giovedì 18 dicembre 2008

L'Italietta dei signor no

Il paese dei particolarismi e il rischio che scoppi una bolla speculativa per il settore dell’eolico e del fotovoltaico

Il vento che tira non porta aria buona. Nel mondo delle fonti energetiche rinnovabili, principalmente l’eolico, ma è a rischio anche il fotovoltaico, c’è la seria preoccupazione dello scoppio di una bolla speculativa. «E vi siete svegliati adesso? La bolla speculativa esiste da anni e oggi è in fase matura. Tutta colpa di un mercato inadeguato». Lancia strali uno dei massimi esperti del settore, Carlo Durante, consigliere di Aper, l’Associazione produttori energia da fonti rinnovabili. «È la solita storia italiana del localismo miope e gretto che blocca la buona iniziativa». Quella che andiamo a raccontare, infatti, è l’ennesima faccia dell’Italia del quartierino, che, anche quando si tratta della cosa più pulita che c’è – energia pura ottenuta dal vento – arresta il cambiamento con l’imperativo: non si può fare. Prima però serve una premessa. Le fonti energetiche rinnovabili sono oggi imprescindibili per lo sviluppo economico, che necessita dell’utilizzo di un mix energetico, in cui eolico e fotovoltaico portano un contributo fondamentale, assieme a nucleare, idroelettrico e termoelettrico. Che piaccia o no questo è l’unico futuro possibile. Ma andiamo con ordine e partiamo dall’inizio per capire cosa sta succedendo a casa nostra. «Se si deve realizzare un impianto eolico in una delle ventose Regioni del sud Italia, cosa bisogna fare?», continua Durante. «Anzitutto individuare un’area che presenti le condizioni ottimali, poi procedere con le rilevazioni per capire l’entità dell’impatto ambientale poi... stop. Ci dobbiamo fermare, perché l’autorizzazione unica da parte della regione interessata si ottiene attraverso il dialogo locale. Il che significa andare dal contadino o dal sindaco di turno a chiedere tot metri quadrati per installare la turbina, e appena costoro capiscono di cosa si tratta fanno esplodere il prezzo. In sostanza chiedono un “contributo” che tipicamente si aggira intorno ai 100 mila euro l’anno». Cioè chiedono di essere pagati per non mettersi di traverso. Intanto, per ottenere quell’autorizzazione, i tempi tecnici si aggirano intorno ai tre anni. E a questo punto entra in scena un secondo attore. Lo sviluppatore, ossia un soggetto privato, che sviluppa un progetto, non con lo scopo di realizzarlo, ma, una volta ottenuta l’autorizzazione, di venderlo a soggetti industriali interessati e a quel punto uscire di scena con un guadagno sicuro. Anche perché il privato mette solo il 20 per cento dell’investimento, mentre ben l’80 per cento viene coperto dalle banche tramite il project financing.
«La famigerata bolla, dunque, non è altro che il plusvalore che trattengono gli sviluppatori a fronte di trattative lunghe anni con le presenze locali. Sia chiaro che l’azione dello sviluppatore non è in sé nociva o illegale. In quasi tutti gli altri paesi europei, infatti, quello dello sviluppatore è un mestiere serio, paragonabile a quello che dovrebbe fare un ingegnere. Ma lì c’è una normativa che lo regola. Non si tratta solo di far girare carta come da noi». Dove succede che, per esempio, «in Puglia nell’ultimo anno e mezzo sono stati presentati 500 progetti eolici e qualche migliaio di progetti fotovoltaici. Tenendo conto che ciascun progetto si aggira intorno alle mille pagine di stime e dati, e che per valutarle ci vogliono almeno cinque giorni lavorativi, in tutto servono 500 settimane che fanno 10 anni. C’è dunque un’industria che fa ciclostile, produce a macchinetta progetti che nella maggior parte dei casi non sono nemmeno attuabili, perché le verifiche e i calcoli sono privi di rigore ingegneristico. Senza poi contare che, sempre rimanendo in Puglia, la Regione ha bisogno di un quinto delle proposte presentate». La Calabria invece si è vista costretta a congelare i progetti e a sottoscrivere una moratoria per la definizione di regole certe entro cui operare. Inoltre, come spiega Marco Pigni, direttore di Aper, «spesso Regioni ed enti vengono tempestati da telefonate infuocate di cittadini, generalmente riuniti in comitati, che si oppongono all’installazione della turbina eolica di turno, perché deturpa il panorama che si gode dal proprio giardino. Inoltre, non è inconsueto che si generino conflitti di competenze di natura campanilistica, per esempio quando si ha a che fare con siti di confine fra due regioni, che desiderano entrambe godere delle royalty, in caso di installazione di impianti eolici».
Regioni senza ragioni
Succede allora che le Regioni, nella elaborazione delle linee guida, utilizzino la legge per scoraggiare lo sviluppo delle rinnovabili, mettendo paletti difficili da oltrepassare. «Eclatante il caso del Molise», precisa Durante, «che dopo aver annunciato la realizzazione di 500 turbine, ha stabilito restrizioni irragionevoli, per esempio nell’indicare le distanze degli impianti da abitazioni e strade, per cui il 90 per cento del territorio regionale rimane escluso dall’eolico». Continua Pigni: «La promettente Sardegna sfrutta solo parzialmente il proprio potenziale eolico, tanto da aver spinto gli operatori a investire altrove, in particolare in Sicilia, dove però è in corso un braccio di ferro con la Regione che ha introdotto irragionevoli prescrizioni tecniche. Nel Lazio, invece, manca addirittura una normativa di riferimento, mentre in Toscana la debole volontà politica limita le installazioni a un decimo del potenziale regionale». Logiche particolaristiche, insomma, che rallentano una possibilità di sviluppo reale e a portata di mano. Per uscire da questo circolo vizioso servono allora una normativa ragionata e uno sviluppo tecnologico adeguato «che, permettendo una più facile diffusione delle rinnovabili, ne abbatterebbe il costo del 40 per cento», precisa Durante. Intanto «se in Germania i dipendenti dell’industria del rinnovabile sono 100 mila, più di quelli dell’industria automobilistica, se in Francia, Spagna, Gran Bretagna, Germania e Danimarca le società produttrici di energia rinnovabile sono quotate in borsa, e se la Spagna ha tagliato le tariffe del fotovoltaico, perché è ben diffuso e opportunamente inserito nella rete elettrica, noi continuiamo a importare energia elettrica costosa. Non essendo in grado di pianificare nulla, l’Italia non attrae investimenti e non crea valore. Siamo un paese ingessato che non riesce a ottimizzare il proprio mix energetico». Questo però non significa «buttare via il bambino con l’acqua sporca», ci tiene a precisare Marco Pigni «perché non esiste l’ottimo assoluto, bisogna piuttosto imparare a scegliere in modo strategico e con lungimiranza, ottimizzando le soluzioni praticabili in vista di un sicuro vantaggio complessivo».


http://www.tempi.it/speciale-ambiente-e-energia/004256-l-italietta-dei-signor-no

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