Di Fiore)

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