sabato 9 dicembre 2017

Napoli, il racconto del killer pentito: «Ho riempito Napoli di coca. ​Ecco il sistema delle puntate»

di Leandro Del Gaudio

Quando ripensa alle «puntate» di cocaina sui carichi provenienti dall'Olanda o dal Sudamerica, non ha dubbi: «Abbiamo riempito Napoli di droga», grazie a un sistema di approvvigionamento simile che ha lo stesso ritmo della borsa. Parla delle «puntate», un modo per scommettere a distanza di migliaia di chilometri sulla capacità di un carico di droga - la cocaina viene misurata in chili - di passare di mano in mano, di varcare la frontiera, di resistere alle maglie della giustizia, quasi sempre attraverso pacchi nascosti in vetture e autocisterne che dal Sudamerica arrivano nei Paesi bassi, prima di finire a Napoli. E una volta da queste parti, quei chili di cocaina su cui i nostri scommettitori hanno puntato mettendoci moneta sonante, si trasformano in oro e morte: soldi per chi ci ha creduto, per chi ha la forza di tagliare quel prodotto grezzo, ma anche morte per quelli che vanno ad acquistare la roba dai pusher e nelle piazze di spaccio locali.

Eccolo Mariano Torre, uno che prima di fare il pentito, è stato killer scelto del gruppo di morte che ha seminato terrore a Napoli per conto di Carlo Lo Russo, ma prima ancora faceva il cassiere della potente cosca che ha governato Napoli almeno fino al 2011. Ed è nella sua nuova vita di pentito, che Mariano Torre ricostruisce il sistema delle puntate, firmando accuse contro i grandi broker della cocaina, quelli che portano lo stupefacente a Napoli, per passare poi ai quadri intermedi e ai pusher che operano nelle singole piazze. Uno spaccato economico che resta vivo, quasi a dispetto della mole di arresti e sequestri consumati in questi anni sotto il coordinamento della Dda di Napoli. Si parte da un dato numerico quasi inamovibile, quello legato al prezzo di un chilo di cocaina che si attesta a quota 32mila euro, non un centesimo in meno: soldi che servono a sbloccare un chilo di cocaina purissima, che entra a Napoli per essere trattata e che rende in modo esponenziale, se si pensa che una dose oggi costa in media trenta euro. Hanno riempito Napoli di coca, ha spiegato Mariano Torre, anche se la svolta della sua vita non è riconducibile al suo ruolo di cassiere o di organizzatore di puntate sui mercati olandesi o sudamericani, ma ai momenti in cui ha deciso di premere il grilletto. Ha ucciso Genny Cesarano, Mariano Torre. È tra i quattro condannati all'ergastolo, secondo la sentenza firmata dal giudice Vecchione (gli altri sono Antonio Buono, Ciro Perfetto, Luigi Cutarelli, Mariano Torre (mentre sedici anni sono stati inflitti al boss pentito Carlo Lo Russo), ma nella sua carriera non c'è solo il 17enne colpito per errore durante un'azione dimostrativa alla Sanità. Ci sono anche altri omicidi che ha confessato sin dalle prime battute della sua collaborazione con la giustizia, in uno scenario scandito da «stese» (plateali caroselli di spari contro palazzi o finestre di edifici), di appostamenti, morti ammazzati. Ha spiegato Mariano Torre: «Prima che uscisse Carlo non avevo mai ucciso nessuno, per questo dico che i Lo Russo mi hanno rovinato la vita e Carlo Lo Russo in particolare. Prima della sua scarcerazione facevo già parte del clan, mi occupavo di droga ed estorsioni ma non avevo mai ucciso nessuno, ho solo partecipato all'agguato a Francesco Sabatino, nel periodo in cui Salvatore Scognamiglio aveva fatto la scissione, o meglio, aveva tentato di estromettere Antonio Lo Russo dal comando del clan».

Seguono pagine di «omissis», al termine del primo interrogatorio reso dinanzi al pm Enrica Parascandolo, magistrato in forza al pool anticamorra del procuratore aggiunto Filippo Beatrice. Droga, affari e omicidi, dunque. Il killer pentito va avanti: «Mi viene chiesto se abbia avuto rapporti con Ettore Bosti di Nunzio, cugino di Ettore Bosti, genero di Mario Lo Russo e dico che lo conosco bene, perché è il cognato di Luciano Pompeo: Ettore faceva le puntate di droga dall'Olanda, erba e cocaina, insieme ad un altro ragazzo che ci ha detto essere suo cugino; Ettore faceva puntate di droga assieme a Vincenzo Lo Russo e a Marco Corona».

Ma non si parla solo di droga e di morti ammazzati, nel racconto di Mariano Torre. Ci sono anche investimenti sospetti fatti a Roma o appartamenti comprati nel centro di Napoli, nel costante tentativo da parte del clan di ripulire i proventi di racket e narcotraffico. Non mancano riferimenti a strategie processuali, come la storia delle confessioni-dissociazioni che avvengono nelle aule, in vista di una probabile condanna. Anche Mariano Torre insiste sul concetto della «mano alzata in aula», con il tentativo di confessare le accuse mosse dalla Dda: senza accusare altri componenti del commando, una sorta di invocazione al perdono, nel tentativo di eludere l'ergastolo.

www.ilmattino.it

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