sabato 24 luglio 2010

Il boss in manette in tribunale ordinava omicidi con segnali «labiali»

di Leandro Del Gaudio

NAPOLI (19 luglio) - C’era uno che non sbagliava mai. Seduto lì nel pubblico di un’aula di Corte d’assise - perfettamente a suo agio tra mogli, figli e sorelle dei boss detenuti - riusciva sempre a interpretare il messaggio giusto. Mai un errore, una sbavatura, un equivoco. 

Ore di attesa, un ruolo concentrato in pochi istanti: quando il boss incrociava il suo sguardo e gli lanciava messaggi da portare nel rione, da trasferire ai propri affiliati. Un «dialogo» senza parole, fatto di occhiate, labiali. Mimica elementare: quanto basta a trasferire dalle celle di un’aula di tribunale agli spalti del pubblico precisi ordini di morte. Mandati omicidiari, a venti metri di distanza, passando attraverso due vetri blindati che separano il pubblico dai detenuti imputati. 
Avveniva spesso, fino a qualche tempo fa, secondo il racconto fatto ai pm dal boss pentito Ciro Sarno. Fino a un anno fa in sella alla camorra di Napoli est, con un disegno di conquista (in parte riuscito) di altre zone dell’area metropolitana, dai Quartieri Spagnoli alla ricca economia flegrea. Ciro Sarno si confessa e svela retroscena della sua lunga detenzione: in cella dal 1992, il boss noto come «sindaco» di Ponticelli, ordinava agguati sfruttando le pause dei processi in cui era imputato. 

Accadeva quando era in regime di detenzione ordinaria, ma anche negli ultimi anni prima di pentirsi, quando era ristretto al 41 bis e doveva ricorrere ad altri espedienti per indirizzare i suoi desiderata all’esterno della cella. Venerdì scorso, Sarno ha spiegato i suoi «trucchi» durante l’udienza preliminare che si sta celebrando dinanzi al gup Egle Pilla. Interrogato dal pm anticamorra Enzo D’Onofrio, Sarno ricorda la decisione di uccidere Giuseppe Schisa e Gennaro Busiello (quest’ultimo marito di Anna Sodano, ammazzata dal clan per aver collaborato con le forze dell’ordine). 

Due omicidi su cui ora c’è la parola di Ciro Sarno, che aggiunge conferme più o meno dirette a quanto dichiarato dai pentiti Carmine Caniello e Giuseppe Sarno ad agosto del 2009 (data del deposito dei primi verbali dei Sarno) sulla trama di delitti ordinati dal carcere: «In aula - spiega oggi Ciro Sarno - riuscivo a comunicare con l’esterno. Innanzitutto riuscivo a tranquillizzare i miei ed era un compito decisivo per la sopravvivenza del clan. Quando le cose si mettevano male, quando capivo che c’era preoccupazione per qualcuno che poteva pentirsi, riuscivo a dialogare durante le udienze e a lanciare messaggi». 

Come? In che modo? Insiste il pm. E la risposta dà il senso di un’organizzazione compatta, strutturata secondo ruoli decisivi per la sopravvivenza dello stesso cartello criminale: «C’era chi mi capiva, c’era chi riusciva a interpretare gesti, segni e mimica. In aula o durante i colloqui con i parenti. Decine di volte - aggiunge Ciro Sarno - durante i processi in Corte d’Assise riuscivo a farmi capire, riuscivo ad imporre la mia volontà rimanendo seduto dietro le sbarre durante un’udienza dibattimentale».

E a nulla serviva il rigoroso protocollo di controlli imposto a chi sta al carcere duro, a sentire Ciro Sarno: anche davanti a telecamere o dietro un vetro blindato - ha lasciato intendere il pentito venerdì in aula - riusciva a scambiare messaggi, ad imporre la propria strategia di comando. «C’era chi riusciva a capirmi - insiste -. In aula, durante un processo o nelle anticamere di un colloquio tra detenuti al 41 bis». 

È così che quello dei «colloqui facili» diventa un filone tutto da approfondire per la Dda di Napoli, proprio alla luce di quanto stanno confermando i collaboratori di giustizia di casa Sarno. Stando alle dichiarazioni del pentito Caniello, infatti, proprio gli omicidi citati da Ciro Sarno (Schisa e Busiello) sarebbero stati organizzati in cella, durante le fase precedenti ai colloqui: una volta scoccato l’ordine di Ciro Sarno, seguirono summit dietro le sbarre, tutti rigorosamente immortalati da immagini interne al circuito penitenziario, oggi più che mai al vaglio degli inquirenti della Dda.

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