lunedì 22 giugno 2015

Camorra, chiesti 5 secoli di carcere per gli uomini del clan Lo Russo

di Viviana Lanza

Chiesti quasi cinque secoli di carcere complessivi per trentuno imputati, ritenuti affiliati al clan Lo Russo nella sua nuova versione, dopo il pentimento del capo storico Salvatore, un tempo esponente di spicco della camorra influente tra Miano, Secondigliano e l’area a nord di Napoli e oggi collaboratore di giustizia.

Per loro il pm anticamorra Enrica Parascandolo ha concluso la requisitoria con richieste di condanna severe. Camorra e droga, le accuse: associazione di stampo camorristico e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, l’antico business del clan che esercita il controllo del malaffare tra Miano e il rione Sanità.

Diciotto anni di reclusione sono stati chiesti per i fratelli Carlo e Mario Lo Russo, indicati come elementi di vertice del clan di famiglia. La stessa pena è stata proposta anche per Antonio Cardillo. Luigi Russo (più otto per un altro capo di imputazione) e Pietro Polverino. Venti anni di carcere è la condanna invocata per Ciro Culiersi, Vincenzo Bonavolta, Gennaro Palumbo, Salvatore Silvestri (più otto per un altro capo di imputazione).

L’elenco delle richieste del pm prosegue con i 12 anni di reclusione chiesti per Maria Barato, Daniele Culiersi, Ignazio D’Angelo, Gianluca Madonna, Salvatore Marino, Alessandro Paravano, Salvatore La Hara, Carlo Nappello; 10 anni per Angela Borzacchiello, Emmanuel D’Abile; 15 anni per Antonio Cinicolo, Pietro Simonetti, Salvatore Cerchio, Francesco Brillante; 16 anni di carcere per Francesco Saverio Cinicolo, Gabriele Vallefuoco, Antonio De Simini, Valerio Nappello, Luciano Pompeo; 14 anni Pasquale Luongo e Emanuele Prota; 9 anni per Massimo Della Ragione.

L’assoluzione è stata chiesta per Vincenzo Agrillo. Gli imputati sono processati con rito abbreviato e al termine delle arringhe degli avvocati del collegio di difesa il giudice Pepe firmerà la sentenza, atto conclusivo del primo grado di giudizio.

L’inchiesta, culminata nel maxiblitz a settembre 2014, ha ricostruito il nuovo organigramma del clan di Miano e i cambiamenti che ha affrontato dopo il pentimento dello storico capoclan Salvatore e l’arresto del figlio di questi, Antonio Lo Russo, il giovane boss con la passione del calcio, noto per essere stato fotografato a bordocampo allo stadio San Paolo e che aveva preso le redini del clan di famiglia decidendo di proseguire l’attività criminale del gruppo.

Agli atti delle indagini le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, intercettazioni e risultati di indagini lunghe e complesse condotte dai carabinieri e coordinate dai pm Henry John Woodcock e Enrica Parascandolo della Dda napoletana.

Ognuno nel clan aveva compiti ben precisi: dalla scorta armata alle estorsioni, dalla gestione della cassa al controllo delle piazze di spaccio e, come in stile di camorra, c’era anche chi aveva abilità e compiti da killer. Il clan Lo Russo è storicamente noto con il soprannome dei Capitone. A sfogliare le carte dell’inchiesta pare che quello dei soprannomi sia un aspetto a cui gli affiliati del clan dovevano tenere particolarmente.

Tutti quelli che avevano un ruolo all’interno dell’organizzazione avevano un alias. E’ un elenco di varia e discutibile fantasia camorrista, quello dei soprannomi svelati dai pentiti o intercettati durante i colloqui captati dagli 007 dell’Antimafia: O Cardillo ‘e Padre Pio, Birretella e omm’bello, ‘o Biondo, ‘o calabrese, cenzore, ‘o cecato, ‘o gigante, Giggiotto, Lelle’, ‘o pavone, Totore Attila, masaniello, Luchetto, ‘o pazzo, ‘o chiatto, ‘o becchino, Giovannone, Bijioux. 
http://www.ilmattino.it/

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