sabato 13 marzo 2010

Faida Scampia, dal boss Cosimo Di Lauro 300mila euro alla famiglia di Gelsomina

NAPOLI (11 marzo) - Sembra un’ammissione di colpa ma (almeno formalmente) non lo è. Sembra il primo passo verso una richiesta di patteggiamento, ultima chance per sfuggire all’ergastolo, ma potrebbe non essere così. Eppure, Cosimo Di Lauro ha staccato un assegno di trecentomila euro per la famiglia di Gelsomina Verde, la ragazza torturata, uccisa e carbonizzata nel pieno della faida di Scampia, la guerra tra i Di Lauro e gli scissionisti a cavallo tra 2004 e 2005.Cinque anni dopo quel delitto, il presunto mandante fa un passo in avanti. Condannato all’ergastolo, Cosimo Di Lauro ha girato tramite i suoi legali trecentomila euro ai legali che assistono la famiglia della ragazza uccisa. È un risarcimento del danno, che non implica al momento un’ammissione di responsabilità penale per l’assassinio di Gelsomina Verde.Una mossa che almeno un risultato sembra averlo ottenuto: questa mattina, infatti, dinanzi alla prima Corte d’Assise d’Appello (presidente Romeres), la famiglia di Mina non dovrebbe costituirsi parte civile. Il resto sarà la cronaca di un dibattimento a senso unico, con Cosimo Di Lauro collegato in videoconferenza dal carcere bunker nel quale è detenuto al 41 bis, che proverà a difendersi dall’accusa di essere l’organizzatore del delitto di Mina. Dovrà rispondere alla testimonianza del pentito Pietro Esposito, che decise di collaborare con la giustizia proprio dopo aver accompagnato la ragazza all’appuntamento con i killer, svelando i particolari di un delitto scolpito nella galleria di orrori della faida per la droga. Una verità che va raccontata da un paio di premesse: Mina Verde era una ragazza estranea ai circuiti criminali, dedita al volontariato, priva di interessi illegali in un quartiere improvvisamente divorato dalla contrapposizione armata tra gruppi da sempre alleati; i genitori di Mina hanno seguito le udienze del processo di primo grado in assoluto isolamento, senza alcun sostegno istituzionale, pur essendo estrenei ad altre indagini e a vicende camorristiche. Resta una verità giudiziaria che da oggi deve essere valutata in appello: Mina Verde fu interrogata e torturata da parte di Ugo De Lucia (condannato in via definitiva all’ergastolo), all’epoca braccio destro di Cosimo Di Lauro, per conoscere il covo dei fratelli Notturno, tra i primi a passare dalla parte degli scissionisti, a ribellarsi alla famiglia Di Lauro. Era il 21 novembre del 2004, in un conflitto che fece registrare oltre sessanta omicidi in pochi mesi, destinato a riproporre pagine di violenza stile balcanico. Due mesi dopo quel delitto, arrivarono le manette per «Cosimino», uno dei dieci figli del padrino Paolo Di Lauro, per anni conosciuto come «Ciruzzo ’o milionario». La notizia del suo arresto fece il giro del mondo. Per ore, donne e uomini cercarono di ostacolare l’ingresso dei carabinieri nel famigerato «rione dei fiori», meglio conosciuto come «terzo mondo», con episodi di guerriglia metropolitana: furono staccati lavandini e water e furono gettati contro le auto dei carabinieri, poi vennero ingaggiati autentici corpo a corpo pur di difendere il numero uno della faida. La cui foto - impermeabile nero e capelli avvolti dietro la testa - è stata paragonata a quella di Brandon Lee del film «The crow», oltre a diventare cattiva icona da spedire da un telefonino all’altro di tanti adolescenti.Difeso dal penalista Vittorio Giaquinto, oggi Cosimo Di Lauro proverà a dimostrare la propria estraneità alle accuse, partendo proprio da un gesto spontaneo e apparentemente senza secondi fini: un assegno di trecentomila euro a confortare i genitori di una ragazza vittima di un’improvvisa fiammata di violenza. Una guerra scoppiata - secondo le indagini della Dda di Napoli - proprio per ordine di Cosimo Di Lauro, con l’obiettivo di ringiovanire la camorra, di svecchiare i ranghi creati con sapienza e diplomazia dal padre, per decenni a capo della più importante holding della droga d’Europa.
Napoli, la famiglia di Gelsomina Verde: «Con soldi del boss fonderemo associazione»
NAPOLI (12 marzo) - Non c’era il Comune, non c’erano altri esponenti degli enti locali. Assenti fasce tricolori, associazioni di volontariato, onlus, corporazioni professionali. Per tutta la durata del processo, c’erano solo i genitori, a chiedere giustizia, ad attendere risposte. Delitto di Gelsomina Verde, riflettori rigorosamente spenti, alla prima udienza del processo d’appello. Isolati per anni, i parenti della ragazza uccisa nel corso della faida di Scampia, hanno deciso di non costituirsi parte civile, dopo aver ricevuto un assegno di trecentomila euro da parte di Cosimo Di Lauro, imputato come mandante del delitto. Scelta insindacabile - va chiarito - in un processo nel quale Cosimo Di Lauro continua a protestare la propria innocenza, al di là dei soldi versati in questi giorni. Denaro pulito, fanno capire i legali dell’imputato, frutto di un indennizzo assicurativo, dopo un incidente stradale subìto quando Cosimo Di Lauro era minorenne. Soldi girati alla famiglia della vittima, che vuole ora utilizzarli per la realizzazione di un’associazione di volontariato che si chiamerà «Un progetto per la vita», che riproponga il martirio della giovane Mina e che dia continuità all’attenzione per le fasce più deboli, che da sempre anima i componenti della famiglia Verde. Sarà un’istituzione in grado di offrire un sorriso a chi è in difficoltà - lasciano intendere i familiari della vittima - nel solco delle attività che impegnarono la giovane vita di Mina.Intanto, aula vuota ieri mattina in assise appello: scenario che spinge il capo della Dda Sandro Pennasilico a riflettere sull’importanza della partecipazione corale, della presenza della società civile, specie in processi tanto delicati. Spiega il procuratore aggiunto Pennasilico: «In vicende tanto gravi e delicate ci sono aspetti personali che richiederebbero il sostegno ai familiari delle vittime. Non entro nel merito della scelta dei parenti della ragazza uccisa durante la faida - chiarisce il procuratore aggiunto -, anzi credo che il loro tributo umano meriti rispetto e discrezione; eppure in quell’aula, in quel processo doveva essere presente lo Stato in tutte le sue componenti. Non solo il pm, dunque, non solo la Corte d’assise: penso allo Stato come istituzioni locali, associazioni, gruppi professionali, che non può lasciare soli i parenti delle vittime». Prima corte d’assise d’appello, presidente Romeres, si parte da una condanna all’ergastolo per Cosimo Di Lauro, indicato nel corso delle indagini (condotte dai pm Stefania Castaldi, Luigi Alberto Cannavale e Giovanni Corona) come il mandante della brutale esecuzione della ventiduenne. Bella, estranea al crimine, dedita al volontariato, Mina Verde fu uccisa la notte tra il 21 e il 22 novembre da Ugo De Lucia, braccio destro di Cosimo Di Lauro, a sua volta condannato in via definitiva all’ergastolo. La fine di Mina fa imbarazzo solo a raccontarla: i killer puntavano al covo dei fratelli Notturno, protagonisti della sanguinaria scissione. La ragazza venne interrogata, torturata, uccisa e data alle fiamme. Fu l’apice di una guerra spietata che non esitò ad accanirsi su donne, anziani e persone estranee al crimine. Difeso dai penalisti Vittorio Giaquinto e Saverio Senese, Cosimo Di Lauro ha sempre protestato la propria innocenza, ma un mese prima dell’inizio del processo d’appello si è fatto avanti: e ha staccato un assegno di trecentomila euro a titolo di risarcimento del danno a favore della famiglia (rappresentata in questi anni dall’avvocato Liana Nesta), che lascia così il processo, rinunciando a costituirsi parte civile. Si torna in aula il prossimo 26 marzo, a discutere sull’attendibilità delle accuse del pentito Pietro Esposito (quello che consegnò Mina ai carnefici), sulla tenuta delle accuse della Dda di Napoli e su quant’altro è entrato nel fascicolo giudiziario. Restano fuori dall’aula, la testimonianza dei parenti di Mina, il sogno di riscatto di un nucleo familiare che ora chiede silenzio, che ora parte dal «progetto per la vita», primo passo per mantenere vivo il sorriso di Mina.

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