«Rendeva 14mila euro a settimana» ha raccontato Vincenzo Amirante, un tempo camorrista e oggi collaboratore di giustizia. Da pentito ha puntato l’indice anche contro il figlio: «Ho fatto parte del gruppo criminale inizialmente costituito dai Sibillo, dai Giuliano e da mio figlio Salvatore». E sull’omicidio di Maurizio Lutricuso, ucciso per una sigaretta negata nel 2014 davanti a una discoteca a Pozzuoli, ha raccontato: «Fu commesso da Vincenzo Costagliola per futili motivi mentre a vantarsene era il ragazzo che stava con lui e che è stato condannato».
Per questo delitto Costagliola è stato condannato a sedici anni in primo grado come istigatore e il sedicenne che era con lui a 23 anni di carcere come esecutore. Ora le dichiarazioni del neo collaboratore di giustizia sono entrate nel processo d’appello al gruppo Sibillo-Giuliano-Amirante-Brunetti, la «paranza dei bimbi».
Il gruppo è stato protagonista di una feroce stagione di sangue e terrore tra i vicoli del centro storico. Progettava di riportare Forcella ai fasti criminali degli anni Ottanta e raccoglieva affiliati tra ragazzi adolescenti o poco più, affascinandoli con lo slogan «Forcella ai forcellani» e motivarli alla guerra contro i Mazzarella e contro chi, per conto della storica cosca, gestiva il malaffare tra i vicoli.
L’inchiesta condotta dai pm antimafia Francesco De Falco e Henry John Woodcock ha portato in primo grado alla condanna di capi e gregari della «paranza». E ora che è in corso il processo d’appello, il fascicolo si arricchisce delle dichiarazioni di Vincenzo Amirante, padre di quel Salvatore che viene indicato come uno dei protagonisti del cartello di giovani criminali. Ai pm della Dda Amirante senior ha descritto i ruoli all’interno del clan inizialmente formato dai Sibillo e dai rampolli della famiglia Giuliano.
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