sabato 12 giugno 2010

Donne e camorra

10/06/2010 - CASERTA - C'e' una donna, Maria Giuseppa Cantiello, chiamata Maria Pia, al centro dell'inchiesta che ieri mattina ha portato alla notifica di 11 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti del clan dei casalesi. Nel provvedimento, emesso dal gip Alberto Capuano su richiesta dei pm Antonello Ardituro e Giovanni Conzo, la donna e' accusata di ricevere ''reiteratamente, ogni mese, uno stipendio prelevato dalle casse del sodalizio e, in particolare, dai componenti dell'organizzazione di volta in volta incaricati di raccogliere, nella predetta cassa, tutti i proventi dei delitti di estorsione, gioco illegale d'azzardo, traffico e vendita di armi, riciclaggio, illecita concorrenza, commessi dai partecipi del sodalizio denominato clan dei casalesi su tutto il territorio casertano e nazionale''. Ecco che cosa ha raccontato di lei a verbale Marianna Piccolo, sorella del collaboratore di giustizia Raffaele: ''Dopo che fu resa pubblica la collaborazione di mio fratello Raffaele, la Cantiello venne presso la mia abitazione ubicata alla via Lecce di Casal di Principe; mi disse di non accettare la protezione, perche' il clan non ha mai toccato le donne. In quella occasione mi disse anche che lei provvedeva a consegnare gli stipendi alle famiglie dei familiari degli affiliati del clan che erano carcerati e se io avessi avuto bisogno di denaro potevo rivolgermi a lei direttamente. Io gia' conoscevo Maria Pia come una donna del clan dei casalesi, in pratica era noto che lei provvedeva alla consegna degli stipendi ai familiari degli affiliati, anche se non ha mai consegnato alla mia famiglia soldi''. ''Voglio aggiungere inoltre - emerge ancora - che era noto il ruolo della Cantiello a Casal di Principe, infatti una volta e per l'esattezza circa due anni fa la incontrai nel negozio di abbigliamento di Casale posto al Corso Umberto denominato Gian Glo': io ero intenta ad acquistare regolarmente una camicia per mio fratello Raffaele pagandola tranquillamente, mentre ho visto che la stessa prelevo' un pantalone ed una maglietta da quel negozio e testualmente invece di pagare disse:voi sapete che io non pago, mettete tutto sul conto di mio marito. La stessa prima di andare via a bordo della sua Mercedes grigia e prima di uscire dal negozio testualmente mi disse: Maria', che fai, paghi pure tu? Ma e' per te o per tuo fratello? Io le risposi che era per mio fratello e la stessa mi disse testualmente: se e' per tuo fratello non devi pagare, e si allontano'. Io pagai 199 euro in contanti per la camicia e andai via''.
www.internapoli.it
04/06/2010 - CASERTA. Né silenziosa, né riservata, né remissiva o acquiescente. Una camorrista vera, dicono di lei. Più del marito Pasquale, più dei parenti di Casal di Principe dai quali - sin da bambina - ha appreso l’arte della minaccia e del sopruso. Porta un cognome ingombrante, così come ingombrante è il suo stato di famiglia: si chiama Schiavone, come il capo del clan dei Casalesi, di cui è nipote; e come il primo pentito dello stesso clan, del quale è la figlia. È lei, Maria Rosaria, 41 anni, il vero capo della colonna pontina. È l’avanguardia combattente, raccontano i collaboratori di giustizia, di quel nucleo di estorsori che quindici anni fa si è accampato tra Latina e Roma, stringendo utilissime alleanze con la mala locale: i Casamassima, i loro amici «zingari» e usurai, le propaggini della banda della Magliana. La sua storia criminale è raccontata, per riassunto, nell’ordinanza di custodia cautelare del gip romano Sante Spinaci, che ne ha disposto l’arresto per estorsione aggravata e favoreggiamento della camorra, provvedimento eseguito due settimane fa. Ed è la storia di una donna di malavita, prepotente e violenta, più simile alle consorelle della tradizione napoletana o marcianisana, che non alle parenti di Casal di Principe. Vincenzo Buono è stato per anni il prestanome e uomo di fiducia di Maria Rosaria Schiavone e del marito Pasquale Noviello. Arrestato dopo una sparatoria a Cisterna, ha iniziato a collaborare con la pm romana Maria Monteleone. Ha raccontato di essere stato «arruolato in piazza al bar», accolto nella villa di Nettuno della coppia - dove Noviello è stato arrestato dopo due anni di latitanza - e retribuito con 150 euro per incendiare l’auto del parrucchiere della donna. Aveva avuto l’ardire di farsi pagare la messa in piega. «Rosaria è come un uomo - ha detto ancora Buono - si occupa anche di pulire le armi», precisando che Noviello e la moglie si sono subito presentati a lui come appartenenti alla famiglia Schiavone, proprio quella di Casale: un marchio che, da solo, vale più di un mitra. E ai due non mancava neppure quello. «La Schiavone formulò minacce di morte nei confronti del Cascone (il proprietario di un pub vittima di minacce estorsive, ndr), poi seguite dalla partecipazione all’attività preparatoria al fatto di sangue», e cioè pedinamenti e sopralluogo. In più occasioni ha fatto anche da staffetta e da specchiettista: «La notte dell’agguato in danno del Cascone, la Schiavone unitamente a Noviello e a Ravese (un altro uomo del gruppo, ndr) vengono controllati dai carabinieri di Aprilia e nella circostanza la donna finge di essere incinta e chiede di essere trasportata all’ospedale per un malore in modo da ostacolare ogni possibile controllo nell’immediatezza da parte dei carabinieri». Una volta aveva anche accompagnato il marito e Michele De Leo, un altro «aiutante», a incendiare un cantiere navale. Rosaria Schiavone andava a prelevare denaro dai commercianti e a prendere generi alimentari senza pagare. Con Noviello «si interessava anche della raccolta dei rifiuti solidi urbani di Latina, in relazione alla quale veniva pagato denaro che Noviello raccoglieva servendosi di uno zingaro». «Era informata di tutto - sintetizzano i pentiti laziali - erano tutti una combriccola. La Schiavone condivide tutto con il marito, lei teneva voce in capitolo nella casa e lei aveva vissuto tutta la vicenda delle macchine». Da Raffaele Piccolo, uno degli ultimi collaboratori di giustizia casalesi e fino allo scorso anno uomo di fiducia di Nicola Schiavone, il figlio di Francesco-Sandokan attuale reggente del clan, i dettagli più interni al ruolo delle donna nell’organizzazione. Nel verbale del 12 novembre del 2009, ha riferito che, sin da quando era entrato nel clan (tra il 1995 e il 1996), aveva avuto modo di avere notizie dei Noviello e di Maria Rosaria Schiavone. Sapeva che i Noviello sono «prestanome e faccendieri» della famiglia Schiavone e che la coppia aveva più volte ospitato e nascosto Francesco Schiavone-Sandokan, favorendone la latitanza fino al suo arresto, l’11 luglio nel 1998. «In considerazione dei rapporti stretti e di parentela tra gli Schiavone e i Noviello - gli appartenenti al clan dei Casalesi, sia affiliati che capi zona sapevano che, quando si nominavano i Noviello, si doveva fare un passo indietro». Non si dovevano toccare «perché facevano capo direttamente a Francesco Schiavone-Sandokan, che era intervenuto a proteggere la Maria Rosaria Schiavone da rappresaglie di altri appartenenti al clan». Figlia di pentito ma anche nipote e fedelissima gregaria, e per questo utile alla causa. Almeno fino a due settimane fa.
Rosaria Capacchione
Il Mattino il 03/06/2010
«Dammi il pub o ti stacco la testa con la motosega»
La forza in un marchio, quel temibilissimo richiamo ai Casalesi che fa paura in Campania, figurarsi in zone quasi indenni da organiche e strutturate presenze mafiose. Una forza intimidatoria accresciuta in maniera esponenziale dai modi violenti, dalla pratica delle armi e delle minacce, dal ricorso a un linguaggio pauroso al quale seguivano fatti altrettanto paurosi. «Lo sai chi sono io?» dicevano alle vittime. E facevano seguire il cognome, Schiavone, a indicare un’appartenenza e un’affiliazione quanto meno vantata per intimorire commercianti e imprenditori di Latina, Cisterna, Nettuno, Anzio. Nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip romano Sante Spinaci ne è raccolto un breve saggio. È nella descrizione della condotta criminale di Maria Rosaria Schiavone, del marito Pasquale Noviello e degli «affiliati» Francesco Gara, Enzo Buono Enzo e Agostino Ravese, in relazione all’estorsione in danno di Fracesco Cascone. La combriccola voleva impossessarsi del ristorante l’Oasi, a Cisterna di Latina, gestito da Cascone dal quale pretendevano le chiavi del locale. Le minacce furono rivolte alla moglie del titolare, Filomena D’Antuono, che fu anche schiaffeggiata e colpita al volto con un pugno. «Tu fai una brutta fine», le avevano detto. E riferendosi al marito, avevano aggiunto: «Piglio la motosega, lo taglio in due, gli taglio la testa e ci piscio dentro, lo sparo in testa, dove sta a mare? Vado e lo squarto». La firma?: «Lo sai chi sono io? Io sono Pasquale Noviello della famiglia Schiavone».
Rosaria Capacchione
Il Mattino il 03/06/2010

NAPOLI (11 giugno) - Circa 80 persone, in prevalenza donne, hanno accerchiato e minacciato i poliziotti in servizio di controllo all'interno del ''Parco Verde'' di Caivano (Napoli), colpevoli, con la loro presenza, di impedire lo spaccio della droga e altre attività deliquenziali.
Una donna, Vania Schiavoni, di 29 anni, è stata arrestata con l'accusa di minacce, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e denunciata, in stato di libertà, per oltraggio. La rivolta è scattata quando i poliziotti hanno fermato il conducente di un'autovettura e di un ciclomotore per un controllo, uno dei quali risultato familiare di Vania Schiavoni.
«Noi dobbiamo vivere, abbiamo i figli e non prendiamo uno stipendio», hanno gridato i rivoltosi agli agenti che, grazie all'ausilio di altre pattuglie giunte sul posto, hanno potuto evitare il peggio. Dopo l'arresto della donna, un gruppo di sue conoscenti, tutte donne, a bordo di auto e scooter, hanno raggiunto il commissariato di polizia di Afragola (Napoli) dove hanno minacciato gli agenti in servizio.
Due donne, una pluripregiudicata e la moglie di un pluripregiudicato recentemente arrestato per detenzione e spaccio di droga, sono state denunciate in stato di libertà. Processata con rito direttissimo, Vania Schiavoni è stata condannata a sei mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena. Due degli agenti hanno riportato contusioni guaribili in pochi giorni.
www.ilmattino.it

Nessun commento:

Posta un commento