domenica 20 gennaio 2013

Scampia, i codici segreti della faida Delitti «firmati» con le pallottole

di Viviana Lanza

NAPOLI - La firma su ogni omicidio ce la mettono con il numero di colpi di pistola. Utilizzano solo Focus, Fiesta e Megane perché sono i modelli di auto che i loro meccanici riescono più facilmente a mettere «a sistema», con nascondigli per le armi nel vano airbag. Il cellulare lo usano per scambiarsi soffiate e ordini via sms: li acquistano sempre dallo stesso rivenditore, con schede già intestate, e con una spesa di 100 euro hanno due apparecchi che possono comunicare solo tra loro, parlare con una sola utenza e inviare messaggi, da gettare poi nella spazzatura a conclusione di ogni agguato per sostituirli con dei nuovi.

Sono questi alcuni dei segreti dal fronte di guerra dei clan dell’area nord di Napoli svelati da chi, di recente, ha deciso di deporre le armi, gettare per sempre i cellulari «dedicati» e collaborare con la giustizia, per salvare la pelle più che la faccia. 

Le trame più attuali le stanno raccontando i fratelli Annunziata, Carmine e Gaetano, che con la madre Anna si sono consegnati dopo l’omicidio dell’innocente Lino Romano, vittima di uno scambio di persona; Giovanni Marino, che di questo terribile omicidio è tra gli accusati e si è pentito all’indomani del suo arresto; Gianluca Giuliano, che ad agosto scorso, dopo la morte di Gaetano Marino, sul lungomare di Terracina, ha capito che la sua vita era in pericolo e ha voluto cambiarla, consegnandosi agli inquirenti per collaborare. 

Lo scenario è quello della faida, la terza a voler portare il conto dei conflitti segnati con il sangue e il terrore nelle vie di una Scampia che vuole, e a ragione, togliersi l’etichetta di terra di camorra, senza però rinnegare l’evidenza della presenza di clan ancora invasivi, prepotenti e violenti. Una guerra combattuta in nome della droga prima ancora che di vecchi rancori. Segnata da momenti di tregua, apparente però. «In quel periodo solo compiti di vigilanza delle nostre zone, senza armi. C’era troppa polizia», ha raccontato Carmine Annunziata ai pm della Dda il 29 novembre scorso. 

In ballo ci sono le piazze di spaccio, quella dei Puffi dal potenziale guadagno di un milione di euro al mese e tutte le altre, decine, sparse tra Scampia e Secondigliano, ognuna in grado di rendere dai 30 ai 60mila euro al giorno. Sempre rigide le regole dello spaccio, nonostante i serrati controlli di polizia e carabinieri, i sequestri e la presenza costante di forze dell’ordine abbiano costretto i clan a rallentare i loro affari. Alle Case Celesti, spiega il collaboratore, il lavoro dei pusher è diviso tra tre paranze di otto persone, più quattro o cinque che preparano la droga. C’è il turno del mattino, dalle 6,45 alle 16, e quello serale, dalle 16 all’una di notte. Di sabato, poi, si tira fino alle due. 

Ogni paranza si alterna nei turni: chi fa la mattina, il giorno seguente copre il turno serale. Il terzo giorno è di riposo retribuito. Lo stipendio si aggira sui 1500 euro a settimana, più le mazzette perché anche in questo caso c’è qualche cliente che il resto lo lascia di mancia. Negli ultimi mesi, quando la faida si è inasprita fra cambi di casacca e feroci vendette, molti spacciatori sono stati impegnati nelle piazze di spaccio per difenderle da invasioni di clan rivali. Armati quando si poteva, e senza armi quando in zona c’erano forze dell’ordine, facevano da vedette con l’occhio vigile a carpire il passaggio di affiliati a clan contrapposti e segnalarlo ai killer appostati nei covi a disposizione dei boss o nelle case temporaneamente offerte da qualche inquilino che per poche centinaia di euro si prestava a dare ospitalità.

E così, con i binocoli, dai Sette Palazzi si spiavano i movimenti alla Vela Celeste e viceversa. E al momento opportuno le batterie di fuoco entravano in azione. Quando lo fecero alla Vela Celeste, ad agosto scorso, per uccidere un capopiazza finito nella lista nera dei boss, uno dei killer ebbe un brevissimo moto di coscienza. 

C’era una bambina che passava di lì, smise di sparare e quando la piccola non fu più sotto tiro scese dall’auto e a piedi rincorse e uccise la vittima. E sull’omicidio ci mise anche la firma, con i bossoli. Ogni clan ne ha una. «Il gruppo di fuoco degli Abbinante - rivela Gaetano Annunziata - ha una firma precisa: attingono la vittima con più di dieci colpi».
http://www.ilmattino.it

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