sabato 13 novembre 2010

Ischia, il mistero delle bollicine in fondo al mare

ISCHIA (9 novembre) - L’ombelico del mondo per la ricerca scientifica si trova in uno spicchio di costa ischitana. È un piccolo habitat - unico - che si trova a pochi metri di profondità, sulla parete settentrionale del Castello Aragonese, sul quale si sta riversando l’attenzione planetaria dei media di settore. 

Motivo? È proprio qui che si indagano gli scenari futuri della vita sulla terra, sempre più stretta nella morsa dei gas-serra con effetti di lunga durata ancora tutti da esplorare. C’è un fenomeno, in particolare, la cosiddetta «acidificazione degli oceani», che è la spia più eloquente dei mutamenti in atto: è causata dalle crescenti emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera che, come è noto, vengono assorbite in gran parte dagli oceani.

I ricercatori del Laboratorio di Ecologia del benthos di Ischia, legata alla Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli, hanno scoperto di recente che il sito ideale per questi studi si trova appunto nell’isola verde: è qui che si assiste infatti, grazie ai fenomeni di vulcanesimo secondario, alla fuoriuscita di anidride carbonica, una vera e propria bolgia di getto continuo di bollicine di gas a soli quattro metri sotto la superficie che, contrariamente ad altri luoghi analoghi, sono a temperatura ambiente, non caldi e privi di composti solforati che potrebbero essere dannosi per gli organismi marini.

Insomma è una location perfetta, pubblicizzata sulla prestigiosa rivista Nature qualche tempo fa, a corollario della «collaborazione tra la Stazione zoologica e altri istituti, quali le università di Plymouth, Cnrs di Parigi, Bar-ilan (Israele), di East Anglia in Gran Bretagna, e quella di Napoli-Caserta», come ha sottolineato la biologa marina Maria Cristina Buia, che lavora da anni proprio a Ischia, a margine di un meeting promosso l’altra sera dal Circolo Georges Sadoul, per il ciclo di incontri «Conoscere Ischia, per governarla». 

Da quel primo articolo su Nature, l’isola verde è entrata nella vetrina globale della scienza: prima la Bbc inglese, poi la televisione Cbc del Canada; quindi, nei mesi scorsi, National Geographic che sta per pubblicare l’inchiesta entro l’anno; e infine, sabato scorso, il Times, sono i protagonisti di una corsa informativa nello svelare i segreti di questa peculiarità ischitana. Va ricordato che in pratica la sovrabbondanza della Co2, ovvero l’anidride carbonica, provoca una serie di reazioni chimiche nell’acqua di mare, facendo calare il valore del Ph - che è l’indicatore di acidità - sotto la soglia normale che è di otto punti. 

Le predizioni per il 2100 dicono che il nostro mare sarà a quota 7,8, un numero che, per gli scienziati, non significa nulla di buono, e fa temere il peggio per il destino degli ambienti marini. «Il sito del Castello Aragonese - spiega la dottoressa Buia - rappresenta un primo esempio di laboratorio naturale in cui studiare tali effetti su ecosistemi ed organismi superficiali. La sua importanza, comunque è legata al fatto che il gradiente di “acidificazione” che le emissioni provocano comprende anche il famigerato valore 7.8 ipotizzato per la fine del secolo». Come dire, dunque, che il futuro è già qui. 

«Altri studi sono in corso sia sulle singole specie, sia sul sistema a Posidonia - aggiunge la studiosa - per individuare le risposte strutturali, funzionali e molecolari all’aumento dell’acidità. In generale si può già affermare che gli effetti osservati riguardano naturalmente una diminuzione della biodiversità totale». 

Ciro Cenatiempo

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