lunedì 27 agosto 2012

Camorra. Assalto finale ai boss della droga. Il procuratore: problema di sicurezza nazionale

GIUGLIANO. Sparano a Terracina per ribaltare Secondigliano. E mentre lì studiano i clan, qui i camorristi si riposizionano: chi fugge, chi si arma fino ai denti. "Il problema è ormai nazionale, non di Napoli", avverte il procuratore antimafia Alessandro Pennasilico. È fissato a breve il summit con la Dda romana. Intanto Napoli è vicina all’identificazione dei killer. Grazie a un particolare che fa riflettere: se uccidono lì, c’è un cittadino che segna una targa e regala un vantaggio alla giustizia.
Chi ha ucciso, quarantotto ore fa a Terracina, un nome simbolo della camorra dell'area nord, Gaetano Marino, viene da Secondigliano. E lo ha fatto - raccontano le prime ricostruzioni del pool antimafia - per scelta strategica e per obiettivo di cassa. Per inviare un segnale: siamo quelli di (via) Vanella Grassi, siamo pronti al salto di qualità, possiamo eliminare un Marino, uno dei soci fondatori del cartello Di Lauro prima, e della frangia degli Scissionisti poi. Poi, per strappare una rendita significativa, rilevante anche geograficamente: è la piazza di spaccio che vale 100150mila euro al giorno, quella delle cosiddette Case Celesti, fin qui governata dalla famiglia Marino, guarda caso la più impenetrabile area del mercato di eroina e cocaina vicina alla storica residenza del rione dei Fiori, ovvero il palazzetto degli sconfitti Di Lauro.

Alle spalle della nuova (mai sopita) guerra che è quasi un incesto tra vecchi clan, dove tutti sono ex fedelissimi, ex compari, ex alleati e cugini tra loro, c'è infatti chi intravede l'ombra di un vendicatore dell'ex padrino spodestato e detenuto Paolo Di Lauro: è la mano del suo rampollo Marco, latitante da otto anni, l'imprendibile inserito nella lista dei primi 30 ricercati italiani, la cosiddetta anima nera della sete d'odio di Scampia e dintorni, sulle cui tracce sono sguinzagliati da tempo i migliori detective di polizia e carabinieri.

E mentre da Terracina riparte il dibattito su quanto e come la camorra abbia radicato i suoi pezzi da novanta, è a Napoli che rimbalza il terrore dei killer. E su entrambi gli schieramenti, da un lato le batterie del gruppo Vanella Grassi, dall'altro i vecchi Scissionisti come Abbinante, Abete e Notturno ora ridotti a vecchio establishment, la paura provoca fughe, tradimenti, defezioni. Chi taglia la corda, chi si cerca un rifugio per non essere attirato in trappola da volti amici, chi si consegna agli avversari nella speranza di essere risparmiato.

Così irrespirabile è l'aria tra loro, così impossibile avvicinarsi e vincere le reciproche diffidenze, che gli assassini hanno dovuto allontanarsi a Terracina, correre più rischi, fare un viaggio e restare in attesa per qualche giorno pur di sorprendere Gaetano 'o Cocainomane, (il fratello dell'ex potentissimo Gennaro Mckey da tempo in carcere), con le difese appena calate, e ammazzarlo mentre era quasi coi piedi nella sabbia, e addosso i pantaloncini come un bagnante qualsiasi.

Invece un filo tesissimo, ormai ben noto all'intelligence, lega i territori della Napoli criminale agli insediamenti nel Lazio e nel pontino. Così, dopo il delitto Marino, e dopo l'analoga esecuzione sul litorale di Nettuno del camorrista Modestino Pellino, clan Moccia, avvenuta appena un mese fa, la giustizia mette in campo la task force tra le Direzioni distrettuali antimafia di Napoli e Roma. "Per contrastare le basi logistiche, gli affari e le penetrazioni dei boss nel Lazio".

Il procuratore aggiunto antimafia di Napoli, Alessandro Pennasilico, premette: "È bene ribadire come sia un fatto acquisito il radicamento della camorra nel Lazio e verso nord: l'"esportazione", se così si può dire, è avvenuta da tempo, su più livelli e da parte di varie organizzazioni criminali. Parliamo del clan Moccia, dei clan di Secondigliano e Scampia, delle famiglie di Giugliano, dei casalesi. Ce n'è abbastanza per comprendere che questo non è un problema di Napoli o del Lazio, ma di salvaguardia della sicurezza nazionale".

Dopo i contatti di ieri tra gli uffici del Centro direzionale e della capitale, è fissato il primo summit operativo: la prossima settimana il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone incontrerà il procuratore Giovanni Colangelo e i magistrati impegnati da anni nell'offensiva contro le batterie di fuoco della periferia nord, a cominciare dal sostituto procuratore Stefania Castaldi, il pm che ha ottenuto storiche condanne dopo la "pulizia etnica" della faida di Scampia del 2005. È lo stesso pm che, nel luglio scorso, dopo che i camorristi avevano sparato contro i mezzi di polizia e carabinieri, aveva arrestato alcuni capi emergenti del gruppo "Vanella Grassi".
Uno di questi ultimi, Antonio Mennetta, considerato il braccio armato della frangia in espansione, è stato poi rimesso in libertà, per carenza di indizi, dal giudice per le indagini preliminari. Il gip non aveva ritenuto "riscontrate" le dichiarazioni dei pentiti: tra tre giorni è fissato l'appello mosso dalla Procura. Un "incidente" di percorso che fa comodo alla camorra? Il procuratore Pennasilico non ritiene si tratti di una cattiva performance della giustizia. "La dialettica processuale è questa. Anche io ho lavorato come gip, so che ciascuno fa il suo mestiere secondo il proprio legittimo ruolo. Certo è che la Procura non si ferma". L'impegno ulteriore, casomai, lo si attende "dalle amministrazioni, dai servizi sociali sul territorio, da scuola, chiesa e dai cittadini".

C'è un confronto che stride, da ieri. Qualcuno a Terracina ha appuntato il numero di una targa sospetta dopo il massacro di Marino: è quella dei killer o del gruppo in appoggio. Così l'inchiesta, che da 48 ore non si ferma e ha già macinato mezza dozzina di interrogatori fiume, sarebbe vicina all'identificazione di fiancheggiatori.

Un contributo che, forse, non sarebbe mai arrivato da testimoni napoletani? Pennasilico è franco: "Non è mai arrivato. Purtroppo in questo c'è differenza. Lì, è ancora il camorrista l'intruso. Da noi, specie in alcuni territori, sono le persone perbene di Scampia o Secondigliano e sono tante, comunque ad essere e sentirsi isolate, intruse. Ciò nonostante, dobbiamo chiedere alla comunità napoletana uno sforzo". Anche a Nettuno, dopo il delitto Pellino, qualcuno diede una descrizione preziosa degli aggressori. Si uccide nel Lazio, si ribalta Secondigliano. (CONCHITA SANNINO - Repubblica.it - 25/08/2012)
 

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