mercoledì 14 ottobre 2015

Napoli, l'altra metà del crimine: camorra al femminile, quando le dark ladies decidono omicidi

di Viviana Lanza

Per anni sono state le custodi della casa e dei segreti di figli e mariti, di padri e fratelli. Presenze discrete nella vita di uomini impegnati a fare guerre e affari sporchi. Portavano il peso di verità che non potevano essere rivelate e di lutti che regole non scritte imponevano di accettare. «Sorelle d'omertà» secondo la tradizione ‘ndraghetista che le relegava a ruoli di mera assistenza. Oggi non è più così. Oggi che le regole non sono più regole, l'immunità non segue più le differenze di genere.

Se si esclude la strage di Quindici, nell'ambito della faida tra i Cava e i Graziano, che fece cinque vittime tra donne e fu ordita da donne, quella di ieri è la prima esecuzione di una donna. In passato le donne sono state vittime di errori o vendette trasversali, mai di raid mirati. È il segnale di una nuova scalata al potere, della nuova identità delle donne nella camorra. Sempre meno invisibili e sempre più autoritarie, le donne non sono più solo quelle che accorrono per prime sul luogo di un agguato, che si vestono di nero e al collo portano camei con la foto dei morti che si piangono. Non sono solo le ambasciatrici dal carcere ai covi, le presenze fisse alle udienze dei processi o la spola tra penitenziari e studi legali. No. Si sono evolute. Molte di quelle che di un boss erano parenti, mogli o sorelle, sono arrivate a prendere in mano le redini del clan, a disporre di uomini e mezzi, a gestire non più soltanto i conti della casa ma anche le casse dell'organizzazione. E quando è accaduto hanno dato prova di grande determinazione. «Guagliù questa occasione ce la manda il Padreterno» dice Emilia Sibillo (solo omonima dei Sibillo dei Tribunali), l'unica donna assieme ad Assunta Buonerba ad essere tra gli undici arrestati mercoledì scorso nell'ambito dell'inchiesta della Dda sul clan Buonerba del centro storico. La si ascolta incoraggiare i killer a entrare in azione per uccidere Salvatore D'Alpino quando, nel tardo pomeriggio del 30 luglio scorso, gli arriva la notizia che l'uomo è davanti a una pizzeria in piazza Mancini. «Bravo eh, ma senza fare bordello...non cominciate a fare bordello, ja' che questa occasione è buona».

Negli anni Cinquanta fu Pupetta Maresca a salire alla cronache, accusata di aver vendicato chi credeva responsabile dell'omicidio del marito. Sempre lei, negli anni Ottanta, sfidò Raffaele Cutolo, il temuto capo della Nuova camorra organizzata, e il suo nome negli anni è stato associato a intricati casi di cronaca nera e intrighi di Stato tanto da diventare fonte di ispirazione per fiction e romanzi. Meno leggendarie e più crude sono le storie delle donne di camorra dei tempi moderni. Nel 2001, nella lista dei trenta criminali più ricercati d'Italia, c'era anche il nome di una donna. Era una 50enne della Masseria Cardone, quartiere Secondigliano quanto la periferia nord di Napoli era il più grande mercato della droga all'aperto, i clan esportavano merce contraffatta grazie ai magliari e per ordine dei boss il potere criminale non si ostentava. Maria Licciardi, il suo nome. Sorella di Gennaro Licciardi, considerato il fondatore della Cupola di Secondigliano e morto in carcere alla fine degli anni Novanta, e del fratello Vincenzo che ne avevano raccolto l'eredità, fu arrestata il 15 giugno di quattordici anni fa da latitante. I collaboratori di giustizia la accusavano, a dispetto del soprannome - 'a piccerella - di aver avuto un ruolo da reggente all'interno dell'organizzazione che al tempo era il clan di camorra più potente della città e monopolizzava anche affari a livello internazionale. «Le donne di Secondigliano costituiscono la spina dorsale dell'Alleanza» sosteneva un ex affiliato diventato pentito.

A Forcella, invece, c'erano i Giuliano a fare il brutto e il cattivo tempo fino alla fine degli anni Novanta e nella casbah, lo raccontano le inchieste dell'Antimafia del tempo, anche le donne avevano un ruolo. Erminia Giuliano detta Celeste era la sorella di Logino e dei fratelli oggi tutti collaboratori di giustizia: con quegli occhi di ghiaccio si diceva che fosse «un vero uomo d'onore». Anche Carmela Marzano, moglie di Luigi ‘o re, conobbe il carcere e le accuse di essere al centro di alcuni affari della famiglia di Forcella prima di seguire il marito nella scelta di collaborare con la giustizia e uscire dalla scena criminale napoletana. A Pianura c'era Teresa De Luca, compagna di Giuseppe Marfella, vecchio boss della camorra di Pianura. La definirono «lady camorra»: suo figlio è Antonio De Luca Bossa, quello che a Ponticelli negli anni Novanta sfidò i Sarno con l'autobomba imbottita di tritolo fatta esplodere in via Argine il 25 aprile del 1998.

«È la vera anima del gruppo, donna di camorra per discendenza genetica. Una regina», così, in occasione del suo arresto nel 2009, il gip definì Luisa Terracciano, esponente della camorra influente tra Ponticelli e l'hinterland vesuviano. Mentre è di pochi giorni fa l'arresto di Gesualda Zagaria, sorella dello storico capo dei Casalesi Michele Zagaria: nubile e senza figli è accusata di essere la contabile del clan, con la passione per le griffe.

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